Che conseguenze avrà la COP26 sul mondo dell’energia? Anche se è ancora presto per trarre giudizi definitivi, è possibile fare alcune riflessioni, sulla base degli accordi raggiunti (e non) a Glasgow e sulle discussioni che ne sono scaturite. Innanzitutto, può apparire scontato ma è sempre bene ribadirlo, alla Conferenza ONU è emerso chiaramente quanto il contenimento del climate change a livello globale passi dalla trasformazione del settore energetico. Che, a tutt’oggi, ha un grande problema: la sua dipendenza dalle risorse fossili, ovvero petrolio, gas e carbone. In realtà delle prime due a Glasgow si è parlato abbastanza poco, se non per quanto riguarda la decisione di un gran numero di Paesi di tagliare immediatamente i sussidi a tutte gli idrocarburi. Però nella conferenza ONU non è scaturito nessun documento in cui si spinga – ad esempio – a rinunciare alla costruzione di nuove centrali a gas. A cui anzi, Paesi e aziende del settore hanno cercato di attribuire anche a Glasgow un ruolo nella transizione energetica.
Carbone in discussione
L’unica fonte fossile realmente finita sotto accusa è stata il carbone che, effettivamente, è anche la più inquinante. Molto si è discusso di quanto contenuto nel documento finale della COP26, che contiene soltanto la parola riduzione e non eliminazione, ma probabilmente la notizia più importante è che alcuni tra i principali Paesi consumatori di carbone, tra cui USA, Cina, India e Australia di non aderire all’accordo sottoscritto da oltre 40 Paesi sull’addio a questa risorsa per la generazione elettrica. Se fosse stato siglato da queste nazioni, la parola fine per l’utilizzo di questa fonte per scopi energetici sarebbe stata scritta.
I paesi firmatari, infatti, si sono impegnati a:
1)Aumentare rapidamente il dispiegamento di generazione di energia pulita e di misure di efficienza energetica nelle nostre economie e sostenere altri paesi a fare lo stesso, riconoscendo la leadership mostrata dai paesi che assumono impegni ambiziosi, anche attraverso il sostegno del Consiglio per la transizione energetica;
2) Aumentare rapidamente le tecnologie e le politiche in questo decennio per ottenere una transizione dal carbone negli anni 2030 (o non appena possibile in seguito) per le principali economie e negli anni 2040 (o non appena possibile successivamente)
3) Cessare il rilascio di nuovi permessi per nuovi progetti di produzione di energia a carbone senza cattura dalla CO2.
Direttamente collegato al tema delle fonti fossili è ovviamente la questione del carbon pricing: come mette in luce un’analisi del Financial Times, a Glasgow è stato raggiunto un accordo che non entusiasma in tanti ma che comunque gettate le basi per un nuovo mercato globale del carbonio, aprendo la strada a un boom nel commercio dei crediti di emissione. Il nuovo mercato sarà composto da due parti: un sistema centralizzato aperto ai settori pubblico e privato e un sistema bilaterale separato che consentirà ai paesi di scambiare crediti che possono utilizzare per aiutare a raggiungere i propri obiettivi di decarbonizzazione.
Il rilancio del nucleare
Per quanto riguarda le energie rinnovabili, indubbiamente i documenti post COP26 sono concordi nel metterne in luce la fondamentale importanza per la transizione energetica. D’altra parte, però, come lo shortage di componenti post Covid ha dimostrato – c’è un po’ di preoccupazione tra gli addetti ai lavori sulla capacità della filiera di garantire l’approvvigionamento di minerali e materiali (come le terre rare), che saranno fondamentali per garantire la decarbonizzazione del settore. Forse anche per questo motivo a Glasgow, molto più che in altre occasioni, è stata da riservata da parte di tutti un’estrema attenzione all’efficienza energetica. La riduzione dell’intensità energetica è invece ora vista come una componente fondamentale per il contenimento del climate change.
Sul fronte energetico, poi, a Glasgow, a 10 anni dalla catastrofe di Fukushima, il nucleare sembra aver rialzato la testa. In particolare con il Nuclear Futures Package, il pacchetto da 25 milioni di dollari promosso dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che punta ad aiutare un’ampia gamma di paesi ad acquisire tecnologie per l’energia nucleare, così da sostenere la lotta ai cambiamenti climatici. Al di là della cifra in sé, è evidente che il fatto che un Paese del peso degli USA abbia messo il suo peso sul nucleare potrebbe avere il suo peso in prospettiva futura. Tanto che anche nel nostro Paese, il dibattito sembra essere definitivamente ripartito.