Climate change. La più grande sfida dell’umanità è ancora lontana dall’essere risolta: anche se tutti i Paesi raggiungessero i contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions) e gli obiettivi di contenimento delle emissioni da oggi al 2050, il target di 1,5°C verrebbe superato di oltre 600 gigatonnellate.
Boston Consulting Group, in collaborazione con il World Economic Forum, ritorna sul tema con lo studio Bold Measures to Close the Climate Action Gap (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO), ripartendo dalle stime pubblicate a dicembre 2023, che vedono l’azione climatica internazionale coprire solo il 35% delle emissioni globali al 2050 e appena il 20% al 2030. Il rapporto evidenzia un allarmante divario tra le attuali politiche e le azioni necessarie per evitare effetti catastrofici sul pianeta, illustrando le azioni che governi e aziende possono implementare per promuovere un cambiamento sistemico e riuscire a tenere il passo con le esigenze climatiche.
Necessaria una riduzione del 7% annuo delle emissioni
“Per colmare il divario con gli attuali obiettivi di contenimento delle emissioni, dovremmo arrivare a una riduzione del 7% ogni anno a livello globale fino al 2030, un cambio netto dall’attuale tendenza che vede le emissioni in aumento dell’1,5% annuo”, spiega Marco Tonegutti, Managing Director e Senior Partner di BCG. “In questo contesto l’Italia è tra i 22 Paesi più virtuosi, che rappresentano il 7% delle emissioni globali, che hanno impostato un obiettivo Net-Zero e definito delle policy di intervento”.
Servono “azioni più audaci”: ecco quali
Il report fa presente che le istituzioni pubbliche devono contenere le oltre 600 gigatonnellate di emissioni in eccesso, fissando più obiettivi a breve termine e aumentando il sostegno finanziario e tecnico alle nazioni a basso reddito. Inoltre, chiariscono BCG e WEF, “è fondamentale lavorare a negoziazioni globali più efficaci ed efficienti, oltre ad aumentare il prezzo del carbonio per incentivare soluzioni a basse emissioni. Spetta alle istituzioni assicurarsi che il percorso green rispetti la tabella di marcia e imporre eventuali misure più drastiche per rientrare nei tempi”.
Un aspetto cruciale riguarda poi l'”acquisto verde” (Green Public Procurement), che potrebbe avere un impatto rapido e significativo a favore del clima se regolato da politiche più rigorose. Ogni anno, infatti, circa 11.000 miliardi di dollari di spese pubbliche sono controllate dai governi di tutto il mondo, contribuendo a circa il 15% delle emissioni globali totali. Nonostante le politiche di acquisti pubblici verdi siano presenti in quasi il 90% dei paesi OCSE, molti di questi mancano di rigore. Dall’altra parte, il settore privato può svolgere un ruolo fondamentale. Basti pensare che le prime mille aziende mondiali possono avere un impatto su più di un quarto di tutte le emissioni globali decarbonizzando le proprie catene di fornitura, mentre mobilitando meno del 10% del proprio Capex per la conversione ad alternative verdi, potrebbero colmare l’intero gap di finanziamenti per il clima.
Grandi aziende come catalizzatori del cambiamento
“Le grandi aziende non sono solo chiamate ad avviare iniziative interne a favore del clima, ma possono fare da catalizzatori del cambiamento per dare una spinta positiva anche alle altre realtà. In Italia, ad esempio, solo il 10% delle aziende ha un piano d’azione per raggiungere gli obiettivi climatici”, continua Tonegutti. “Un caso virtuoso nel nostro Paese è l’Industrial Decarbonization Pact firmato nel 2019 dai settori energivori, per lavorare in sinergia e mettere a fattor comune gli impegni a favore della sostenibilità.”
Le aziende giocano infatti un ruolo decisivo quando arrivano a realizzare un impatto importante all’esterno: decarbonizzare le catene di fornitura, chiedere ai fornitori di fissare degli obiettivi di sostenibilità, impegnarsi in acquisti sostenibili e introdurre sul mercato più prodotti green. Ad esempio, si potrebbe ottenere la riduzione del 50% delle emissioni di molti prodotti con un aumento del prezzo finale inferiore all’1%. E si tratta solo di alcune delle strategie attraverso cui le aziende potrebbero influenzare positivamente il panorama climatico globale, arrivando a collaborare tra settori per condividere gli investimenti in nuove tecnologie green o portando i governi a sostenere politiche più coraggiose, fino a creare nuove partnership pubblico-privato su larga scala.
Le quattro azioni chiave
Riassumendo, ecco le 4 azioni chiave – due da parte delle istituzioni, due da parte delle aziende – che possono davvero cambiare la rotta di questa grande sfida.
Cosa possono fare le istituzioni pubbliche
- Fissare più obiettivi a breve termine e aumentare il sostegno finanziario e tecnico alle nazioni a basso reddito, per contenere le oltre 600 gigatonnellate di emissioni che eccederanno gli obiettivi climatici al 2030.
- Promuovere politiche di Green Public Procurement più rigide: ogni anno circa 11.000 miliardi di dollari di spese pubbliche sono controllate dai governi di tutto il mondo, contribuendo a circa il 15% delle emissioni globali totali. Nonostante le politiche di acquisti pubblici verdi siano presenti in quasi il 90% dei paesi OCSE, molti di questi mancano di rigore.
Cosa possono fare le aziende
- Le prime mille aziende mondiali possono avere un impatto su più di un quarto di tutte le emissioni globali decarbonizzando le proprie catene di fornitura, mentre mobilitando meno del 10% del proprio Capex per la conversione ad alternative verdi, potrebbero colmare l’intero gap di finanziamenti per il clima.
- Decarbonizzare le catene di fornitura, chiedere ai fornitori di fissare degli obiettivi di sostenibilità, impegnarsi in acquisti sostenibili e introdurre sul mercato più prodotti green per realizzare un impatto importante anche verso l’esterno. Ad esempio, si potrebbe ottenere la riduzione del 50% delle emissioni di molti prodotti con un aumento del prezzo finale inferiore all’1%.