Le acque marine assorbono circa un terzo delle emissioni di CO2 che produciamo e da loro dipende circa la metà dell’ossigeno che respiriamo, ma sullo stato di salute delle grandi distese d’acqua oggi incombono tre grandi minacce: le microplastiche, lo sversamento degli idrocarburi e la fragilità degli habitat marini.
Secondo quanto riportato dal portale del programma di comunicazione regionale europeo EU Neighbors South sono circa 570mila le tonnellate di plastiche che finiscono ogni anno nel Mar Mediterraneo, una quantità pari al peso di oltre 50 Torri Eiffel con una concentrazione del 7% di tutte le microplastiche globali. Una cifra che, secondo le stime dell’EU Neighbors South, è destinata a quadruplicare (+300%) entro il 2050.
Fondali marini invasi dalle plastiche
Il 70% dei rifiuti che finiscono in mare si trovano nei fondali marini e il 75% di questi è composto da plastiche. Le plastiche sono pericolose soprattutto quando diventano pressocché invisibili, ovvero quando si disgregano in frammenti di pochi millimetri diventando microplastiche che i pesci confondono per cibo e, nutrendosene, rischiano di morire mentre l’uomo di ritrovarsele letteralmente nei piatti messi in tavola quotidianamente. Un recente studio condotto dall’Advanced Technologies Network Center dell’Università di Palermo ha dimostrato come, in alcuni tratti del Mediterraneo, la quantità di microplastiche è cresciuta dell’80% tra settembre 2019 e maggio 2022.
Al debutto la Water Defenders Alliance
Per tutelare gli habitat naturali e le acque del Bel Paese LifeGate, società benefit e network di informazione, progetti e servizi da oltre 20 anni punto di riferimento italiano sulla sostenibilità, lancia la Water Defenders Alliance, un’alleanza composta da aziende (AGN Energia, Coop, cosnova Italia, Findus, Fineco, Gruppo Hera, Ibl Banca, Mareblu, Nickelodeon-Spongebob, Rio Mare, Screen Professional Hair Care e Shiseido), università, associazioni ed enti di ricerca (Università di Genova, ISSD – International School for Scientific Diving “Anna Proietti Zolla”, Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia, Verdeacqua Impresa Sociale, l’Istituto Tethys e il comitato Smart Bay Santa Teresa), persone, istituzioni e dai 99 porti che, a vario titolo, possono partecipare alle soluzioni proposte da LifeGate per tutelare e salvare le acque italiane dall’inquinamento.
Soluzioni e progetti per la tutela del patrimonio idrico
Dal drone in grado di esplorare piccole aree di mare o di lago, andando a caccia dei rifiuti plastici che si muovono lontani dai punti di accumulo, a ridosso di pontili e banchine fino al cestino di raccolta dei rifiuti che galleggiano nelle acque di superficie e alle missioni di sub professionisti per il recupero sui fondali marini di detriti abbandonati, incluse plastiche e “reti fantasma”, particolarmente pericolosi per l’ecosistema. E ancora le attività di piantumazione di Posidonia oceanica, pianta marina preziosa per la salute del mare, e di ripristino, nel Golfo della Spezia, di colonie di molluschi nostrani, come cozze e ostriche, che non solo ripuliscono il mare in quanto filtri naturali ma che permettono anche di catturare CO2, tenendo lontane le specie “aliene” che vengono importate da imbarcazioni che attraversano altri corsi d’acqua, aggressive e pericolose per la sopravvivenza delle specie animali. Sono queste alcune delle principali soluzioni e progetti implementati da LifeGate per tutelare la biodiversità del patrimonio idrico italiano, generando un impatto concreto, misurabile e visibile.
“L’obiettivo della Water Defenders Alliance – dichiara Enea Roveda, CEO di LifeGate – è quello di riuscire a completare le sfide che LifeGate ha individuato in ogni singolo porto e in ogni area marina, punto di contatto tra le persone e l’acqua, coinvolti nel progetto PlasticLess, anche in ogni macroarea del nostro paese, in ogni porto italiano, da Nord a Sud, dal Tirreno all’Adriatico. Il futuro del Pianeta dipende da due parole chiave come sostenibilità e innovazione ma, come sempre, oltre alle tecnologie la differenza la fanno le persone. Ognuno può e deve fare la propria parte e l’alleanza nasce proprio per dare a ogni rappresentante della società civile un ruolo chiave per il cambiamento sostenibile che vogliamo vedere”.
Il problema degli sversamenti di idrocarburi
Un altro tema importante al centro dell’alleanza è quello dell’inquinamento chimico delle acque provocato dagli sversamenti di idrocarburi. Secondo l’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che supporta il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, ogni anno il Mar Mediterraneo subisce sversamenti di idrocarburi per circa 600.000 tonnellate; gli incidenti ambientali accaduti negli ultimi 30 anni in Italia hanno causato il rilascio in mare di circa 272.000 tonnellate di petrolio con conseguenze disastrose sui nostri habitat naturali e sull’ossigenazione delle acque. Ma oltre agli incidenti ambientali, sappiamo che gli sversamenti di idrocarburi sono causati anche dalle singole gocce nere sversate accidentalmente nei mari e nei laghi anche dai piccoli diportisti durante le manovre cosiddette operazionali come la pulizia delle acque di sentina, la manutenzione del motore e il rifornimento di benzina, tutte attività che oggi non sono mai state considerate o regolamentate per prevenire e catturare gli sversamenti di sostanze chimiche nelle acque. Anche in questo caso LifeGate ha scelto la soluzione più innovativa e performante presente sul mercato, brevettata dalla startup italiana T1, che permette di catturare e stoccare fino al 100% degli idrocarburi sversati dotando diportisti, pescherecci e porti di appositi strumenti.
Sebbene il Mar Mediterraneo occupi solo circa lo 0,82% degli oceani mondiali, rappresenta un vero e proprio hotspot di biodiversità ospitando il 7,5% di tutte le specie marine e 94 tipologie di habitat. La biodiversità, più elevata nelle aree costiere, è purtroppo molto vulnerabile all’inquinamento dovuto ai fattori di origine antropica quali lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, l’intensa navigazione in aree fragili e l’introduzione negli ecosistemi mediterranei di specie provenienti da altre aree geografiche, riconosciute come una delle principali cause di perdita della biodiversità a livello mondiale.