Qual è il legame fra teleriscaldamento ed efficienza energetica? Il Decreto legislativo 4 luglio 2014 n. 102, in attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, fa luce su questo legame, partendo dalla definizione di teleriscaldamento e teleraffreddamento: «Qualsiasi infrastruttura di trasporto dell’energia termica da una o più fonti di produzione verso una pluralità di edifici o siti di utilizzazione, realizzata prevalentemente su suolo pubblico, finalizzata a consentire a chiunque interessato, nei limiti consentiti dall’estensione della rete, di collegarsi alla medesima per l’approvvigionamento di energia termica per il riscaldamento o il raffreddamento di spazi, per processi di lavorazione e per la copertura del fabbisogno di acqua calda sanitaria». Ai fini della maggiore efficienza di entrambi, il legislatore specifica che questa può essere garantita tramite un utilizzo in proporzione delle seguenti fonti di energia:
a) il 50% di energia derivante da fonti rinnovabili;
b) il 50% di calore di scarto;
c) il 75% di calore cogenerato;
d) il 50% di una combinazione delle precedenti.
Teleriscaldamento, la situazione in Italia
A distanza di pochi anni dal varo della normativa, gli impianti di teleriscaldamento alimentati da fonti fossili, soprattutto tramite gas naturale, coprono circa il 74% dell’energia immessa in consumo. Da qui la spiegazione dei rincari in bolletta degli utenti che si sarebbero aspettati un maggiore risparmio a paragone delle modalità standard di riscaldamento. Il dato sull’utilizzo delle fonti fossili si ricava da un documento pubblicato di recente da GSE, il Gestore dei servizi energetici partecipato in toto dal ministero dell’Economia e delle Finanze che ha il compito di promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. La nota di approfondimento fa una fotografia della situazione al 2020, quando risultavano in esercizio complessivamente 337 reti di teleriscaldamento, con 284 comuni coinvolti, distribuiti in 13 tra regioni e province autonome del centro e nord Italia. «L’estensione di queste reti di teleriscaldamento – si legge nel documento – si attesta poco al di sopra di 5.000 km; di questi, il 50% circa si concentra nei 114 comuni teleriscaldati della Lombardia e del Piemonte. Le sottostazioni di utenza servite (ovvero i dispositivi di scambio tra la rete di teleriscaldamento e il circuito di distribuzione delle utenze) sono oltre 93 mila; anche in questo caso la quota maggiore si concentra in Lombardia (39% del totale), seguita dalla provincia di Bolzano (22%) e dal Piemonte (14%). La volumetria complessivamente riscaldata nel Paese è pari a 386 milioni di metri cubi».
Come funziona il teleriscaldamento
Dalla centrale, il calore viene distribuito attraverso le tubazioni interrate sotto forma di fluido termoconvettore (acqua calda, surriscaldata o vapore). Quando la rete di tubazioni primaria incrocia quella secondaria degli utenti, avviene lo scambio di calore grazie agli scambiatori installati negli edifici. Il calore, trasferito nell’acqua delle tubazioni secondarie, può essere così utilizzato sia per riscaldare gli ambienti sia per produrre acqua calda sanitaria. Una volta che il fluido termovettore, che nel caso dell’acqua si aggira attorno ai 90-100 °C, perde il proprio calore, ritorna verso la centrale a temperature tra i 30 e i 60 °C per essere nuovamente riscaldato e ridistribuito. L’eliminazione dei fumi emessi dove si trovano le utenze, così come il venir meno della manutenzione in loco, che viene demandata invece a chi gestisce le centrali e la rete, sono degli indubbi vantaggi per l’ambiente, ma non garantiscono l’impatto positivo sulla bolletta auspicato dagli utilizzatori finali, come dimostrato nei fatti. Se ne deduce, perciò, che con teleriscaldamento non viene indicata una particolare fonte energetica, quanto il sistema che nel suo insieme produce e distribuisce calore, a prescindere dalla sua alimentazione. Esistono due modalità di distribuzione del calore, una diretta e un’altra indiretta. Nella prima c’è un unico circuito idraulico che collega la centrale di produzione con il corpo scaldante, vale a dire il termosifone o la piastra dell’utente. Nella distribuzione indiretta, invece, vi sono due o più circuiti separati e connessi tramite scambiatori di calore. La distribuzione indiretta attualmente è quella più diffusa nel nostro Paese, anche se richiede spese più onerose nella progettazione degli impianti.
Il cammino verso centrali più sostenibili
Generalmente le centrali di teleriscaldamento sono formate da impianti di cogenerazione, cioè che danno vita a elettricità e calore sfruttando la medesima fonte di energia. La produzione combinata, a paragone di quella separata delle medesime quantità di energia elettrica e calore, determina un risparmio economico che deriva dal consumo minore di combustibile e dalla riduzione dell’impatto ambientale per via delle emissioni inferiori. La strada verso una effettiva decarbonizzazione, tuttavia, passa da un utilizzo maggiore delle fonti rinnovabili che al momento, complice anche il fatto che alcune delle centrali più grandi presenti in Italia sono state realizzate diversi anni fa, alimentano gli impianti solo in maniera marginale. E anche con le biomasse la termovalorizzazione dei rifiuti e il calore di scarto proveniente dai processi industriali non va meglio, visto quanto si ricava dai dati ufficiali di GSE sulle fonti principali di alimentazione del teleriscaldamento. Un aiuto potrebbe arrivare dai fondi del PNRR che destina 200 milioni di euro «per finanziare progetti relativi alla costruzione di nuove reti o all’estensione di reti di teleriscaldamento esistenti, in termini di clienti riforniti, ivi compresi gli impianti per la loro alimentazione. A tal riguardo è data priorità allo sviluppo del teleriscaldamento efficiente, ovvero quello basato sulla distribuzione di calore generato da fonti rinnovabili, da calore di scarto o cogenerato in impianti ad alto rendimento».
I reali vantaggi del teleriscaldamento
Quanto detto finora non deve gettare ombre sul teleriscaldamento che, comunque, porta dei vantaggi indubbi negli impianti condominiali, che sono i principali intestatari di questo sistema. Anzitutto i costi associati all’acquisto e alla manutenzione delle caldaie tradizionali, nonché quelli che si riferiscono alla predisposizione di appositi vani tecnici e di canne fumarie, vengono meno. Inoltre, si assiste all’azzeramento di rischi connessi a incendi, esplosioni o intossicazione da fumi. Il che significa che quando, infine, l’uso delle fonti alternative rispetto a quelle fossili diventerà preminente, il risparmio in teoria dovrebbe pesare anche in bolletta. Cosa che finora non si è verificata, e ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina. In molte città servite dal teleriscaldamento, a partire dall’inizio del 2021 i rincari sono stati pari se non superiori a quelli di chi ha in casa la classica caldaia a gas. A Torino, per esempio, dal primo trimestre 2021 all’agosto scorso le tariffe sono passate da 0,072 euro a kWh a 0,189 euro, con una crescita di 2,6 volte. A parziale compensazione dei rincari, è stato introdotto da Iren (che serve, oltre al comune di Torino, quelli di Beinasco, Collegno, Genova, Grugliasco, Moncalieri, Nichelino, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Rivoli) un bonus rivolto a una platea con ISEE non superiore a 12 mila euro o non superiore a 20 mila, qualora i beneficiari abbiano almeno 4 figli a carico. Si tratta di rimedi tampone, nell’attesa che il teleriscaldamento diventi più efficiente, più green e più economico di quanto sia stato fino a oggi.