Le rinnovabili non sono utili soltanto in un’ottica ambientale e di contrasto al cambiamento climatico, ma anche di indipendenza energetica dell’Italia. Questo il principale risultato dello Studio “Verso l’autonomia energetica dell’Italia”, rilasciato nel corso del recente Forum di Cernobbio da parte di A2A e Fondazione Ambrosetti. Lo studio prende la mosse dalla guerra russo-ucraina, che ha mostrato definitivamente la fragilità e la dipendenza del sistema energetico europeo, fortemente dipendenti dai Paesi esteri per l’approvvigionamento delle materie prime. Una considerazione che è particolarmente adatta a descrivere la situazione dell’Italia, che oggi è al 23° posto tra i Paesi dell’UE-27 in termini di autonomia energetica, producendo sul proprio territorio solo il 22,5% dell’energia consumata, a fronte di una media europea del 39,5%.
In positivo, però, il report segnala come l’Italia tra il 2000 e il 2019 l’Italia abbia aumentato di 9 punti percentuali la propria autonomia energetica, il valore più alto tra i maggiori Paesi UE. In particolare, la crescita è stata guidata dalla produzione di energia da fonti Energetiche Rinnovabili (FER), che è quasi triplicata nel periodo preso in esame. Ma che potrebbe aumentare considerevolmente nel prossimo futuro, grazie alla forte disponibilità di acqua, sole e vento. Secondo l’indice creato da The European House – Ambrosetti, l’Italia è infatti il secondo Paese europeo per disponibilità di energie rinnovabili presenti nel territorio.
I risultati dello studio dimostrano che l’Italia sarebbe in grado di aumentare sostanzialmente la produzione da fonti di energia rinnovabili con un incremento di 105,1 GW di solare (quasi 5 volte la capacità oggi installata), 21,1 GW di eolico (quasi 2 volte la capacità oggi installata) e 3,3 GW di idroelettrico (oltre il 20% della capacità oggi installata). Più nel dettaglio, per quanto riguarda il solare, la stima del report è che ben 42 GW di potenza fotovoltaica siano legati all’installazione di impianti sui tetti degli edifici civili, industriali e commerciali (con il 50% di questa potenza aggiuntiva concentrata nel Nord del Paese), mentre ulteriori 63 GW di potenza sarebbero derivanti dal fotovoltaico a terra (di cui il 32% localizzata in Sicilia, Puglia e Sardegna).
Meno eclatanti ma comunque interessanti le opportunità di sviluppo dell’eolico: a tecnologie correnti e vincoli normativi e strutturali in essere, questa fonte potrebbe ottenere un incremento di potenza di 21,1 GW rispetto ad oggi, raggiungendo una capacità installata pari a 32,0 GW. Di questa capacità incrementale, 6,7 GW proverebbe da repowering e revamping di impianti eolici esistenti (per il 98% localizzati nel Sud del Paese). Il passo in avanti dell’idroelettrico passerebbe invece da operazioni di repowering e revamping di impianti esistenti e dallo sviluppo del mini-idroelettrico, soprattutto nelle regioni del Nord.
Il report evidenzia inoltre come un totale di circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti che possono essere avviati a recupero energetico, abbattendo una volta per tutte il conferimento in discarica che oggi è ancora una forte criticità in molte regioni del Paese. Il trattamento di questa quantità addizionale potrebbe abilitare un 55% aggiuntivo di produzione elettrica derivante dalla termovalorizzazione rispetto al 2020, superando così i 7 TWh.
Una corretta gestione del ciclo dei rifiuti e degli scarti di produzione agricola e alimentare può, inoltre, sostenere lo sviluppo della filiera del biometano. Lo sviluppo di questa filiera permetterebbe di valorizzare risorse attualmente non sfruttate, e spesso conferite in discarica, per produrre gas all’interno del paradigma di economia circolare, Un ulteriore spinta potrebbe arrivare dalla valorizzazione del biometano (circa 6,3 miliardi di metri cubi), un valore corrispondente all’8% del consumo nazionale di gas e al 22% del gas importato dalla Russia nel 2021.
Nel complesso, il pieno sviluppo delle rinnovabili non farebbe altro che spingere l’autonomia energetica italiana, che potrebbe raggiungere il 58,4%, corrispondenti a 35,9 punti percentuali in più rispetto a oggi e circa 4 volte l’incremento registrato negli ultimi 20 anni.