Nell’attuale momento storico aziende e organizzazioni hanno particolare necessità delle competenze degli energy manager: viviamo in una fase estremamente impegnativa dal punto di vista energetico per via dell’esplosione dei prezzi, mentre le recenti catastrofi ambientali hanno dimostrato – ancora una volta – quanto il nostro Paese sia sottoposto al cambiamento climatico. Non va poi dimenticata la spinta normativa: leggi e regolamenti europei puntano infatti con sempre maggiore convinzione al miglioramento dell’uso dell’energia. Come ha insomma ricordato Dario Di Santo, managing director di Fire, “Per affrontare questi temi nelle organizzazioni ci vuole per forza un energy manager, altrimenti diventa difficile dare una riposta”. Il punto sullo stato di questa figura professionale è stato fatto dal Fire nel suo rapporto annuale, che mette in fila tutti una serie di numeri estremamente significativi. Innanzitutto nel report si legge come le nomine pervenute alla FIRE nei tempi previsti dalla legge nel 2021 sono state 2.419. Di queste 1.606 sono relative ad energy manager primari nominati da soggetti obbligati e 813 da soggetti non obbligati, in calo (-2%) rispetto ai dati del 2020. Una riduzione che in realtà interamente appannaggio dei soli soggetti obbligati, mentre le nomine volontarie sono cresciute rispetto allo scorso anno (da 761 a 813). Una parziale spiegazione la si può ricercare nella riduzione dei consumi dovuti alla crisi che può aver portato diversi soggetti sotto la soglia obbligatoria per la nomina dell’energy manager. Nel settore privato, i numeri delle nomine sono positivi, con comparti particolarmente virtuosi quali il cartario e quello dell’industria alimentare.Il settore manifatturiero in generale si è mantenuto stabile rispetto al passato.
I ritardi della PA
Al contrario nella PA i dati sulle nomine continuano a essere davvero troppo bassi, tanto che secondo Fire se gli obblighi fossero rispettati gli energy manager nominati dovrebbero essere almeno 5 volte tanto quelli attuali. Secondo il report, a questa inadempienza “si collega l’incapacità di cogliere le grandi opportunità derivanti dall’adozione di misure per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, senza dimenticare la possibilità di acquistare energia a condizioni più vantaggiose. La presenza di un energy manager competente e qualificato gioverebbe senz’altro al bilancio energetico ed economico di queste strutture pubbliche, specialmente nella congiuntura attuale”.
Un altro aspetto poco incoraggiante è la scarsa presenza delle donne nella professione: solo 193 sono state nominante come energy manager, pari all’8% del totale. Un problema che, secondo Fire, è però da ricondurre soprattutto alla più generale scarsa presenza femminile nei posti dirigenziali di fascia alta, come spesso sono inquadrati gli energy manager. Nelle grandi organizzazioni questa figura, a cui vengono richieste capacità manageriali, conoscenza dei processi decisionali aziendali e una visione allargata sulla catena di valore dell’impresa e sulle risorse che concorrono ad alimentarla – è interna ed è anzi consigliabile – secondo Fire – che sia un dirigente di primo livello. Tanto che non è necessario che possieda competenze tecniche approfondite di energy management, che possono essere invece patrimonio dei suoi collaboratori. Nelle realtà di dimensioni medio-piccole e nel caso di consulenti esterni, invece, è auspicabile che l’energy manager sia un EGE, in ragione del ruolo più tecnico richiesto in questi casi. Il report evidenzia come queste prescrizioni siano in parte rispettate: la maggior parte degli energy manager (quasi il 65%) abbia un inquadramento aziendale elevato, dai diversi livelli del quadro, al dirigente fino all’amministratore. Questa percentuale è pressochè in linea rispetto ai dati dell’anno passato. Resta però ancora oggi un numero consistente di energy manager inquadrati a livello troppo basso per potere incidere in modo adeguato sulle scelte aziendali (impiegati e quadri di basso livello). Fire poi alcuni dati di rilievo in merito al livello di istruzione degli energy manager nominati: nel 2021 circa l’80% degli energy manager nominati possieda una laurea di tipo tecnico (ingegneria); nella quasi totalità dei restanti casi si trattava invece di figure diplomate in materie tecniche.
L’aumento delle certificazioni
Infine sul delicato fronte delle competenze, ci sono passi in avanti non di poco conto, legati soprattutto alle certificazioni. Dai dati in possesso di FIRE si stima che gli energy manager interni certificati EGE (esperti gestione dell’energia) sino il 21% del totale interni (stabile rispetto allo scorso anno), di contro gli energy manager consulenti esterni e certificati sono il 69%, in aumento di due punti rispetto al 2020. Non solo: i soggetti che hanno nominato un energy manager siano essi obbligati o no, e che al contempo sono in possesso della certificazione ISO 50001 per il loro sistema di gestione dell’energia, risultano essere 321, circa l’8% in più rispetto allo scorso anno. Un trend che è in continuo aumento nel corso degli anni e che- second il report – permette ampliamento del raggio di azione dell’energy manage:r secondo la recente indagine condotta da FIRE in collaborazione con CEI e CTI, il cui scopo era quello di individuare lo stato dell’arte dell’implementazione della ISO 50001 in Italia, è emerso che un SGE è in grado di generare risparmi energetici maggiori del 5% e un miglioramento continuo delle performance energetiche.