La digitalizzazione può contribuire a una riduzione fino al 30% del livello di perdite e dei consumi energetici per il funzionamento del sistema idrico. Questa la conclusione che arriva dalla recente manifestazione ACCADUEO, organizzata da BolognaFiere Water&Energy – BFWE. Come noto, in Italia vengono prelevati 30,4 miliardi di metri cubi di acqua all’anno dai principali comparti d’uso. Di questi, il 31% per l’uso civile, il 56% per l’irrigazione, il 13% per i processi produttivi manifatturieri. Ma non sempre il prelievo arriva veramente a destinazione, con conseguenti sprechi idrici e anche notevoli inefficienze dal punto di vista energetico.
Cosa dicono i casi di successo
Ecco perché nel corso dell’appuntamento sono stati presentati una serie di casi studio di successo nell’applicazione delle best practice per la riduzione delle perdite e la sostituzione strategica delle reti, con esperti da Olanda, Regno Unito, Danimarca, Taiwan, Medio Oriente, Italia e Spagna. In particolare, il contributo della digitalizzazione appare significativo: secondo gli esperti può contribuire fattivamente a una riduzione significativa del livello di perdite e dei consumi energetici per il funzionamento del sistema idrico, con stime anche superiori al 30 per cento di riduzione di entrambi i parametri.
“Ci troviamo di fronte a una grande opportunità offerta dal Recovery Plan di migliorare l’efficienza e ridurre le perdite nei nostri acquedotti e questa opportunità può essere colta a pieno grazie alla digitalizzazione delle reti. Quest’ultima ci consente di migliorare le performance del servizio idrico e questo è particolarmente importante per gestire sia la crisi energetica che stiamo vivendo sia la scarsa disponibilità di acqua. In uno scenario di cambiamento climatico, non possiamo più accettare livelli di inefficienza che storicamente hanno afflitto la gestione dei nostri sistemi idrici”, ha commentato Marco Fantozzi, Managing Director per l’Italia Isle Utilities, che ha curato due convegni sul tema.
L’importanza dei dati
Altro tema toccato è l’importanza dei dati per una gestione sostenibile della risorsa idrica. “È sempre più importante avere informazioni su quelli che sono gli utilizzi e i prelievi di acqua sul territorio. Queste informazioni sono utilissime per avere un quadro di quelli che sono gli stress sui corpi idrici e quindi quanto noi andiamo ad utilizzare in riferimento alla disponibilità. Sicuramente le condizioni ambientali stanno cambiando e cambieranno, quindi questo porterà anche un cambiamento nell’utilizzo della risorsa e dei processi. Di conseguenza è importante avere informazioni sul territorio attraverso un’analisi capillare con l’ausilio di reti informative che ci permettano di assumere delle informazioni specifiche”, ha spiegato Stefano Tersigni, Istat della Direzione centrale per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche sociali e demografiche e per i fabbisogni informativi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR.
Il ruolo delle nuove tecnologie
Le imprese che hanno partecipato alla manifestazione hanno messo in evidenza volontà investire nello sviluppo di nuove tecnologie e pratiche di gestione che abbiano come obiettivo la riduzione dei prelievi di acqua, ad esempio tramite il riuso delle acque reflue. Ma anche attraversi l’impiego di nuove tecnologie NO DIG, o trenchless technology, che possono consentire una riduzione delle perdite idriche delle reti acquedottistiche. In particolare le NO DIG permettono di effettuare la posa e il risanamento delle infrastrutture interrate riducendo al minimo, o eliminando del tutto, lo scavo a cielo aperto. Si tratta di tecnologie a basso impatto ambientale che consentono il rispetto dei canoni di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Minimizzando o annullando lo scavo a cielo aperto, si riducono infatti, di conseguenza, il materiale movimentato, le emissioni di CO2, i blocchi alla circolazione e il costo economico ed energetico dei cantieri.
“Le tecnologie NO DIG sono a basso impatto ambientale e riducono drasticamente le emissioni di CO2 e di altre polveri sottili e sostanze inquinanti perché si elimina o si riduce sensibilmente lo scavo rispetto alle tecnologie tradizionali quindi non c’è movimentazione di cantiere, non c’è materiale che va in discarica né dalle cave materiale che entra all’interno delle città per ricoprire gli scavi. Inoltre sono minori i macchinari che intervengono sui cantieri quindi c’è minore consumo i combustibili fossili”, ha commentato Paolo Trombetti, Presidente IATT.
Articolo originariamente pubblicato il 13 Ott 2023