In concomitanza con il riaccendersi del dibattito sul nucleare civile anche nel nostro Paese iniziano a comparire i primi report di settore favorevoli o contrari a questa fonte energetica (qua lo speciale di EnergyUp.Tech). Uno studio esplicitamente favorevole al ritorno dell’Italia all’energia atomica è quello recentemente pubblicato da EY: nel testo si legge infatti come l’energia nucleare ricopra “un ruolo determinante nel percorso verso la transizione dai combustili fossili a fonti energetiche in grado di garantire la sicurezza energetica e contrastare il cambiamento climatico”.
Il tema dei costi
EY mette in luce come l’energia nucleare, attualmente presente in 32 Paesi con una capacità totale di 413 GW, possa giocare un ruolo significativo nell’evitare 1,5 gigatonnellate (Gt) di emissioni globali e ridurre la domanda mondiale di gas di 180 miliardi di metri cubi (bcm) annualmente. Questa energia è tra le risorse energetiche che possiede il più basso livello di emissioni di CO2, rendendola dunque fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi SDG stabiliti nell’Accordo di Parigi.
Ma al di là delle prospettive e dello stato di salute di questa tecnologia, la grande domanda è se in Italia torneranno o meno le centrali nucleari. Lo studio prova a smarcare l’argomento economico, ammettendo che utilizzando il parametro LCOE come misura, che rappresenta il costo medio della generazione di elettricità per una centrale per l’intera durata della sua vita operativa, attualmente l’energia solare fotovoltaica rappresenta la fonte di elettricità più competitiva nella maggior parte dei mercati. Senza troppe spiegazioni però, si conclude che “l’energia nucleare è comunque in grado di competervi”, dal momento che “nel 2022, infatti, l’elettricità prodotta da quest’ultima fonte rappresentava il 9,2% (2.611 TWh) del totale globale”.
I punti di debolezza
Tralasciando il dato di fatto che questa elettricità, soprattutto in Europa occidentale, è prodotta da impianti con decine di anni di vita alle spalle. Tralasciando questo particolare, EY mette in evidenza come il Paese disponga già di forti competenze in materia, soprattutto sulla filiera, anche sarà fondamentale consolidare gli investimenti e superare le sfide legate all’adozione di tale tecnologia per trasformarle in opportunità di crescita e sviluppo .
“La tecnologia nucleare, infatti, non è immune a ostacoli che possono rappresentare una sfida per la sua adozione. Per quanto riguarda i costi, ad esempio, se confrontati con quelli delle altre fonti di energia a basse emissioni, è importante che questi conservino la propria componente competitiva; in termini di regolamentazioni specifiche, affidamento a nuove tecnologie, preoccupazioni legate alla sicurezza, alla gestione dei rifiuti e altre tematiche di natura culturale, sono tra gli ostacoli principali da affrontare e superare per sostenere una possibile rinascita nucleare”, si legge nello studio.
Il peso della sicurezza energetica
L’argomento principale a favore dell’atomo riportato da EY è noto ed è quello della sicurezza energetica: l’Italia non è una nazione ricca di risorse energetiche, tanto che la risorsa più utilizzata è il gas naturale, il 92,6% del quale, secondo i dati di Terna e Snam per l’anno 2019, è stato importato dall’estero. L’uso di energia nucleare, per questa ragione, potrebbe non solo fornire indipendenza energetica alla nazione attraverso il consolidamento di un mix energetico verde, con la combinazione con altre risorse rinnovabili disponibili, ma permetterebbe anche una riduzione dei costi dell’elettricità per i consumatori.
Anche le criticità riportate sono abbastanza note: i costi e la questione dei rifiuti. L’energia nucleare si configura come un settore ad alta intensità di capitale, nel quale l’investimento iniziale potrebbe rappresentare circa l’80% del costo dell’energia elettrica, mentre il restante 20% sarebbe imputabile al carburante e alla manutenzione. I rifiuti radioattivi, infatti, necessitano di specifici luoghi di smaltimento.
I benefici del progetto ITER
In un passaggio successivo si viene al punto che è stato rilanciato anche da diversi media nazionali, ovvero i benefici economici italiani: sulla base delle stime della Commissione europea, si nota che l’impatto benefico del progetto di cooperazione europea “Iter”, attualmente in fase di sviluppo, potrebbe raggiungere 15,9 miliardi di euro all’interno dell’economia europea, considerando i vantaggi legati alla ricerca, allo sviluppo e alle competenze richieste sul mercato del lavoro, nonché i benefici ambientali. A questi si aggiungerebbero più di 70 mila nuovi posti di lavoro da creare entro il 2030 all’interno dell’Unione Europea, con l’Italia come principale beneficiaria.
Il punto, però, è che il progetto Iter ha poco a che fare con il nucleare di cui si parla nel dibattito italiano: Iter è infatti un mega progetto europeo che ha come orizzonte la fusione nucleare, un metodo completamente alternativo rispetto alla fissione nucleare utilizzata da tutte le centrali nel mondo. E che è ancora del tutto in fase sperimentale, nonostante le potenzialità. Insomma, i numeri citati in precedenza hanno poco a che gare con il nucleare attualmente impiegato nel mondo.
L’aspetto forse più interessante dello studio riguarda l’attale sentiment sul nucleare nel nostro Paese: nello studio viene citato uno studio SWG che sembra ribaltare l’opposizione degli italiani sul tema (sancita dai referendum del 1986 e del 2011). Il 54% degli individui vede con favore il ritorno dell’energia nucleare nel Paese, a patto che serva a ridurre significativamente l’ammontare dei costi in bolletta (fattore tutt’altro che scontato anche nel lungo termine); il 20% è favorevole al nucleare in qualunque caso; infine, il 26% degli intervistati è contrario.
Articolo originariamente pubblicato il 24 Gen 2024