L’Adriatico diventerà un immenso campo di estrazione per gli operatori del mondo Oil & Gas? Così sembrerebbe, almeno a leggere i titoli dei giornali e gli allarmi rilanciati da alcune associazioni di settore. Lo scorso 4 novembre il Consiglio dei Ministri aveva in effetti autorizzato la presentazione di un emendamento al decreto-legge “aiuti-ter” (decreto-legge 23 settembre 2022, n. 144), per introdurre norme volte al rafforzamento della sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale e alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti, attraverso l’incremento dell’offerta di gas di produzione nazionale destinabile ai clienti finali industriali a prezzo accessibile. Nelle ultime ore si è poi deciso che il provvedimento non sarà inserito nel DL Aiuti ter n. 144/2022, ma finirà nel DL Aiuti quater, il nuovo provvedimento con sostegni contro il caro-energia atteso giovedì 10 in Consiglio dei ministri. Ma al netto dell’iter normativo, cosa stabiliscono davvero queste norme? Secondo quanto racconta Michele Masulli, Direttore area energia di I-Com (Istituto per la competitività), il Decreto del Nuovo Governo Meloni non arriva dal nulla ma è collegato direttamente a un altro provvedimento varato dal precedente Governo Draghi all’inizio dell’anno.
Cosa aveva deciso il Governo Draghi
“In realtà si tratta di una decisione che dà applicazione a quanto era previsto con il Decreto Bollette dello scorso 2 marzo, quando all’art 16, tramite il GSE, i titolari di concessioni di coltivazione di gas naturale erano stati invitati a manifestare interesse per un nuovo strumento, che prevede la cessione di gas a prezzo calmierato, attraverso apposite procedure, a favore del settore industriale. In questo modo, si vincola l’aumento delle estrazioni a una gas release a prezzi calmierati, in particolare a beneficio delle imprese gasivore”. In altre parole, la possibilità di aumentare le estrazioni è dunque legata al rilascio del gas a un determinato prezzo, che dovrebbe essere compreso in una certa forchetta: le imprese aderenti si impegnano ad acquistare gas a un prezzo scontato rispetto al PSV, il punto di scambio virtuale del gas italiano, ma comunque non inferiore rispetto a 50 euro per MWh e con un prezzo massimo di 100 euro a MWh. Allo stesso modo i concessionari si impegnano a cedere il gas a queste condizioni, scambiando la possibilità di immettere sul mercato nuovi volumi di gas e la certezza di beneficiare di un valore minimo di prezzo, con la rinuncia a possibili ricavi futuri ulteriori, non certo improbabili considerato che negli ultimi mesi abbiamo visto il prezzo toccare i 350 euro a MWh.
Le novità del provvedinmento
Il provvedimento varato dal Governo Meloni introduce comunque qualche novità ulteriore rispetto a quanto stabilito dal precedente Esecutivo: “Si ampliano un po’ le maglie dell’estrazione di idrocarburi in mare, in particolare si apre all’apertura di nuovi pozzi nella fascia tra 9 e 12 miglia e vengono riammesse alcune aree della parte meridionale dell’Alto Adriatico. In ogni caso, si potranno considerare solo i giacimenti con potenziale sopra i 500 milioni di metri cubi. Ovviamente permangono tutte le procedure di valutazione ambientale. Ad esempio, servirà presentare una documentazione che escluda rischi di subsidenza (ovvero sprofondamento del suolo, ndr), che più preoccupa le regioni dell’Adriatico. Inoltre, al netto di deroghe parziali, rimane valido il Pitesai, Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, che individua le aree del territorio nazionale in cui è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. È previsto anche un anticipo di quanto previsto dalla norma di marzo, perché si vorrebbero rendere questi nuovi volumi di gas interno disponibili già dal 2023. Già a gennaio dovrebbe infatti essere messo a disposizione circa il 75% dei volumi attesi. In buona sostanza si chiede quindi ai concessionari di anticipare i volumi attesi dalle nuove attività estrattive in maniera tale da supportare le imprese gasivore, con consumi annui di almeno 1 GWh, in questo difficile frangente economico”. Proprio il Pitesai dovrebbe fungere da barriera contro la trivellazione a tappeto: in pochi mesi d’applicazione il Piano ha comportato un rigetto di istanza di permesso di ricerca, 16 revoche di permessi di ricerca, 8 revoche parziali e contestuali riperimetrazioni di permessi di ricerca e 2 comunicazioni delle aree non idonee in cui è interdetta l’attività mineraria.
L’autarchia del gas non è l’obiettivo
L’obiettivo del provvedimento non è certo garantire l’autarchia del gas del nostro Paese: si punta a rendere disponibili 1,5 miliardi di metri cubi di gas l’anno, stimando un potenziale di circa 15 miliardi di metri cubi estraibili nel corso di un decennio. Una percentuale che è poco significativa rispetto ai più di 70 miliardi di metri cubi consumati dal nostro Paese. Chiaramente si tratta però di segnale di discontinuità rispetto al passato: rispetto al 1990 la produzione italiana di gas si è ridotta di a meno di un quarto, mentre parallelamente l’import è cresciuto del doppio. Basti pensare che nel 1990 importazioni nette di gas coprivano il 65% dei consumi italiani, nel 2019 circa il 95%. “Rispetto a questo trend di riduzione della produzione interna questo provvedimento segnala una certa discontinuità, in un Paese che più di tutti gli altri in Europa si trova dipendente dall’import per questa materia prima. Inoltre, per come è immaginato, seppure non risolutivo, si tratta comunque di un meccanismo utile in una prospettiva di stabilizzazione dei costi per il settore industriale e di protezione della volatilità di prezzo”, conclude Masulli.