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Zero e Lode. Zero waste, zero emission, zero inequality, la sostenibilità misurabile di SAP

La quindicesima edizione di SAP Executive Summit porta la sostenibilità al centro dell’attenzione. Ma la misurabilità e l’attenzione alla green line restano punti critici. La risposta? Integrare la sostenibilità in tutti i processi di business e puntare sulle business network. Solo se i sistemi di relazione tra le imprese mettono fairness, trasparenza, tracciabilità, sostenibilità al centro del loro agire, si può raggiungere un effetto moltiplicatore

Pubblicato il 29 Mar 2022

Sap Executive Summit 2022

Quindici Edizioni.
In mezzo, due anni di pandemia.
Nei giorni scorsi SAP è tornata a organizzare uno degli eventi centrali per la community dei suoi partner e clienti: il SAP Executive Summit, nel corso del quale pone al centro della scena l’innovazione, le sue declinazioni e il suo impatto per le imprese, le istituzioni, le persone. E non necessariamente in questo ordine.
Apparentemente provocatorio, il titolo scelto per l’edizione 2022: Zero e Lode, così spiegato da Carla Masperi COO e acting country manager della società.
“Quest’anno mettiamo sul tavolo il tema della sostenibilità. Zero e lode è una sintesi che riflette una visione orientata dalla zero waste, zero emission, zero inequality”, ha subito spiegato in apertura dell’incontro, dettagliando poi: “Zero emission significa pensare ad esempio alla value chain, a una logistica ottimizzata, che riduca le emissioni di carbonio. Zero Waste significa progettare fin dall’inizio un prodotto pensando a come minimizzare gli scarti, lungo tutto il suo ciclo di vita. Zero inequality significa ridurre le disuguaglianze sotto tutti i punti di vista. Anche prestando attenzione alla sicurezza dei lavoratori”.

Misurare la sostenibilità e promuovere la Green Line

C’è molta concretezza nelle parole di Carla Masperi, che mette subito in luce un vulnus importante.
“Ci siamo resi conto che c’è una grande insoddisfazione all’interno delle imprese su come vengono raccolti i dati sulla sostenibilità. Lo stesso World Economic Forum ha evidenziato che solo il 10 per cento delle imprese ha adottato soluzioni software per la misurazione della green line. Non basta più concentrarsi su Top line e Bottom line: c’è una green line in mezzo che deve essere presa nella giusta considerazione”.
Soprattutto, è il richiamo di Masperi, se il trinomio sostenibilità, crescita e profittabilità è ormai dato per scontato, è arrivato il momento di capire come realizzarlo.

La transizione energetica in uno scenario sempre più incerto

Considerazioni, quelle proposte da Carla Masperi, che vengono riprese da Dario Fabbri, analista geopolitico, che non può fare a meno di inserirle nell’attuale scenario fortemente condizionato dal conflitto tra Russia e Ucraina.
Fabbri focalizza la sua analisi s uno degli aspetti legati alla sostenibilità: la questione energetica.
Lo scenario attuale ha evidenziato non solo la dipendenza del nostro Paese dal gas russo, ma anche come l’Italia stia di fatto pagando il suo ritardo nella realizzazione della transizione energetica.
“La transizione ecologica – ha dichiarato – appare quasi scontata nella sua necessità, al di là di un certo millenarismo. Certo è che oggi saremmo più tranquilli se la transizione ecologica fosse completata”.
Ci sono però alcune considerazioni dalle quali non si può sfuggire.
In primo luogo, è chiaro che un Paese che non ha manifattura possa affrontare la transizione ecologica in modo meno doloroso. E questo non è il caso dell’Italia, anche se la Germania – non certo seconda in termini di manifattura – al momento già utilizza il 45% di energia verde.
In secondo luogo, non è risolto né chiarito il tema di chi sostenga i costi della transizione.
È un tema cruciale, su cui tutti i Paesi si sono arenati.
“Fra le grandi potenze la transizione ecologica è strumento e narrazione. Manca lungimiranza, manca capacità di spendere. Ma fino a che non sarà sciolto il nodo del costo della transizione ecologica, finché ciascun paese non metterà a punto un piano concreto, decidendo chi paga, non si andrà avanti. La transizione deve essere spiegata anche in termini di costi e di chi li sostiene”.

Un tema di politica industriale

Anche Maria Letizia Giorgetti, professore associato in economia applicata dell’Unimi e membro team di esperti in politica industriale del Mise è convinta del fatto che le transizioni di cui tanto si parla vadano accompagnate e non siano automatiche.
Ma è anche convinta che si arrivato il momento di ripensare alla politica industriale nel nostro Paese.
“Negli ultimi anni la politica industriale italiana è stata messa un po’ in crisi perché si è deciso di dare spazio al mercato, con le privatizzazioni. Una scelta legata al fatto che l’intervento dello stato nell’economia, privilegiando alcuni settori e/o attori, generava una asimmetria informativa. Con la pandemia siamo tornati a pensare che lo stato dovesse intervenire, richiedendo un massiccio intervento statale”.
Per questo oggi serve una nuova politica industriale, nella quale politica industriale e concorrenza siano sinergiche e non antitetiche.
“Fare politica industriale non significa mettere in campo azioni anticompetitive. Serve un approccio pragmatico, che promuova una forte collaborazione tra imprese, policy maker e mondo dell’istruzione. Importante è capire dove eravamo deboli prima del COVID e dove lo siamo diventati a causa del COVID,
perché ci fa capire come la politica industriale deve cambiare”.
In tutto questa entra in campo anche la questione della sostenibilità, che trova spazio sia nella missione 1 del PNRR, sia in generale in tutto il Piano di Ripresa e Resilienza, dal momento che è statutario il fatto che nessuna iniziativa legata al Piano debba recare danno all’ambiente.
“Le potenziali sinergie tra transizione digitale e green vanno cercate e accompagnate. Oggi occorre un mix di politica industriale verticale e orizzontale e tutti devono impegnarsi verso questa transizione, che deve essere anche sociale. E in questo ha un ruolo chiave anche la formazione”.

Non solo grandi imprese nella partita della transizione ecologica

Su queste considerazioni interviene anche Manos Raptopolous, presidente della regione South di SAP.
“Nello scenario attuale emergono tre temi forti, sui quali è necessario lavorare. In primis, la trasformazione aziendale, la trasformazione del business è una delle priorità nell’agenda dei nostri clienti. La seconda necessità è quella di blindare supply chain già messe a dura prova dalla pandemia e ora ancora più sotto pressione. Infine, tutti i temi legati all’ESG. Oggi proprio l’ESG  ha raggiunto una soglia di criticità maggiore, anche perché i consumatori ritengono le imprese responsabili rispetto a tutto quanto concerne la transizione green”.
Raptopolous si riallaccia a una delle riflessioni inziali di Carla Masperi: “Da un sondaggio da noi effettuato, emerge che l’87% dei consumatori attribuisce alle imprese una responsabilità importante per affrontare il cambiamento climatico”.
E SAP vuole essere attore di questo cambiamento.
“Del resto – racconta ancora Raptopolous –i nostri 50 anni di storia siamo partiti portando nelle imprese una innovazione che ha cambiato il modo di gestire le imprese stesse. Abbiamo vissuto molte trasformazioni, dalla crisi petrolifera alla bolla internet fino alla pandemia. Le esigenze die nostri clienti guidano il nostro sviluppo e cerchiamo di creare un circolo virtuoso tra le loro richieste e le nostre risposte”.
Anche sulla sostenibilità stanno partendo progetti importanti e Raptopoulos cita esempi di clienti in paesi diversi, dalla Nuova Zelanda alla Spagna.
“Vediamo investimenti in termini di sostenibilità industriale o di cambiamento energetico. Non vediamo ancora aziende creare sistemi di contabilità per il green”.
C’è una urgenza espressa da Raptopoulos: solo il 16% delle imprese europee ha implementato piani di protezione del clima compatibili con gli obiettivi del trattato di Parigi e solo una azienda su 6 sta investendo in modo scientifico per misurare il proprio impatto e reagire di conseguenza.
“Deve essere chiaro a tutti che la partita della transizione non deve vedere in gioco solo le grandi imprese. Anche le PMI notiamo un interesse crescente. Deve essere chiaro che sostenibilità e transizione devono diventare un punto di vantaggio competitivo per il Made in Italy. Dobbiamo fare meglio e prima degli altri”.

Portare la sostenibilità nei processi di business

Carla Masperi - SAP

È di nuovo Carla Masperi che torna a dare concretezza al tema.
“Questa strategia – spiega – porta con sé anche una strategia di prodotto”.
Una intelligent enterprise, che utilizza analisi predittive, process automation e artificial intelligence, può coniugare la crescita della profittabilità e la sostenibilità.
“Del resto – è tassativa – una azienda che non tiene conto della green line non può avere futuro. Una azienda che nella sua strategia non ha il business sostenibile non ha futuro, non è credibile”.
SAP stessa ha iniziato a guardare alls sostenibilità 10 anni fa, integrando temi di sostenibilità con quelli finanziari e presentando il suo primo bilancio di sostenibilità.
“Il nostro obiettivo era portare beneficio non solo all’azienda, ma anche alla comunità. Lo abbiamo comunicato nel 2021 e oggi siamo una delle sette aziende italiane premiate per sostenibilità e l’unica del settore. In SAP Italia abbiamo una dashboard con tutte le emissioni che produciamo ogni mese e attraverso i nostri partner cerchiamo di diffondere questa cultura. Perché la sostenibilità deve diventare una cosa da ecosistema, nella quale noi giochiamo sia il ruolo di promoter ma anche di enabler”.
L’approccio di SAP è chiaro: portare la sostenibilità nei processi di business.
Ma in questo caso, c’è un punto imperativo: “Se una azienda non vuole fare solo greenwashing, deve avere strumenti per misurare la sostenibilità, per dimostrare al mercato che la sua non è una strategia di facciata o di immagine, ma una vera integrazione della sostenibilità nei processi aziendali”.

È l’ora delle business network

Per questo, la strategia Zero e Lode di SAP, quello Zero waste, Zero emission, Zero inequality già citato all’inizio, significa passare da una economia lineare a economia circolare, significa rivalutare la value chain, ottimizzando la logistica distributiva.
“Significa ripensare profondamente la value chain, analizzando la propria rete di fornitori per essere certi che siano sulla stessa linea d’onda. La sostenibilità è un gioco di squadra, non uno sport individuale”.
Qui entrano in gioco gli ecosistemi, anzi i business network. E se i business network si moltiplicano, ecco che si lavora su una scala diversa.
“Dobbiamo pensare che le business network hanno un transato in Italia di miliardi e miliardi. L’azienda del futuro deve colloquiare con il suo ecosistema in un marketplace: il fornitore deve portare sul marketplace una serie di informazioni rilevanti anche in termini ESG, come fairness, trasparenza, tracciabilità, sostenibilità”.

Una sostenibilità “embedded” nel DNA del business

Tocca a Giacomo Coppi, Head of supply chain and manufacturing, tornare a parlare di misurabilità.
“Se prendiamo in esame la trinomia bottom line, top line e green line, siamo consapevoli che top e bottom vengono misurati, ma non la green line. Ma la sostenibilità va di pari passo con la profittabilità della top line. Etica, profittabilità e sostenibilità non sono in contraddizione”.
Coppi mette in luce un punto chiave: “La sostenibilità ha un sottotitolo importante: deve allargare l’orizzonte temporale del beneficio. Questo significa che anche i comportamenti manageriali devono essere orientati a logiche di lungo periodo. È dunque importante accompagnare il top management a ripensare i loro processi in un’ottica sostenibile”.
Sap vuole accompagnare i clienti in modo diretto e indiretto verso le nuove logiche di sostenibilità.
“Il nostro approccio è quello di embeddare la sostenibilità nel DNA del business, far diventare green o social responsbile tutti i processi e i modelli di business, lavorando anche su specifici KPI”.
Gli esempi concreti già ci sono e Coppi cita l’industria della moda nella quale si tanno aprendo dei fronti di circolarità sui prodotti (i vestiti), mentre sulla parte di inequality vengono utilizzate le soluzioni SAP per la gestione del rischio o la gestione dei near miss.
“Diamo strumenti per creare relazioni tra i dati dei diversi processi aziendali. In questo ambito, centrale è la sustainability control tower, una vera e propria torre di controllo della sostenibilità, uno strumento operativo decisionale e strategico”.
La vera novità, è il punto sul quale Coppi insiste, è che i clienti non devono cambiare soluzioni già adottate. Devono aggiungere campi ai processi già implementati: “Con le stesse tecnologie con le quali ottengono top line e bottom line, si ottiene la terza dimensione, che è quella della green line. Aggiungiamo elementi di analisi a soluzioni che già ci sono, attivando insight in tempo reale”.
La sostenibilità, è la conclusione, è un pillar che sta in mezzo a tutti i processi dell’intelligent enterprise: è una vista logica, una terza dimensione.

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