Capitale umano, strategia industriale digitale e competitività: mai come in questo periodo questi tre fattori sono tra loro strettamente legati e mai come ora sono determinanti per cambiare, (ma il termine giusto è “trasformare”) il futuro del nostro paese. E davanti a una trasformazione che ne contiene tante e diverse, da quelle ambientali, ecologiche ed energetiche a quelle industriali e sociali, il ruolo dell’innovazione digitale appare sempre più indispensabile e come sottolinea Alec Ross, Distinguished Adjunct Professor, Bologna Business School; Board Partner, Amplo; e a suo tempo Senior Advisor for Innovation, US Secretary of State, occorre impegnarsi senza esitazione “per fare in modo che si possa concludere questo decennio meglio di come è iniziato. Ma per riuscirci occorrono cambiamenti importanti che si possono sintetizzare, richiamando subito le evidenze della ricerca, in tre grandi temi: la necessità di far crescere il capitale umano digitale, l’impegno per creare una vera politica industriale del digitale e sostenere con decisione il PNRR“.
La ricerca Next Generation DigITALY
Ross parla dal palco del Forum di The European House – Ambrosetti per presentare, insieme a Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia e a Corrado Panzeri, Associate Partner, The European House – Ambrosetti la ricerca Next Generation DigITALY realizzata da The European House – Ambrosetti e Microsoft Italia. E la ricerca, osserva Ross, che è anche autore del best seller dedicato proprio a “I furiosi Anni Venti“, nasce con l’obiettivo di “delineare un quadro di riferimento che permetta di superare le turbolenze di questo decennio“.
L’Italia “soffre” più di altri paesi e questa volta i sintomi sono molto chiari: “carenza di cultura digitale, mancanza di competenze adeguate – denuncia Ross sulla base delle evidenze della ricerca -. Problemi che si traducono in freni che rallentano lo sviluppo“. La ricerca ha voluto anche “tastare il polso” alle aziende con una specifica survey alla quale hanno aderito 130 aziende che si sono espresse in merito a orientamenti e ai livelli di adozione del digitale confermando che le difficoltà che frenano l’adozione del digitale sono da attribuire per il 52% delle imprese alla mancanza di cultura digitale in azienda e per il 48% alla mancanza di competenze. Un messaggio chiaro che conferma la necessità di mettere le persone al centro.
Considerare gli interventi in favore del capitale umano come una emergenza
La criticità rappresentata dal capitale umano digitale per Ross è una vera e propria emergenza, più ancora della burocrazia o della pressione fiscale e invita a mettere i dati della ricerca in relazione anche con altri indicatori come l’indice DESI, Digital Economy and Society Index, della Commissione Europea, che mostra purtroppo un’Italia terzultima in Europa proprio per quanto riguarda il capitale umano digitale. Una criticità che non ci possiamo permettere per ragioni sociali e industriali. Lo sviluppo ha infatti bisogno oggi più che mai di competenze adeguate e nell’analisi di Ross serve agire per dare vita a una politica industriale strategica finalizzata allo sviluppo di ecosistemi di innovazione che possano agire da traino per una trasformazione economica che si affronta unendo la transizione verde e la transizione digitale.
Garantire skill digitali di base ad almeno 2,1 milioni di lavoratori entro il 2026
I dati della ricerca possono essere letti sia come un segnale di allarme sia come un indirizzo chiaro per disegnare questa politica industriale. E Ross lancia una ulteriore denuncia: “gli attuali ritmi di crescita delle competenze digitali nel nostro paese non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi europei”. Il distacco che oggi ci separa dalle altre nazioni rischia di allargarsi se non si interviene. E non è solo un”opinione”: entro il 2026, se l’Italia vuole conservare e aumentare la propria competitività, ha bisogno di garantire skill digitali di base ad almeno 2,1 milioni di lavoratori.
Se poi si alza lo sguardo e si affronta la sfida del 2030, il numero di persone alle quali garantire una formazione digitale adeguata si alza a 20 milioni di concittadini. Appare evidente da questi dati che si tratta di una sfida culturale e se lo sguardo si allarga non solo nel tempo, ma anche in una prospettiva geografica e si estende all’Europa, ecco che appare necessario collocare il nostro paese nell’ambito degli obiettivi previsti dal Decennio Digitale Europeo e si deve lavorare per garantire skill digitali di base all’80% della popolazione. In questo scenario come si fa a non pensare a chi deve guidare e sostenere lo sviluppo della trasformazione nelle imprese e nelle pubbliche organizzazioni? Una domanda che porta Ross ad aggiungere una ulteriore denuncia sottolineando che occorre prestare attenzione non solo alle competenze di base, ma anche a quelle avanzate e anche lì le cose non vanno affatto bene: “l’Italia risulta addirittura e purtroppo ultima a livello europeo per numero di iscritti a corsi di laurea in materia ICT in rapporto alla popolazione con una quota di 0,7 iscritti ogni mille abitanti” ed è lontanissima non solo da paesi come la Finlandia a quota 5,3, ma anche da paesi per certi aspetti più “vicini” sotto tanti aspetti come la Germania a quota 2,9, la Spagna a 2,5 o la Repubblica ceca a 1,9.
Massima focalizzazione sul PNRR, il ruolo dell’ecosistema digitale
Ross mette poi le “mani avanti” e dichiara che “non ci sono scuse” in merito alle difficoltà di questa sfida culturale. È stato fatto e si può fare e cita la sfida avviata dalla Cina su una popolazione di gran lunga superiore al miliardo di persone e soprattutto quella degli Stati Uniti, alla quale ha contribuito collaborando con l’amministrazione Obama in una fase tra l’altro difficilissima caratterizzata dalla crisi finanziaria ed economica
Ma il richiamo costante di Alec Ross alla necessità di una strategia di politica industriale specifica legata al digitale non è solo connessa alla priorità da dare al capitale umano come fattore abilitante, tanto in termini culturali quanto per la competitività, ma ha un terzo punto di attenzione e riguarda la necessità di garantire certezze e focalizzazione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. “Una occasione unica per l’Italia – prosegue Ross nella sua analisi -, in termini di progetti e di potenzialità. Ma per sostenere questa opportunità occorre fare di più anche a livello di ecosistema digitale, che, come appare dalla ricerca, è sottodimensionato rispetto ad altri paesi europei. L’Italia è al quarto posto in Europa per numero di aziende attive nel settore ICT con un numero che supera le 104mila unità, ma scende al decimo posto nella classifica che misura i ricavi medi per azienda del settore ICT con 1,23 milioni di euro inferiore alla media europea di 1,33.
Il “si può fare” che caratterizza l’intervento di Ross è anche in questo caso un invito esplicito a prendere l’iniziativa perché come afferma se le imprese ICT italiane fossero nella condizione di raggiungere le dimensioni di quelle tedesche i benefici sarebbero indiscutibili sia per il comparto che potrebbe triplicare sia a livello di PIL.
Candiani: agire subito per creare oggi la forza lavoro del futuro
Per Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia questa ricerca arriva come una ulteriore conferma della centralità dell’agenda dell’innovazione tecnologica per lo sviluppo del paese e ricorda quanto sia importante pensare e agire subito, oggi, per creare la forza lavoro del futuro. “Il contrasto alla disoccupazione giovanile – osserva – è un dovere importantissimo, ma è anche una grande opportunità, non solo perché permette di mettere fine a uno spreco di talenti, ma consente di agire su un fattore che rallenta la diffusione di tecnologia”.
E davanti a una sfida così importante, che deve coinvolgere milioni di cittadini, c’è la “necessità di unire le forze e di spingere sulla creazione di un vero ecosistema digitale”. In questo senso Candiani ricorda anche i risultati raggiunti grazie al piano Ambizione Italia con la formazione di due milioni e mezzo di persone grazie al coinvolgimento e al lavoro di tanti partner. “Un percorso che – come afferma Candiani – ha anche permesso di capire con maggior precisione cosa funziona e cosa si può fare in termini di sviluppo e di formazione digitale della forza lavoro”.
Il digitale al servizio di una innovazione di prodotto e di processo
Ma accanto allo sviluppo delle competenze Candiani richiama la necessità di creare le condizioni perché il digitale entri veramente in azienda e arrivi a tutti gli effetti a permeare il business. In questo senso vale ricorda un altro dato particolarmente significativo della ricerca che attiene al ruolo dell’innovazione digitale per abilitare una innovazione di prodotto e una innovazione di processo oggi fondamentali per attuare una trasformazione industriale e sociale che sappia rispondere agli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale e di creazione di nuove forme di competitività.
Ma anche su questo punto occorre fare di più in termini di sviluppo del digitale. L’Italia è il paese delle PMI dove le piccole sono molto numerose e investono in proporzione meno delle grandi in tecnologia. Candiani ricorda che la tecnologia è l’unica forza deflattiva. Chi investe in innovazione per mettere i dati al servzio, ad esempio, di una innovazione di processo è in grado di ottenere velocemente benefici in termini di riduzione dei consumi energetici. I vantaggi sono molto evidenti e consistenti e sono sempre più importanti tanto per le imprese quanto per la collettività.
Capire con precisione le esigenze delle imprese e attuare una vera alleanza per il lavoro
Candiani ritorna poi sul ruolo del PNRR ricordando che su questi temi ci sono le risorse, ma occorre forse uno sforzo speciale a livello di semplificazione. Le imprese stanno utilizzando ancora poco questi strumenti perché è difficile, perché c’è il timore di sbagliare ed è necessario un lavoro per semplificare i meccanismi e garantire nello stesso tempo maggiore continuità perché anche i troppi cambiamenti rischiano di disorientare. Ma focalizzare l’attenzione sullo sviluppo significa anche coinvolgere e condividere con i differenti stakeholder gli obiettivi intermedi relativi agli interventi presenti nel «Piano Italia Digitale 2026» in termini di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e di realizzazione della banda larga e “agganciare” queste prospettive con gli obiettivi legati alla digitalizzazione dell’ecosistema produttivo in uno scenario che permetta di attuare anche meccanismi di co-investimento a favore delle PMI perché possano accelerare la trasformazione digitale. In questo senso l’altro punto che emerge dalla ricerca riguarda, come sottolinea Candiani la capacità e necessità di “unire le forze” con le imprese private, le associazioni di categoria, i cittadini e tutti coloro che possono trarre benefici dall’implementazione del PNRR e dalla trasformazione digitale del Paese.
Perché, cosa fa la differenza tra un paese che cresce tanto e un paese che va più lentamente? Si domanda in conclusione Candiani: “la presenza di un ecosistema digitale e la capacità – aggiunge – di unire le forze, di capire con precisione di cosa hanno bisogno le aziende e portare attenzione e investimenti esattamente dove sono necessari. E, come conclude Ross tornando sul tema del capitale umano, con la capacità di creare una vera e propria alleanza per il lavoro, con un piano di lungo termine, che sappia coinvolgere anche in questo caso tutti gli stakeholder, dalle aziende, alle istituzioni, a tutto il mondo scolastico, con obiettivi chiari e concretamente misurabili.