DIGITAL FOR ESG

Il petrolio dei dati come “cibo” dell’innovazione



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La trasposizione nel mondo digitale dell’approccio al cibo proposto da Slowfood rappresenta una visione del mondo tecnologico nel quale si creano le condizioni per una nuova “circolarità” che non si limita alla dimensione materiale, ma va a coprire e gestire le complesse dimensioni dell’economia immateriale

Pubblicato il 26 feb 2025

Mauro Bellini

Direttore Responsabile ESG360.it, EnergyUP.Tech e Agrifood.Tech



Pietro Jarre, fondatore di Sloweb
Pietro Jarre, fondatore di Sloweb

L’espressione secondo la quale “i dati sono il nuovo petrolio” rappresenta in modo molto efficace il rapporto tra innovazione digitale e sviluppo e economico. Nello stesso tempo questo parallelismo è oggi di aiuto per aiutarci a comprendere che, come il petrolio, anche i dati hanno un effetto a livello di cambiamento climatico.

Per estrarre il petrolio dal sottosuolo c’è bisogno com’è noto di pompe, mentre a estrarre o produrre dati ci pensano soprattutto i nostri smartphone, in mano a miliardi di persone in ogni momento della giornata. Questo device è di fatto un’interfaccia per utilizzare decine e decine di strumenti che producono dati e che ci permettono di digitalizzare la nostra realtà, le nostre esperienze, le nostre relazioni. Un oceano di dati “pompati” ogni singolo secondo che si consegnano, con tutto il loro valore, alle piattaforme digitali.

Ed è qui che entra in gioco l’idea di Sloweb, una trasposizione nel mondo digitale dell’approccio al cibo proposto da Slowfood, il cui motto è “per un cibo buono, pulito e giusto”. (Leggi anche l’articolo Sloweb: perché all’ESG serve una trasformazione sostenibile del digitale n.d.r.)

Il digitale per costruire infrastrutture sostenibili

“A partire dagli Anni ’80 usavo il digitale per progetti di infrastrutture sostenibili – spiega Pietro Jarre, fondatore di Sloweb -. Ho poi iniziato in anni lontani dal punto di vista dell’innovazione, a realizzare progetti che, grazie al digitale, facevano propri gli obiettivi di sostenibilità, e ho sentito la necessità di applicare quei principi anche all’utilizzo stesso del digitale a livello personale e aziendale”.

Nel suo racconto Jarre osserva che la prima regola per procedere in questa direzione è quella di saper selezionare bene i dati. “Siamo in un contesto in cui gli ingegneri e i tecnici in generale tendono ad accumulare dati, soprattutto quando non è chiaro cosa si sta cercando. Occorre far crescere una cultura secondo la quale non dobbiamo sempre pensare che servono tanti dati, ma dobbiamo pensare che servono i dati giusti”.

Concretamente, anche dal punto di vista progettuale occorre passare da una logica che tende ad aggiungere sensori alle strutture e alle infrastrutture di sensori, mentre occorre predisporre i sensori giusti al posto giusto. Si deve uscire dalla logica che porta ad accumulare tanti dati per arrivare poi a scoprire che più dell’80% di quei dati oggi non viene nemmeno toccato. Occorre evitare di riempire i data center di dati che sono inutilizzati o sottoutilizzati ma che richiedono comunque capacità di storage, energia, acqua, suolo.

E si arriva anche all’Intelligenza artificiale: “quando si mette in moto l’AI – osserva Jarre – entrano in gioco strumenti energivori e anche in questo caso occorre imparare a utilizzare l’AI se effettivamente serve e solo quando serve. Perché se il digitale vuole essere utile alla sostenibilità, non può non essere sostenibile”.

Le dimensioni della sostenibilità

C’è poi un’ulteriore riflessione nel rapporto tra digitale e sostenibilità che riguarda le diverse dimensioni della sostenibilità nella quale rientrano l’impatto ecologico, l’impatto sociale, e naturalmente l’impatto economico. “Oggi nasciamo, viviamo, studiamo, lavoriamo, compriamo beni e servizi sempre accompagnati dal digitale. Nella sua “accoppiata” con i social media – afferma Jarre – il digitale sta mancando alla promessa che doveva portare più democrazia e meno povertà. Grazie al digitale e all’e-commerce abbiamo certamente una semplificazione nell’accesso ai beni di consumo, con un enorme impatto ambientale, sociale ed economico che dobbiamo imparare a misurare e controllare, altrimenti appunto si perde in democrazia e si perde in ricchezza collettiva.

Accanto a questa dimensione c’è poi quella, ancora più preoccupante, della dipendenza dalle tecnologie. C’è un costo sociale che deve essere analizzato e compreso e che attiene, ad esempio, alle scelte che non possono più essere effettuate se non attraverso un device digitale, perché le eventuali alternative, anche semplicemente come possibilità di disporre di un servizio pubblico, sono sparite o sono diventate inaccessibili per chi non dispone di competenze adeguate”.

La valorizzazione sociale ed economica di questo fenomeno dovrebbe riguardare sempre di più anche le imprese perché questa dimensione è destinata a cambiare il sistema di relazioni con le persone, i cittadini, i consumatori. Quando si parla di impatto si pensa prima di tutto a quello ambientale ma qualsiasi azione imprenditoriale ha un impatto sociale sul territorio su cui opera e questo principio vale anche per l’impatto del digitale.

Il digitale sostenibile e l’uso sostenibile del digitale

Alcuni presupposti sono già ben presenti. Ad esempio, il processo di creazione dei dati dovrebbe sempre comprendere anche una valutazione di impatto. Si dovrebbe dimostrare che i dati da raccogliere sono quelli che servono e si dovrebbero qualificare la finalità. Occorrerebbe poi predisporre una analisi di rischio, per evidenziare le conseguenze legate all’utilizzo di determinate tecnologie, e nello stesso tempo occorre evitare di adagiarsi sulla convinzione che il digitale sia per definizione giusto, pulito e democratico, a prescindere. Per questo sarebbe opportuno mettere alla prova qualsiasi applicazione anche dal punto di vista dell’impatto.

Tutto questo non deve farci dimenticare che il digitale permette di trasformare prodotti e processi in modo sostenibile, ma è un percorso che perde gran parte del suo valore se il digitale stesso che si utilizza non è sostenibile.

Jarre sottolinea che dietro a questa esigenza non c’è solo una questione etica, bensì un tema di business, perché sarà sempre più evidente in futuro che il business sostenibile ha tutte le caratteristiche per essere anche il business più profittevole.

“Le aziende più sostenibili – prosegue – sono più stabili e resilienti, dispongono di maggiori strumenti per la gestione dei rischi, esprimono una migliore capacità di previsione. Le imprese che integrano la sostenibilità nel loro core business e nei loro processi riescono ad avere il coinvolgimento attivo di tutto il personale e di tutti gli stakeholder. Lo spirito e la missione di Sloweb – conclude – è proprio quella di stimolare e sostenere la creazione di un digitale sostenibile contemporaneamente a un uso sostenibile del digitale”.


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