Il rapporto tra moda e sostenibilità nasce da un paradosso legato alla possibile incompatibilità tra la natura mutevole della moda, legata a modelli di business incentrati sul consumo incessante di nuovi capi di abbigliamento, e il concetto di sostenibilità, associato invece ai temi della durabilità e della responsabilità. Tuttavia, tale paradosso si dissolve quando la moda è concepita in un senso più ampio.
Cos’è la moda sostenibile
La moda sostenibile può essere vista come un meccanismo che promuove modi di vivere più consapevoli e impegnati in un pianeta troppo prezioso per essere depauperato delle sue risorse. In questo contesto, l’industria della moda ha l’opportunità di adottare un approccio diverso, bilanciando il profitto e la crescita in un concetto di purpose, con la creazione di valore aggiunto e prosperità per l’ambiente, la società e l’economia globale.
L’obiettivo della moda sostenibile consiste, infatti, nell’instaurare ecosistemi e comunità fiorenti attraverso iniziative che possono comprendere: l’aumento del valore della produzione e dei prodotti locali, l’estensione del ciclo di vita dei materiali, la riduzione dei rifiuti e dei danni ambientali derivanti dalla produzione e dal consumo, ma anche l’educazione dei fashion addicted a un consumo rispettoso dell’ambiente e quindi, l’incremento dell’apprezzamento per capi di abbigliamento senza tempo,
Sustainable fashion come stile di vita
La moda sostenibile, anche conosciuta come sustainable fashion, sta guadagnando sempre più risonanza nell’industria dell’abbigliamento, della pelletteria e delle calzature. Questo anche perché sempre più persone sono consapevoli dell’importanza di adottare uno stile di vita eco-friendly e di fare scelte responsabili per l’ambiente e per il benessere sociale. Salvaguardare l’environment e tutelare i lavoratori sono le due direttrici che segnano la strada di questo cambiamento epocale.
La moda sostenibile rappresenta un movimento e un processo volti a promuovere un vero e proprio cambiamento di paradigma nel “sistema moda” verso una maggiore integrità ecologica e giustizia sociale. Infatti, tale approccio non è esclusivamente limitato alla catena di produzione, bensì presuppone di considerare le interconnessioni complesse e di lungo periodo tra contesti economici e finanziari, materiali ed ecologici, sociali e culturali, che coinvolgono vari livelli produttivi e, in un’inedita posizione, anche i consumatori finali.
Tenere conto degli impatti ambientali, sociali ed economici
L’importanza di adottare un pensiero sistemico o system thinking nel mondo della moda emerge dalla constatazione che i benefici derivanti da iniziative a livello di prodotto, come la sostituzione di materiali meno ecologici, possono essere vanificati dagli effetti negativi causati dall’aumento del volume complessivo dei prodotti. Si può dire dunque che la moda sostenibile tiene conto degli impatti ambientali, sociali ed economici dell’intero ciclo di vita di un capo di abbigliamento, con una produzione sostenibile, ma anche una distribuzione e un consumo sostenibili.
Ripensare un settore tanto vasto significa riconvertire in senso etico e sostenibile una grossa fetta dell’economia mondiale. Inoltre, poiché siamo tutti inevitabilmente coinvolti nella questione, sia per la basilare esigenza di vestirsi sia perché chiunque è al tempo stesso attore e vittima di questa industria, ripensare gli approcci al fashion system significa poter essere parte di un cambiamento globale semplicemente comprando una maglietta. Un gesto che se ripetuto per milioni di volte da milioni di persone, potrebbe fare la differenza aiutando la moda ad allontanarsi dai concetti di frivolezza e apparenza, e avvicinarsi a quelli di ambiente e società.
Gli obiettivi della sustainable fashion
La sustainable fashion si propone di ridurre l’utilizzo di risorse naturali (energia e acqua) in fase di produzione e di limitare il flusso di rifiuti e sprechi nella fase di utilizzo e smaltimento facendo leva sul riciclo, quindi riutilizzare tutto il possibile e di buttare via solo lo stretto necessario. Sempre a livello ambientale, occorre mitigare l’inquinamento e il contributo alle emissioni di gas serra con i trasporti di materie prime e prodotti e l’uso di sostanze chimiche.
Sul piano sociale invece è urgente migliorare le condizioni di lavoro e della retribuzione di tutti i lavoratori che si nascondono dietro i marchi della moda (agricoltori che coltivano i materiali per i tessuti, operai che ricamano i pezzi) che devono far fronte a condizioni di sicurezza e salute precarie, oltre che salari iniqui.
La moda sostenibile si contrappone al “fast fashion“ che fa riferimento alla produzione di circa 10/12 collezioni all’anno che traggono ispirazione dall’alta moda, ma sono realizzate con materiali di bassa qualità e offerte a prezzi molto bassi e con volumi di vendita elevati, spingendo i consumatori a rinnovare continuamente il proprio guardaroba per restare aggiornati con le nuove tendenze, che diventano a loro volta obsolete nel giro di una stagione o addirittura di pochi mesi.
Il ruolo del green fashion e della moda ecosolidale
Oltre a una diminuzione della qualità, questo consumismo istituzionalizzato ha inevitabilmente portato – per sostenere questi elevati volumi di produzione – a delocalizzare la produzione verso Paesi del cosiddetto terzo mondo, in condizioni di lavoro precarie e talvolta impegnando anche manodopera minorile. Inoltre, la quantità massiccia di prodotti progettati per un utilizzo “usa e getta” ha comportato un costo eccezionalmente alto in termini di inquinamento e spreco di risorse, specialmente per quanto riguarda l’uso dell’acqua. Tanto che l’industria della moda costituisce una delle principali fonti di inquinamento, seconda solo all’industria petrolifera.
Da notare che i concetti di “green fashion” o “moda ecosolidale” (che pongono l’accento sull’aspetto ambientale) e “moda etica” (che si concentra principalmente sull’aspetto sociale), sebbene manifestino l’intenzione di affrontare questioni ambientali e sociali, spesso affrontano problemi in modo isolato, tralasciando la prospettiva sistemica che è propria della moda sostenibile.
Perché scegliere la moda sostenibile
Il settore della moda esercita un’influenza fondamentale nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Si tratta infatti di un’industria globale da 2,4 trilioni di dollari che impiega circa 300 milioni di persone lungo tutta la catena del valore – molte delle quali sono donne – e si prevede che le dimensioni del settore cresceranno nei prossimi anni. Un ruolo fondamentale anche in questo settore è svolto dall’ESG.
La dimensione e la portata globale del settore della moda rendono le pratiche insostenibili al suo interno profondamente consequenziali per gli indicatori di sviluppo sia sociali che ambientali. In assenza di trasformazioni sostanziali nei metodi di produzione e nelle abitudini di consumo che caratterizzano la fashion industry, il peso sociale e ambientale del settore continuerà ad accumularsi.
L’industria dell’abbigliamento è una delle più inquinanti al mondo. Basti pensare alla quantità di capi di abbigliamento a basso costo prodotti, indossati e poco dopo gettati via che è aumentata in modo esponenziale, generando quantità spaventose di rifiuti tessili che finiscono per accumularsi in discarica ma si riversano anche nei mari contribuendo all’inquinamento idrico (che per il 20% dipende proprio dall’industria della moda).
Ma le conseguenze si fanno sentire dalla fase di produzione rispetto al consumo eccessivo di risorse naturali e sono legate anche alla quota altissima di emissioni di gas serra (dall’8% al 10% delle emissioni globali) in tutto il ciclo di vita dei capi di abbigliamento, dalla piantagione del cotone ai trattamenti dei materiali fino ai vari lavaggi degli indumenti a casa.
ESG: attenzione all’Environmental, ma anche al Social e alla Governance
Per non parlare poi del fatto che la delocalizzazione della produzione in paesi con basse paghe e condizioni di lavoro precarie ha portato a situazioni in cui i lavoratori non possono negoziare il loro salario o condizioni di lavoro decenti. Le donne rappresentano l’80% della forza lavoro nel settore tessile, e spesso sono soggette ad abusi e condizioni di lavoro insicure.
I marchi di moda devono assumersi la responsabilità della produzione e dello smaltimento dei loro prodotti, i consumatori devono rallentare il ritmo degli acquisti, preferendo prodotti sostenibili e di seconda mano, e i governi devono regolamentare l’industria per garantire salari giusti, condizioni di lavoro sicure e una produzione sostenibile. Come con la rivoluzione “slow food” è possibile apportare cambiamenti positivi nell’industria della moda, ma richiede l’impegno di tutti noi come consumatori.
Utilizzare abiti sostenibili contribuisce a ridurre l’impatto ambientale, promuove condizioni di lavoro dignitose e sostiene marchi che si impegnano a fare la differenza. Inoltre, la moda sostenibile è spesso sinonimo di alta qualità e durata. Ciò significa che gli abiti dureranno più a lungo, riducendo la necessità di acquisti frequenti e contribuendo a una riduzione complessiva dei rifiuti.
Moda sostenibile: un’opportunità per guidare il cambiamento
In un’epoca in cui l’attenzione per l’ambiente e la sostenibilità è al centro delle preoccupazioni globali, è fondamentale considerare l’adozione della moda sostenibile come una scelta strategica e responsabile per i brand. La sostenibilità non è più solo una tendenza, ma una necessità per sopravvivere e prosperare nel mercato attuale.
Scegliere la moda sostenibile offre poi numerosi vantaggi. In primo luogo, rispondere alle crescenti richieste dei consumatori attenti all’ambiente permette di ampliare la base di clienti che sono sempre più consapevoli dell’importanza di fare scelte sostenibili e sono disposti a premiare le aziende che agiscono in modo responsabile.
Riducendo l’utilizzo di risorse naturali, l’energia e l’acqua, si configura la concreta opportunità di ottimizzare i processi produttivi e ridurre i costi. Inoltre, l’adozione di materiali sostenibili spesso garantisce una maggiore durabilità dei prodotti, riducendo così il tasso di resi e aumentando la soddisfazione del cliente. In ultimo ma non da ultimo, investire nella moda sostenibile può migliorare la reputazione del brand. Essere riconosciuti come un’azienda che si impegna per la sostenibilità permette di costruire un rapporto di fiducia con i clienti e di attrarre investitori e partner che condividono questi stessi valori.
Il ruolo dei materiali e delle decisioni sostenibili
Prendere decisioni sostenibili oggi significa investire nel successo e nella sopravvivenza del vostro brand domani. Per abbracciare la moda sostenibile, è importante prendere in considerazione diversi aspetti. Anzitutto, scegliere di utilizzare materiali sostenibili, come il cotone biologico, il bambù, la canapa, il poliestere o il nylon riciclato, rispetto a quelli sintetici non biodegradabili e tossici. Ridurre lo spreco di materie prime e il consumo di acqua ed energia è importante adottando pratiche di produzione efficienti, migliorando la gestione della catena di approvvigionamento e riducendo il confezionamento e i materiali superflui.
Anche promuovere il riciclo dei materiali e incoraggiare i consumatori a riutilizzare abiti è un passo importante verso la sostenibilità. Alcune aziende offrono servizi di riparazione per prolungare la vita dei prodotti. Fornire informazioni trasparenti sulla catena di approvvigionamento e le pratiche aziendali ai consumatori è fondamentale per costruire una buona base di trust comunicando apertamente sugli sforzi per ridurre l’impatto ambientale e sociale. Infine, si tratta di lavorare insieme ad altre aziende, organizzazioni non governative, governi e istituti di ricerca per condividere conoscenze e risorse per promuovere la moda sostenibile e condividere i rischi a livello economico.
Dove trovare abbigliamento etico oggi
La moda sostenibile sta guadagnando sempre più spazio sul mercato, grazie all’impegno di designer e marchi che abbracciano valori etici e ambientali. Oggi esistono molte opzioni per trovare abbigliamento etico sia online che nei negozi fisici. Sono molti i marchi che dedicano sezioni delle loro linee alla moda sostenibile utilizzando fibre naturali e una filiera protetta per ridurre gli sprechi, l’inquinamento e lo sfruttamento dei lavoratori.
Dai marchi di lusso come Stella McCartney con capi super glam senza derivati animali e tessuti come lo shaggy deer, che sembra camoscio ma non lo è e Gabriela Hearst, con una linea honest luxury fatta di materiali di alta qualità e un’impronta ecologica. Così come marchi casual come Patagonia, il brand outdoor che si distingue per il concetto di “Worn Wear”, che consente ai clienti di restituire articoli in buone condizioni in cambio di nuovo credito sulla merce, e persino quelli a basso costo come H&M che ha lanciato un programma di abbigliamento di seconda mano. In Italia c’è Casasola, brand fiorentino che utilizza materie prime certificate per creare capi di alta qualità dalla supply chain trasparente e tracciata. O anche Themoirè, brand milanese che realizza borse e capispalla con materiali vegani e sostenibili al 100%. Una esperienza particolare arriva da Save The Duck che ha messo la sostenibilità al centro del brand.
Le aziende europee trainano la transizione green della moda
Dal recente report sulla Moda condotto dall’Area Studi Mediobanca, che ha analizzato i dati finanziari e dei bilanci di sostenibilità delle 80 maggiori multinazionali della moda con ricavi superiori a un miliardo di euro ciascuna (di cui 37 hanno sede in Europa, 29 in Nord America, 12 in Asia e due in Africa) e delle 175 Maggiori Aziende Moda Italia con fatturato individuale superiore a 100 milioni, si evince una crescente attenzione verso le tematiche ESG, con una sempre maggiore determinazione a realizzare un futuro più sostenibile e a salvaguardia dell’ambiente.
Le emissioni di CO2 sono diminuite, passando da 1.239 tonnellate per milione di fatturato nel 2021 a 1.055 nel 2022, con una riduzione complessiva del 15%. Le aziende europee si sono distinte con una riduzione del 30%, rispetto all’11% delle nordamericane.
Anche la produzione di rifiuti ha subito un calo, passando da 2,8 tonnellate per milione di fatturato nel 2021 a 2,5 nel 2022, segnando un decremento dell’11%. In questo ambito, i grandi gruppi europei si sono dimostrati più virtuosi con una riduzione del 19%, mentre quelli nordamericani hanno registrato un aumento del 2%. Parimenti, la quota di rifiuti riciclati è aumentata dal 70,1% nel 2021 al 73,9% nel 2022, con le aziende europee che hanno raggiunto il 72,8% (+3,5 punti percentuali rispetto al 2021) e i gruppi statunitensi che sono arrivati all’84,9% (+0,2 punti percentuali rispetto al 2021).
Inoltre, l’impiego di fonti rinnovabili è cresciuto dal 55,6% nel 2021 al 60,6% nel 2022, con i grandi gruppi europei che hanno ancora una volta dimostrato un maggiore impegno rispetto a quelli nordamericani (70,5% contro 50% nel 2022). Infine, i consumi idrici sono diminuiti del 18%, passando da 316 metri cubi di acqua per milione di fatturato nel 2021 a 258 nel 2022. In questo caso, i gruppi nordamericani si sono dimostrati più virtuosi (-19%) rispetto a quelli europei (-16%).
Tuttavia, molto c’è da fare per quanto riguarda la digitalizzazione. Utilizzando un sistema di rating proprietario sviluppato congiuntamente da Mediobanca Research e Google per valutare la maturità digitale delle aziende, emerge che le medie imprese del settore moda sono più avanzate nella digitalizzazione rispetto alla media della manifattura italiana. Il 30% delle aziende analizzate rientra nella categoria degli “esordienti”, ossia imprese che si trovano ancora nelle fasi iniziali del percorso di digitalizzazione, rispetto al 39% della media manifatturiera. Il 65% delle imprese della moda è classificato come “sperimentatrici”, aziende che hanno già una visione digitale ben definita ma che potrebbero sfruttare ulteriormente le opportunità tecnologiche, rispetto al 56% della media manifatturiera. Solo il 5% delle aziende del settore moda è considerato “innovatore”, con una robusta infrastruttura digitale, processi organizzativi all’avanguardia e una forza lavoro altamente qualificata in ambito digitale.
Giovani e donne nel mercato della moda
Sempre secondo l’analisi di Area Studi Mediobanca, il 36% della forza lavoro nelle principali multinazionali della moda è costituito da giovani sotto i 30 anni. Questo dato è particolarmente elevato nelle aziende statunitensi, dove arriva al 48%, mentre le compagnie europee sono in linea con la media globale. Più nel dettaglio, le aziende tedesche e britanniche registrano percentuali superiori, rispettivamente al 43% e al 41%, mentre le italiane si fermano al 25%. Il ricorso al lavoro part-time è più diffuso tra i gruppi statunitensi (51%) e tedeschi (41%), con le aziende italiane che registrano il tasso più basso (9%) dopo quelle cinesi (1%).
Per quanto riguarda la diversità di genere, la presenza femminile tende a diminuire con l’aumentare del livello di responsabilità aziendale: le donne rappresentano il 66% della forza lavoro complessiva, ma solo il 45% nei ruoli dirigenziali e il 33% nei Consigli di Amministrazione (CdA). Le multinazionali statunitensi hanno una maggiore rappresentanza femminile nei CdA (40%) rispetto a quelle europee (34%). Tra le aziende europee, quelle francesi si distinguono con quasi la metà dei membri del board costituita da donne, seguite dalle tedesche (29%) e dalle italiane (31%). Inoltre, le aziende francesi registrano la più alta percentuale di donne nei ruoli dirigenziali (56%), seguite dagli italiani (49%) e dagli statunitensi (47%). Le donne giapponesi sono le meno rappresentate, con solo una su dieci nei CdA e il 22% nei ruoli dirigenziali. In contrasto, le aziende cinesi impiegano una forza lavoro prevalentemente femminile, con una percentuale del 76%.
Moda sostenibile e supply chain: l’Europa punta sulla qualità
Per quanto concerne la supply chain, i fornitori dei maggiori player mondiali della moda sono localizzati per il 62% in Asia, per il 29% in Europa e per il 7% nelle Americhe, con punte di oltre il 90% in Asia per le calzature sportive. Il ricorso a fornitori asiatici è più accentuato nei gruppi nordamericani, che fanno ricorso al 73% di fornitori asiatici, rispetto al 43% delle aziende europee, le quali preferiscono mantenere oltre la metà dei loro fornitori (53%) nel Vecchio Continente, puntando su una strategia di prossimità per garantire maggiore qualità.
Per le multinazionali dell’alta gamma, la produzione è fortemente concentrata in Europa, con il 77% dei fornitori situati nel continente, rispetto al 13% dei player di fascia economica. Solo il 19% dei fornitori di alta gamma è asiatico, contro il 76% dei fornitori per il mass market. Un segnale chiaro dell’eccellenza del Made in Italy è che il 29% dei fornitori dei gruppi europei della moda ha sede in Italia, una quota che sale ai due terzi per i player del lusso, confermando l’Italia come il principale produttore di alta moda a livello mondiale.
Nel 2022, quasi 2,25 milioni di persone erano impiegate direttamente dagli 80 principali operatori mondiali della moda, con un incremento di oltre 48.000 unità rispetto al 2019 (+2,2%). I gruppi europei hanno visto un’accelerazione significativa (+8,5% rispetto al 2019), mentre i gruppi nordamericani hanno registrato un ridimensionamento (-7,4%). In media, il 53% dei dipendenti delle multinazionali europee lavora in Europa, il 23% in Asia, il 15% in Nord America, il 6% in America Latina e il 3% in Africa.
Articolo aggiornato al 21 agosto 2024