Sicurezza agroalimentare e Covid-19: il caso Grecia – Grana Padano

L’analisi di Filippo Maria Renga, Direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood, Direttore Scientifico di AgriFood.tech, sulla richiesta della Grecia di una “certificazione virus free” per il formaggio e sull’importanza di accelerare sull’innovazione digitale per l’agrifood

Pubblicato il 01 Mar 2020

Filippo Renga, Condirettore dell'Osservatorio Smart Agrifood

Siamo tutti rimasti sorpresi nei giorni scorsi dalla richiesta arrivata dalla Grecia di ottenere una certificazione “virus free” per una partita di Grana Padano in arrivo da Cremona. Al di là della situazione contingente, subito risolta dai dirigenti del caseificio cooperativo Fattorie Cremona che ha provveduto a fornire tutta la documentazione richiesta, ci sono tre grandi temi che questa richiesta, del tutto arbitraria e per fortuna isolata, pone all’attenzione della comunità agroalimentare.

  1. Un primo tema è doverosamente legato all’impatto del Coronavirus sulla catena agroalimentare. E su questo primo punto dobbiamo subito richiamarci all’EFSA (European Food Safety Authority) che sul proprio ufficiale dichiara che “L’EFSA non è attualmente coinvolta nella risposta al nuovo focolaio di coronavirus in Cina poiché il cibo non è stato identificato come probabile fonte o via di trasmissione del virus”.(Vai al sito Efsa QUI), sia a fonti attribuite alla Commissione Europea e riportate da un lancio dell’Ansa nella quale si dice  “Non ci sono evidenze di un pericolo di trasmissione del coronavirus tramite alimenti” (Vai all’articolo Ansa QUI). Da leggere le prese di posizione di Confagricoltura, del Consorzio Grana Padano, del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali nel servizio Sicurezza alimentare: non serve un bollino “coronavirus free”
  2. Un secondo tema di protezione del Made in Italy in generale, a fronte di situazioni in cui in modo legittimo o strumentale si possono verificare situazioni che penalizzano i prodotti italiani. Non solo per le ben note frodi che fanno leva sull’italian sounding, ma anche per affrontare situazioni di emergenza.
  3. Un terzo tema di accelerazione dell’innovazione digitale per il sistema agroalimentare a livello di sistema paese in modo che, come alcune aziende stanno già facendo, si possa garantire l’identità e la storia precisa di ogni singola unità di prodotto. Il tutto, non solo per le aziende più virtuose, più sensibili e più disponibili a investire, ma anche per il sistema agroalimentare italiano nel suo complesso.

Partendo dal caso “Grecia – Grana Padano” abbiamo voluto capire il ruolo sempre più importante che può svolgere il digitale con Filippo Maria Renga nella duplice veste di Direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood e di Allevatore socio del Caseificio Cooperativo Fattorie Cremona (vai al sito di Fattorie Cremona) direttamente coinvolto in questa richiesta di informazioni arrivata dalla Grecia. (Filippo Maria Renga è anche Coordinatore scientifico di questa testata n.d.r.)

Qual è la tua posizione come imprenditore in merito al tema del rischio coronavirus associato ai prodotti agroalimentari, ricordando, come già abbiamo fatto, le posizioni di Commissione Europea ed Efsa?

Non sono un esperto, ma tutte le fonti, unanimemente escludono categoricamente questa possibilità. Le imprese e le organizzazioni di tutti i paesi dovrebbero prima di tutto fare riferimento alle indicazioni scientifiche che arrivano dalle istituzioni preposte. Qualsiasi iniziativa che non sia basata su pronunciamenti o indicazioni scientifiche rischia solo di creare confusione o di prestarsi a facili strumentalizzazioni.

Come hai vissuto, come allevatore socio del caseificio cooperativo Fattorie Cremona, questa richiesta? 

L’ho vissuta indirettamente. Inizialmente c’era preoccupazione perché questa richiesta ha creato un senso di incertezza diffusa, per un certo periodo è sembrato quasi uno scherzo. Possiamo dire che è stata una ulteriore conseguenza dell’allarmismo collegato a questa situazione, cui purtroppo chiaro che l’Italia si è fatta trovare impreparata.

A parte la Grecia, ritenete che la situazione Coronavirus abbia aumentato la sensibilità dei consumatori sui temi della sicurezza alimentare? 

Non sembra particolarmente. Dobbiamo dire che sulla sicurezza alimentare c’è una crescita di attenzione a prescindere da questa emergenza e serve alimentare questa domanda di informazioni e di conoscenza sui prodotti con iniziative strutturali. L’emergenza e la crescita culturale sui temi della sicurezza alimentare sono due fatti indipendenti. Guardandolo in senso positivo, questa esperienza dimostra che il nostro sistema di prodotti a denominazione di origine protetta è in grado di rispondere tempestivamente a questi problemi.

Com’è a tuo avviso la situazione dell’agroalimentare alla luce di questa emergenza Coronavirus?

Il settore agroalimentare è stato influenzato più dal panico che si è generato che dagli effettivi collegamenti diretti con questo virus. Alcuni effetti si vedono comunque e sono rilevanti: i controlli alle dogane sono aumentati e per questo ci sono clienti esteri che ricevono minori quantità di prodotto o con ritardi.
Va detto che per fortuna questa situazione non sta penalizzando la domanda dei prodotti. Al contrario, purtroppo, settori come turismo, trasporti, ristorazione e locali pubblici stanno invece subendo conseguenze molto forti.
Voglio poi aggiungere che il mondo agricolo è abituato a gestire le emergenze ed è abituato a rimboccarsi le maniche. È altrettanto vero, nello stesso tempo, che se questa situazione dovesse perdurare per molto tempo sarebbe difficile prevederne le conseguenze.

Nella tua veste di Direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood che impatto può avere sul mercato una richiesta come questa?

Può generare una maggiore attenzione a tutte le forme di innovazione che consentono di aumentare i livelli di garanzia e di certificazione dei prodotti. La tecnologia digitale ha dimostrato in tanti ambiti che consente maggiore trasparenza; pensiamo ad esempio a cosa ci può insegnare e ai vantaggi che sono arrivati dal mondo dei pagamenti digitali.

Più nello specifico, che ruolo può svolgere il digitale per fornire maggiori garanzie ai consumatori sulla sicurezza alimentare?

Oltre ai temi della già citata trasparenza, possiamo aggiungere due altri effetti positivi:

  • maggiore certezza delle informazioni;
  • maggiore velocità nel reperire le informazioni che servono, quando servono. E questo aspetto, come appare evidente, è estremamente importante nei casi di emergenza.

La tracciabilità di filiera con la blockchain può essere un modo per evitare problemi che possono danneggiare l’immagine di un prodotto?

La blockchain è una tecnologia potente, che in alcuni ambiti consente di aumentare notevolmente le garanzie a difesa di un prodotto. Questa tecnologia, associata ad altre tecnologie digitali, come l’Internet of Things, può certamente portare una svolta significativa nella garanzia del Made in Italy, e non solo nel mondo agroalimentare. Allo stesso tempo sono fermamente convinto che alle innovazioni tecnologiche devono essere associata anche una corretta innovazione e progettazione dei processi di certificazione.

Non credi che sia quanto mai necessario una strategia e un’azione comune per proteggere il Made in Italy da questi rischi?

Assolutamente si, soprattutto perché il mercato globale crea sfide sempre nuove ed il cambiamento non si affronta da soli. E probabilmente l’azione comune più importante deve essere svolta a livello Europeo.

I temi dell’innovazione digitale al servizio dell’agroalimentare e dell’Agrifood saranno affrontanti in occasione del convegno di presentazione della ricerca dell’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano e del Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia, il prossimo 23 aprile.

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