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Se vogliamo salvare il pianeta, il futuro del cibo è nei novel food

Mentre la dimensione mondiale del mercato della nutraceutica (derivato dall’unione di nutrizione e farmaceutica) presenta aspettative di crescita a un tasso medio annuo del 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027, le nuove forme di alimentazione (o novel food) diventano sempre più accessibili, dalla carne di laboratorio all’entomofagia. Italia regina in Europa per vendite di integratori alimentari.

Pubblicato il 16 Feb 2022

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Dai cibi dietetici agli integratori alimentari al vegan food alla carne sintetica, il mercato della nutraceutica vale in tutto il mondo 500 miliardi di dollari ed è in continua espansione: il report dell’Area Studi Mediobanca stima che entro il 2027 toccherà quota 745 miliardi di dollari, con un tasso di crescita del +6,9% annuo. Nata dalla crasi delle parole nutrizione e farmaceutica, il segmento comprende, tra i tanti, quello dell’alimentazione funzionale – di cui fanno parte i cibi “senza” (zuccheri, glutine, lattosio, ecc.) o “arricchiti” con elementi chimici (ferro, magnesio, ecc.) – gli integratori alimentari, i cibi vegan, per l’infanzia, la carne sintetica, le farine di insetti, ecc.

A brillare è, in particolar modo, il comparto del diet food (il cibo per il controllo del peso), che da solo vale 214 miliardi di dollari (che diventeranno 303 nel 2027); seguito dagli integratori alimentari, un segmento da oltre 150 miliardi di dollari (ben 237 entro il 2027). Bene anche il baby food (il cibo per l’infanzia come gli omogeneizzati) che ha chiuso l’anno con un giro d’affari di oltre 73 miliardi (107 entro il 2027).

Anche il cibo vegano ha ottimi numeri e vale in tutto il mondo 25 miliardi di dollari (che diventeranno 42 entro il 2027, con un ritmo di crescita del +9% annuo, il più alto tra tutti). Del resto, l’alimentazione vegana, proprio poiché esclude l’assunzione di qualunque proteina di origine animale, gode di crescente consenso intercettando il riorientamento degli stili alimentari verso un minore consumo di carne, ampiamente sovra-ponderata, soprattutto nelle diete dei Paesi sviluppati e comporta maggiori impatti ambientali.

In Italia la nutraceutica valeva circa 4,8 miliardi di euro nel 2020. La parte più cospicua spetta agli integratori alimentari, un mercato in cui l’Italia è regina in Europa e che cresce rapidamente: raggiunti i 3,8 miliardi di euro (+9,2% sul 2008 e +2,9% sul 2019) nel 2020, la leadership italiana si candida a rimanere tale anche nel 2025, anno in cui potrebbe raggiungere i 4,8 miliardi di euro, con un’ampia superiorità sulla Germania (3,6 miliardi) e sulla Francia (3,1 miliardi). Completano il mercato italiano il comparto della nutrizione specializzata in senso stretto, con ulteriori 700 milioni (400 milioni solo le soluzioni per celiaci) e il baby food (300 milioni di euro nel 2020).

Il capitolo dei novel food e il loro impatto positivo sulla sostenibilità dei sistemi alimentari

Nel novel food un capitolo a parte lo merita il segmento delle proteine alternative a quelle di derivazione animale. A livello mondiale, entro il 2035 passerà dall’attuale 2% all’11% del mercato complessivo delle proteine, per un valore attorno ai 290 miliardi di dollari.

La nuova frontiera dell’alimentazione è rappresentata dalla carne sintetica: non proviene dalla macellazione di animali vivi, ma è prodotta in laboratorio, a partire da serie di cellule animali coltivate e alimentate con sieri di origine animale o vegetale che ne consentono lo sviluppo fino a farle diventare tessuto muscolare. Attualmente, in questo segmento operano circa 100 start up che nel 2020 hanno raccolto capitali per 370 milioni di dollari, sei volte l’ammontare raccolto nel 2019. Complici le tante sfide che dovrà affrontare, le proiezioni sul comparto sono molto volatili (tra i 5 i 25 miliardi di dollari al 2030).

Infine, l’industria mondiale degli insetti o entomofagia: si prevede un aumento del valore fino a circa 1 miliardo di dollari nel 2023 per poi arrivare a 4,6 miliardi di dollari nel 2027, con un tasso di crescita medio annuo del +44%. Si stima che nei Paesi occidentali operino circa 400 imprese di allevamento e commercializzazione di insetti, essenzialmente grilli e tarme della farina.

Uno scenario confortante visto che secondo alcune stime, la filiera alimentare è responsabile del 26% delle emissioni di gas serra (GHG) e di tale quota il 50% è riferibile alle attività di allevamento (a causa della deforestazione e della produzione di metano dai processi digestivi degli animali). Anche le risorse idriche sono fortemente sollecitate dalle attività agricole e di allevamento: il consumo di acqua dolce è per il 92% riferibile a esse, e solo l’8% finirebbe assorbito dai consumi industriali e umani. Ugualmente impegnativo è l’uso della terra: il 50% di quella abitabile è adibito ad attività agricole e di esso il 77% è destinato all’allevamento.

Nello specifico, la filiera della produzione, lavorazione e trasporto di carne e uova dà conto del 56% delle emissioni, quella lattiero casearia del 27%, il resto si riferisce essenzialmente a frutta e vegetali che, quindi, sono assai meno impattanti. L’ipotetica sostituzione nel 2035 della carne animale e delle uova con i loro surrogati vegetali porterebbe a una riduzione di emissioni pari a quelle prodotte in un anno dal Giappone. Ciò in quanto i sostituti vegetali comportano emissioni pari a un ventesimo di quelle relative alla carne bovina da allevamento, a un decimo di quella avicola e a un nono di quella suina.

I trend di lungo periodo candidati a sostenere la crescita del mercato dei cibi funzionali

I trend delle nuove frontiere alimentari si intrecciano con una molteplicità di temi che vanno dalla sostenibilità alla regolazione, dagli stili alimentari funzionali alla prevenzione fino alle questioni etiche.

In primo luogo, l’allungamento della speranza di vita ha comportato l’aumento della quota di popolazione longeva con conseguente incremento dei costi sanitari. Ciò ha reso evidente ai sistemi di sanità pubblica la necessità di favorire l’ingresso della popolazione nella fascia di età avanzata in condizioni di relativa buona salute e benessere complessivo. A tale obiettivo concorre un regime alimentare in cui l’assunzione corretta e bilanciata dei nutrienti necessari, riducendo la probabilità d’insorgenza delle patologie fisiche e intellettive tipicamente legate all’avanzare dell’età (malattie cardiovascolari, osteoporosi, disturbi della vista, deterioramento delle funzioni cerebrali, ecc.).

Paradossalmente, è sempre più evidente la diffusione di stili di alimentazione disordinati e squilibrati, ipercalorici e iperlipidici. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (WHO), il 39% di coloro che hanno più di 18 anni è in sovrappeso, con un raddoppio dal 20% del 1975. Inoltre, circa il 13% della popolazione mondiale si trova in condizione di obesità, un valore in questo caso triplicato dal 1975. A fronte di circa 900 milioni di persone sottonutrite nel mondo, ve ne sarebbero 1,5 miliardi obese o sovrappeso, tanto che i decessi annui per mancanza di alimentazione (circa 36 milioni) non sono troppo distanti da quelli per suo eccesso (29 milioni). I costi diretti e indiretti legati al disordine alimentare e ai connessi problemi metabolici sono enormi: circa 4.800 miliardi di dollari all’anno, vicino al 3,5% del Pil mondiale, con picchi del 4,8% in America Latina (circa 500 miliardi di dollari) e del 4,3% nel Nord America (1.000 miliardi). Il vulnus economico per l’Europa è stimato in circa 900 miliardi, oltre il 3% del suo Pil.

Inoltre, al di là di un’eccessiva assunzione calorica o lipidica, vi è anche un tema di qualità del cibo. Porzioni significative della popolazione seguono un regime alimentare connotato da carenza di componenti nutrizionali essenziali al mantenimento di un adeguato stato di salute. Una dieta bilanciata richiederebbe, ad esempio, un’incidenza del 50% nel consumo di frutta e verdura, mentre nella popolazione adolescente europea tale porzione è limitata al 17%. Sempre in Europa il consumo di zuccheri è del 15% superiore ai livelli raccomandati, del 47% nel Nord America; il consumo di carne li eccede del 36% in Europa (38% le carni rosse, 51% gli insaccati) e del 48% nel Nord America (46% e 50%). Il riassortimento della dieta ridurrebbe le morti legate al disordine alimentare del 15%, ma un’ampia porzione della popolazione non appare in grado di organizzare la propria alimentazione quotidiana per raggiungere le soglie raccomandate.

Merita ricordare che una non trascurabile fascia della popolazione mondiale nutre un atteggiamento di diffidenza verso i farmaci, paventandone l’assuefazione e gli effetti collaterali. Tendenza potenziata dalle crescenti evidenze di resistenza microbica ai farmaci che si sviluppa quando microrganismi come batteri, virus, funghi e parassiti mutano in modo da rendere inefficaci i presidi farmacologici utilizzati per il loro contrasto. Si tratta di un fenomeno naturale che viene accelerato da comportamenti impropri, quali l’abuso di antibiotici, la loro dispersione accidentale nell’ambiente con reingresso nella catena alimentare o, ancora, lo smaltimento non controllato di quelli non utilizzati o scaduti. Il fenomeno della resistenza antimicrobica può contribuire a spingere i consumatori verso la nutraceutica, in particolare quella cui sono associati effetti di potenziamento delle risposte del sistema immunitario.

L’emergenza pandemica ha agito da ulteriore acceleratore, provocando un’impennata nella domanda di alimenti e integratori con funzione di supporto del sistema immunitario. Gli integratori a base di vitamina C sono stati particolarmente ricercati. Sebbene nessuna vitamina o cibo, in qualunque quantità, sia in grado di impedire il contagio da Covid-19 una volta che una persona è stata esposta al virus, è vero che le persone che soffrono di carenze nutrizionali hanno maggiori probabilità di soffrire delle complicazioni indotte da qualsiasi infezione o malattia e la cattiva alimentazione rientra tra i tanti fattori che potrebbero contribuire a una debole risposta immunitaria.

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