Con un giorno di ritardo rispetto all’agenda stabilita per la chiusura ufficiale, nella serata di sabato 13 novembre, si è conclusa la COP26, la conferenza ONU che ha riunito a Glasgow delegati e rappresentanti di quasi 200 paesi nel mondo, con l’obiettivo di delineare azioni concrete per porre fine al cambiamento climatico. Tutti i 197 paesi delle Nazioni Unite presenti hanno sottoscritto l’intesa finale sul clima, nota come Glasgow Climate Pact, che mantiene in vita l’obiettivo di limitare l’innalzamento della temperatura a livello globale al di sotto di una crescita di 1.5°C entro la fine del secolo.
L’ultima occasione per raggiungere intese importanti a livello globale, che tuttavia, ha lasciato aperte diverse questioni. Sono stati discussi temi fondamentali come la decarbonizzazione dell’industria e dei trasporti, la riduzione delle emissioni, la deforestazione, la finanza climatica, ma anche il coinvolgimento delle generazioni future nella lotta al climate change. Un buon punto di partenza per quanto riguarda il dialogo tra le parti riunite in Scozia, che allarga la base del consenso sulla necessità urgente di agire per il clima ma che non arriva a definire delle certezze in termini di interventi e verifica reale, al momento almeno, nell’efficacia delle misure progettate.
Tra rinvii e accordi al ribasso, la COP26 di Glasgow dimentica la sostenibilità dei sistemi alimentari globali
Un grande assente c’è stato, e riguarda la sostenibilità dei sistemi alimentari globali che, paradossalmente ad oggi, secondo i dati pubblicati dalla FAO proprio durante i giorni della COP26, sono responsabili del 31% delle emissioni di gas effetto serra causate dall’uomo. Il tema è stato infatti affrontato in modo marginale, senza mettere in campo alcuna soluzione concreta. Una incoerenza visto che tra gli accordi emersi alla Conferenza rientra anche il Global Methane Pledge, finalizzato alla riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030, siglato da più di cento paesi tra cui sei dei maggiori dieci emettitori al mondo. Un accordo che non ha previsto azioni concrete destinate al contrasto allo spreco e ai sistemi alimentari, nonostante questi ultimi, assieme allo smaltimento dei rifiuti, rappresentino le maggiori fonti di emissioni di gas metano, e di conseguenza le aree in cui l’impatto delle misure sarebbe maggiore.
Sono questi i motivi per cui questa problematica dovrebbe essere al centro dell’agenda sul clima. Ci crede molto Eugenio Sapora, Country Manager Italia di Too Good To Go, l’app danese contro lo spreco alimentare che permette a bar, ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati ed hotel di recuperare e vendere online a prezzi ribassati il cibo invenduto “troppo buono per essere buttato” grazie alle Magic Box.
“È auspicabile che – spiega Sapora – all’interno dei successivi piani che ogni stato firmatario andrà a presentare, vengano incluse politiche e misure chiare che mettano al loro centro la lotta contro gli sprechi alimentari. Gli Stati Uniti sono al momento l’unico Paese che accenna a questa necessità per contrastare le emissioni di metano, ma senza definire obiettivi e piani per raggiungerli: un impegno più forte e cospicuo, vista la centralità del problema, è necessario non solo oltreoceano ma da parte di tutti i Paesi che hanno sottoscritto la volontà di agire“.
Per arrestare il climate change, è cruciale combattere lo spreco alimentare intervenendo sui food systems globali
Agire per migliorare la sostenibilità ambientale e sociale dei nostri sistemi alimentari rappresenta un imperativo per invertire la rotta del cambiamento climatico e mantenere al di sotto di un aumento di 1.5°C l’innalzamento della temperatura globale per la fine del secolo, scongiurando le relative conseguenze sul nostro pianeta e sulla società. Anche il centro di ricerca Project Drawdown ha individuato nella riduzione dello spreco alimentare la soluzione n.1 per contrastare il cambiamento climatico.
Per questo, ribadisce Sapora “E’ necessario includere il contrasto allo spreco alimentare all’interno delle azioni e delle politiche intraprese ai diversi livelli della società, impostando obiettivi e politiche vincolanti e misurabili, che possano contribuire a raggiungere gli obiettivi proposti dall’Agenda 2030 in termini di riduzione del 50% dello spreco alimentare pro capite e la riduzione delle perdite lungo tutta la filiera entro il 2030“.
In questi giorni, Too Good To Go ha raggiunto, grazie all’impegno dei cittadini e utenti di 17 Paesi in cui è presente e attiva, il traguardo di 100 milioni di pasti salvati, che hanno permesso di risparmiare le emissioni equivalenti a 45.000 voli aerei intorno al mondo. Una piccola goccia, seppur impattante, nel mare della lotta agli sprechi, che deve passare dal coinvolgimento di attori pubblici e privati, ma anche degli stessi cittadini.
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