Le emissioni italiane totali di gas serra, espresse in CO2 equivalente, sono diminuite del 26,7% tra il 1990 ed il 2020 passando da 520 a 381 milioni di tonnellate di CO2 e dell’8,9% rispetto al 2019 grazie alla crescita negli ultimi anni della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico), all’incremento dell’efficienza energetica nei settori industriali e alla riduzione dell’uso del carbone, ma anche alla pandemia da Covid-19 che ha portato, due anni fa, ad un periodo di blocco delle attività. Nello specifico, il settore dell’Agricoltura, che contribuisce a circa il 9% delle emissioni totali di gas serra nel 2020, registra un calo delle emissioni di gas serra pari a -11,4% dal 1990, principalmente a causa della riduzione del numero dei capi, delle superfici e produzioni agricole, dell’uso dei fertilizzanti sintetici e dei cambiamenti nei metodi di gestione delle deiezioni.
Uno dei principali driver di riduzione delle emissioni dovute agli allevamenti (scese del 15% rispetto al 1990) è la riduzione del numero dei capi e in particolare dei bovini: tra il 1990 e il 2020 le consistenze si sono ridotte del -23% (passando da 7,7 a 5,9 milioni di capi), le vacche da latte sono diminuite del -38% e gli altri bovini sono scesi del -15%. A rilevarlo è il rapporto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) “Le emissioni di gas serra in Italia alla fine del secondo periodo del Protocollo di Kyoto: obiettivi di riduzione ed efficienza energetica” che illustra la situazione emissiva italiana alla fine del secondo periodo del Protocollo di Kyoto, sulla base dei dati trasmessi ufficialmente in accordo a quanto previsto nell’ambito della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC), del protocollo di Kyoto e del Meccanismo di Monitoraggio dei Gas Serra dell’Unione Europea.
Agricoltura e gas serra: la responsabilità degli allevamenti
La gestione degli allevamenti rappresenta il peso maggiore in termini emissivi del settore agricoltura, contribuendo con circa il 72% di gas serra, generate per lo più dalla fermentazione enterica delle razioni nell’apparato digerente del bestiame (che rappresenta circa il 40% delle emissioni totali di gas serra del settore agricoltura) e, in particolare, dei ruminanti, dalla gestione delle deiezioni negli stoccaggi, dallo spandimento e dalla deposizione al pascolo dei reflui zootecnici.
La diminuzione osservata nel livello totale delle emissioni nel settore agricolo (-11,4%) è principalmente dovuta alla diminuzione delle emissioni di CH4 (metano) da fermentazione enterica (-13,0%), che rappresentano il 41,4% delle emissioni settoriali e alla diminuzione di N2O (ossido di diazoto) dai suoli agricoli (-3,9%), che rappresenta il 33,1% delle emissioni settoriali. Per quanto riguarda l’uso del suolo, il cambiamento di uso del suolo e la silvicoltura, dal 1990 al 2020 gli assorbimenti totali in CO2 equivalente sono notevolmente aumentati; la CO2 rappresenta la quasi totalità delle emissioni e degli assorbimenti del settore (98%).
Il comparto avicolo contribuisce alle emissioni di gas serra solo per il 3,4% su tutto il settore zootecnico. Considerando la categoria dei suini, che insieme ai bovini rappresenta circa l’80% delle emissioni di gas serra dovute agli allevamenti, i capi sono invece aumentati di quasi il 2% (determinato da una riduzione delle scrofe del 13% e un aumento degli altri suini del 3%), per raggiungere nel 2020 circa 8,5 milioni di capi.
Nel 2020, la gestione delle deiezioni è responsabile del 19% delle emissioni totali del settore agricoltura. Dal 1990 al 2020, si è registrata una riduzione del -19% anche dipesa dalla digestione anaerobica dei reflui zootecnici per la produzione di biogas, che si è diffusa in Italia a partire dal 2008 sulla spinta di un sistema incentivante per gli impianti non superiori ad 1 MW di potenza.
Nel 2020, secondo i dati TERNA, sono circa 1700 gli impianti alimentati con matrici organiche, costituite anche da reflui zootecnici, per un ammontare stimato pari a circa 15 milioni di tonnellate (che rappresentano il 14% della produzione totale annua di deiezioni di bovini, suini e avicoli). Tramite la digestione anaerobica si evita la dispersione del metano in atmosfera, prodotto dalla decomposizione dei reflui zootecnici durante lo stoccaggio, che invece viene recuperato per produrre energia, e si riducono le perdite azotate.
La diffusione di misure di riduzione delle perdite di azoto dei reflui zootecnici (sotto forma di NH3) nelle stalle, negli stoccaggi e nella fase di spandimento ha contribuito anche alla riduzione delle emissioni indirette di N2O derivanti dalla gestione delle deiezioni e dai suoli agricoli.
Le emissioni dovute all’applicazione dei fertilizzanti sintetici (che rappresenta la categoria più emissiva dei suoli agricoli) si sono ridotte del -24% rispetto al 1990 (considerando le emissioni dirette e indirette di N2O) e ciò è dovuto al minore utilizzo di questi prodotti (-33%) anche a fronte di un maggior impiego di fertilizzanti organici. Non si è ridotto invece il consumo di urea, che rappresenta il concime più utilizzato: nel 2020 equivale al 50% dell’azoto totale dei concimi azotati sintetici applicati sui suoli agricoli. Negli anni ha fatto registrare un andamento altalenante, per tornare nel 2020 ai livelli di consumo del 1990.
Oltre l’agricoltura, l’inventario nazionale dei gas serra
Come previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) per tutti i Paesi industrializzati e in linea con gli impegni del Protocollo di Kyoto, l’Italia deve compilare, pubblicare e revisionare annualmente l’inventario nazionale dei gas serra. A tal fine è stato istituito il Sistema Nazionale per l’inventario delle emissioni di gas serra.
L’Ispra elabora e trasmette i Common Reporting Format (CRF), tabelle dei gas serra con serie storica, dal 1990, dei dati di attività, dei fattori di emissione e emissioni/assorbimenti, per i settori produttivi e LULUCF, e documenta in uno specifico rapporto, il National Inventory Report (NIR), le metodologie di stima utilizzate, unitamente ad una spiegazione degli andamenti osservati così da facilitare i processi internazionali di verifica annuali.
I dati di emissione dei gas serra, i rapporti National Inventory Report, così come i risultati dei processi di review, sono pubblicati sul sito web del Segretariato della Convenzione sui Cambiamenti Climatici. L’ultima comunicazione ufficiale è quella inviata ad Aprile 2022, in cui si riportano le serie storiche dei gas serra dal 1990 al 2020.
In generale, le categorie emissive che contribuiscono maggiormente alle emissioni nazionali di gas climalteranti sono quelle del settore Energia: industrie energetiche, manifatturiere, i trasporti, il residenziale e i servizi sono responsabili, complessivamente, di oltre il 78% delle emissioni totali nazionali nel 2020. Le categorie emissive dei Processi industriali ed uso di altri prodotti (IPPU) sono responsabili dell’8,1%, mentre il settore Rifiuti contribuisce al restante 4,9% alle emissioni totali.
Le emissioni di gas serra del settore energetico sono diminuite del 20,7% dal 1990 al 2020, il settore dei trasporti (che rappresenta il 28,6% del totale delle emissioni di energia) ha registrato una diminuzione del 16,4% dal 1990 al 2020 dovuta alla riduzione delle percorrenze complessive (veicoli-km) e delle emissioni dovute al lockdown. Sempre rispetto al 1990, diminuiscono le emissioni provenienti dal settore delle industrie energetiche del 41% nel 2020, a fronte di un aumento della produzione di energia termoelettrica (da 178,6 Terawattora – TWh – a 181,3 TWh) e dei consumi di energia elettrica (da 218,7 TWh a 283,8 TWh); mentre si è osservato un aumento (pari allo 0,2%) delle emissioni negli altri settori, incluso il residenziale, che nel 2020 rappresentano il 26,5% del totale delle emissioni settoriali.
Il contesto normativo internazionale ed europeo
L’anno 2020 è stato un anno importante di verifica, per l’Italia e l’Unione Europea, perché chiude il secondo Periodo di Kyoto. Il protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 e rappresenta il primo strumento operativo legalmente vincolante per le Parti, tra queste l’Unione Europea e l’Italia. Per il primo periodo d’impegno del Protocollo (2008-2012) l’Italia si è vista assegnare un obbligo di riduzione di emissioni di gas serra pari al 6,5% rispetto le emissioni del 1990 e ha rispettato tali impegni di riduzione.
Nel 2012, è stato raggiunto un accordo tra le Parti circa la prosecuzione del protocollo di Kyoto attraverso l’emendamento di Doha, che fissa impegni di riduzione dei Paesi industrializzati per il periodo 2013-2020. Il nostro Paese ha poi adottato la propria Strategia nazionale di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra (LTS) nel gennaio 2021 individuando i possibili percorsi che potrebbero consentire di raggiungere entro il 2050 una condizione di neutralità emissiva, ossia l’equilibrio tra le emissioni di gas serra e gli assorbimenti di CO2, con l’eventuale ricorso a sistemi di cattura e stoccaggio geologico o riutilizzo della stessa.
Le prime stime per il 2021
Sulla base dei dati disponibili per il 2021, ci si attende un incremento delle emissioni di gas serra a livello nazionale del 6,8% rispetto al 2020 a fronte di un aumento previsto del PIL pari al 6,5%. L’andamento stimato è dovuto ad un incremento delle emissioni, in particolare per l’industria (9,1%) e i trasporti (15,7%). Anche per la produzione di energia, nonostante la riduzione nell’uso del carbone (-35,2%), si stima un aumento del 2,2% a causa degli incrementi per tutti gli altri vettori energetici. L’incremento nei livelli di gas serra stimato per il 2021 rispetto al 2020 è conseguenza della ripresa della mobilità e delle attività economiche, ma non altera il trend di riduzione delle emissioni e di miglioramento dell’efficienza energetica registrato negli ultimi anni.