Sostenibilità

Il potenziale della bioeconomia per le imprese

Per sbloccarlo è necessario agire secondo semplici regole: visione d’insieme, identificazione del proprio ruolo e cooperazione. Questo è quanto emerso durante alcuni recenti grandi eventi sul tema: il BBI JU Info Day 2020 e la 4th Biobased Economy Conference. Il ruolo delle imprese all’interno delle catene di valore bio-based

Pubblicato il 23 Giu 2020

Pasqualina Sacco

PhD, Environmental Sciences and Innovation consultant

bioeconomia

La bioeconomia si riferisce “alla produzione sostenibile di risorse biologiche rinnovabili e alla conversione di tali risorse e dei flussi di rifiuti/scarti in prodotti industriali a valore aggiunto, quali alimenti, mangimi, prodotti a base biologica, bioenergia”. Questa è la definizione proposta dai documenti Nazionale (1) ed Europeo (2) di inquadramento strategico sul tema.

Della bioeconomia fanno quindi parte la produzione primaria e i settori industriali che utilizzano e/o trasformano le risorse biologiche.

Da una parte gli approcci legati alla produzione primaria hanno come obiettivo la sostenibilità dei settori agricoltura, silvicoltura, pesca e acquacoltura: come far protrarre nel tempo le risorse naturali in modo che le attività imprenditoriali basate su di esse non perdano valore. Si apre qui lo spazio di smart agriculture, tracciabilità e quanto collegato con il comparto alimentare.

Il secondo aspetto riguarda l’utilizzo di materiale biologico da parte di settori che tradizionalmente basavano i loro processi su altri tipi di input (generalmente derivati da idrocarburi di origine non rinnovabile). Si tratta di sostituire questi input con fonti alternative da biomassa rinnovabile. Per non entrare in conflitto con lo scopo di approvvigionamento alimentare della produzione primaria, la biomassa deriva preferenzialmente da scarti, surplus, rifiuti organici o coltivazioni di specifiche specie vegetali in aree non vocate alle coltivazioni alimentari.

La bioeconomia racchiude tanti concetti che meriterebbero ognuno un approfondimento a sé.  Il focus sarà dato maggiormente sul ruolo delle imprese all’interno delle catene di valore bio-based.

Perché la bioeconomia è sostenibile e circolare

La bioeconomia è considerata sostenibile e circolare perché permette la sostituzione nei processi industriali di input di origine fossile con materiali di origine biologica provenienti da scarti che sarebbero, in alternativa, trattati come rifiuti. In questo modo diminuisce la necessità di far ricorso a fonti non rinnovabili e si riduce la quantità di rifiuti da gestire, valorizzando anche dal punto di vista economico il materiale che andrebbe altrimenti perso e gestito con costi aggiuntivi.

Nel suo documento strategico (3) il Bio-based Industries Consortium (BIC, Organizzazione non-profit che dal 2013 rappresenta il settore privato in una partnership con la Commissione Europea, nota come BBI JU) è andato oltre alla visione, cercando di darsi obiettivi di sostenibilità ben definiti e quantificabili. Per il 2030 sono stati fissati i seguenti obiettivi: rimpiazzo del 25% dei composti chimici basati sul petrolio, aumento di 10 volte dei materiali bio-based, aumento del 25% delle risorse non utilizzate, sviluppo del potenziale degli scarti agro-alimentari e forestali, diversificazione dei profitti per il settore primario, creazione di 700mila posti di lavoro di cui 80% in zone rurali, riduzione della dipendenza dell’Unione Europea da materie prime strategiche (fossile, proteine, fosforo e potassio), riduzione media del 50% dei gas serra.

Il fatto che il BIC rappresenti imprese private, testimonia il ruolo fondamentale nella bioeconomia delle aziende, comprese le PMI.

Il ruolo delle imprese

Che ruolo possono avere le imprese nella bioeconomia? Il meccanismo di base è semplice ed è stato riassunto in modo chiaro da Dr. Lene Lange (Founder of “BioEconomy, Research & Advisory“) durante il suo intervento alla 4th Biobased Economy Conference: si deve sbloccare il potenziale racchiuso nelle catene di valore bio-based.

Quindi, come prima cosa è necessario identificare queste catene di valore. Ciò è possibile immaginando e sperimentando nuovi modi per valorizzare gli scarti biologici e i composti che li formano. Gli strumenti utili a tale scopo sono la tecnologia, la ricerca di base, il trasferimento tecnologico, i modelli di business e gli standard.

Le catene di valore della bioeconomia prevedono il coinvolgimento di attori di diversi settori. Consideriamo ad esempio l’imballaggio: si parte da un materiale biologico di scarto che deriva dall’agroalimentare per finire in processi tipici del packaging, passando da eventuali intermedi di trasformazione del settore chimico. A ogni passo successivo della catena di valore la sfida è come modificare i processi per rimpiazzare un input “tradizionale” con uno bio-based, mentre a ogni passo precedente della catena di valore si deve fare in modo che quello che sarebbe “scarto” possa essere idoneo per essere reimpiegato. Si tratta, in definitiva, di trovare il giusto mix di tecnologie, processi produttivi e organizzativi per garantire la sostenibilità per la catena di valore nel suo insieme e per ogni singolo attore che ne fa parte. Sostenibilità intesa secondo i suoi tre pilastri ormai noti: economica, sociale e ambientale.

Fondamentale è per le imprese l’identificazione del loro ruolo all’interno di una catena di valore di questo tipo. Questo è l’appello lanciato da Dr. Lange: c’è bisogno delle imprese e del loro contributo. Serve identificare la posizione nella catena di valore per il proprio business e poi renderlo sostenibile anche economicamente, attraverso solidi business plan.

Un altro aspetto importante che le imprese devono tenere in conto è la cooperazione. Affinché una catena di valore bio-based funzioni tutti i diversi attori devono contribuire per la loro parte in modo organizzato all’obiettivo finale “zero waste”. Per arrivare a questo tipo di cooperazione e chiudere i cicli, un aspetto fondamentale sottolineato da Benjamin Hein (Head of Business Development Circular Economy, DIN German Institute for Standardization) è la necessità di standardizzazione anche a livello trans-nazionale. Sapere con esattezza come gestire gli scarti da parte di chi li produce, chi li trasforma e chi si occupa del fine vita permetterebbe di non avere sprechi dovuti alla mancanza di informazione. Così come un riferimento normativo comune e chiaro sulle materie prime seconde permetterebbe di non tralasciare nessuno scarto potenzialmente recuperabile.

Già da qualche anno quel potenziale racchiuso nella bioeconomia si sta sbloccando, molto si sta muovendo in Europa ed in Italia: Philippe Mengal (BBI JU Executive Director) durante il suo intervento al BBI JU Info Day 2020 ha reso noto che nel periodo 2014-2018 sono stati stanziati 603 milioni di euro dalla BBI JU per 1178 beneficiari in 33 Paesi europei. Di questi circa il 60% sono aziende private, di cui il 40% PMI. Attraverso le attività di ricerca e sviluppo portate avanti nei 101 progetti finanziati, sono state sbloccate oltre 100 nuove catene di valore basate sul reimpiego di biomasse e studiati circa 140 nuovi biomateriali di cui il 60% non solo mantiene le caratteristiche di quelli che va a rimpiazzare ma ha addirittura prestazioni migliori.

Conclusioni

La bioeconomia può rappresentare la chiave di volta per un nuovo modello economico più sostenibile. Lo dimostrano diversi esempi di aziende che investono in ricerca e sviluppo. Alcune che hanno trovato un loro ruolo attivo nella bioeconomia circolare mostrano come il successo sia legato al modello di business nel suo complesso. Tecnologie molto costose possono essere ripagate da prestazioni in settori di nicchia molto remunerativi, il fattore di scala può fare la differenza sulla sostenibilità economica di un processo, la commercializzazione di un prodotto versatile può creare stabilità e resilienza del business perché sblocca diverse catene di valore, e così via.

Ovviamente non è richiesto agli imprenditori di diventare esperti di bioeconomia, ma esistono molti programmi di accompagnamento, istituzionali e privati, e diverse possibilità di farsi guidare nel percorso da esperti in modo da trovare il proprio posto nelle innumerevoli catene di valore bio-based che già esistono e che via via si definiranno in futuro. Solo per citare alcuni esempi nazionali, sono attivi nella bioeconomia il cluster Spring (Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde), il cluster Clan (Cluster Agrifood Nazionale), il cluster Big (Cluster Tecnologico Nazionale Blue Italian Growth), il consorzio Italbiotec. Sono solo alcuni esempi, a cui si potrebbero aggiungere altri anche a livello europeo, giusto per rendere l’idea della portata anche in Italia delle attività legate alla bioeconomia. La cooperazione tra diversi settori industriali, enti di ricerca e organizzazioni è necessaria a completare il puzzle per comporre tutte le diverse nuove catene di valore bio-based.

Riferimenti

(1) Bioeconomia: una nuova strategia per un’Italia sostenibile, 2020. Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) – Presidenza del Consiglio dei Ministri. http://cnbbsv.palazzochigi.it/media/1951/bit-italiano-14feb2020.pdf

(2) Strategia Europea per la Bioeconomia, Commissione Europea, 2018. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52018DC0673&from=EN

(3) Strategic Innovation and Research Agenda (SIRA), 2017. Bio-based Industries Consortium. https://biconsortium.eu/sites/biconsortium.eu/files/downloads/SIRA-2017-Web.pdf

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Pasqualina Sacco
PhD, Environmental Sciences and Innovation consultant

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