Agroalimentare: la forza di un settore che vale il 25% del PIL, con fondamentali robusti, ma tante criticità

Dagli Stati Generali Mondo Lavoro Agrifood, emerge un bilancio positivo e la capacità di fare sistema. Impulso dell’imprenditoria under 35 con un +8% nell’ultimo anno, pari a oltre 55.000 nuove imprese rette da giovani, terreno di coltura per innovazione e digitalizzazione. Problemi su costo del lavoro, manodopera e italian sounding

Pubblicato il 03 Nov 2021

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Qualche giorno fa ad Alba, ma anche in streaming, è stato trasmesso l’evento degli Stati Generali Mondo Lavoro Agrifood, una tre giorni di incontri con istituzioni, politici, imprese e stakeholder per fare il punto su agevolazioni e fondi di supporto agli investimenti, modelli innovativi alimentati da tecnologie IoT, Cloud, Big Data e Analytics, nuove competenze, sostenibilità, responsabilità sociale e case history. Ospiti dell’incontro inaugurale: Lucio Fumagalli, presidente INSOR Istituto Nazionale di Sociologia Rurale, Luca Brondelli, membro della giunta esecutiva di Confagricoltura, Giuliana Cirio, direttore Confindustria Cuneo e Fabiano Porcu, direttore Coldiretti Cuneo.

Buoni i risultati evidenziati e le prospettive di un settore che vale il 25% del PIL, anche grazie a una straordinaria spinta da parte di oltre 55.000 nuove aziende guidate da under 35 nelle quali è insita l’innovazione. A emergere anche la capacità del settore di fare sistema, nel rispetto delle differenze e delle tipicità che sono l’eccellenza del nostro Paese. Altrettanto chiare e condivise le criticità: costo del lavoro, burocrazia per l’impiego e assenza di manodopera. Non ultima area di rischio, la tendenza comunitaria all’omologazione, direzione opposta rispetto alle tipicità che fanno del nostro agroalimentare un’eccellenza mondiale. L’auspicio comune è quello di ottenere, nell’ambito della distribuzione dei fondi previsti dall’Europa e dal PNRR, la giusta attenzione al settore, soprattutto nella direzione della sostenibilità e della digitalizzazione in termini di Agricoltura 4.0.

Lucio Fumagalli, presidente INSOR Istituto Nazionale di Sociologia Rurale ha sottolineato la positività dello scenario agroalimentare italiano: “i fondamentali sono robusti, pur nella vasta articolazione di modelli, competenze e specializzazioni che costituiscono la nostra ricchezza. Dalla cultura del seme fino agli aspetti distributivi o di packaging, il settore dimostra la capacità di interconnettere le filiere in modo straordinario”. Inoltre, i giovani imprenditori contribuiscono alla “demarginalizzazione” culturale dell’agroalimentare: attraverso le competenze apprese negli studi e applicate nell’attività aziendale hanno dato nuova dignità a un settore che da contadino è diventato a pieno diritto imprenditoriale. Ed è proprio la complessità e la multifunzionalità dell’agroalimentare che sa attirare i giovani. In questo senso, Fumagalli mette in allerta “Attenzione a non sgretolarne l’ambizione e a non rendere più difficile del necessario un mondo che è già faticoso di suo, con tentativi di linearizzazione delle capacità e delle personalità. Il mercato mondiale non vuole standardizzazione e la crescita dell’export vitivinicolo lo dimostra: +7% a volume, +15% a valore di fatturato”.

Le criticità: costo del lavoro, burocrazia per l’impiego e assenza di manodopera

E’ vero, il settore agroalimentare ha continuato a lavorare molto più di altri comparti durante i vari lockdown consentendo l’approvvigionamento, mantenendo i livelli occupazionali e utilizzando molto poco gli ammortizzatori sociali. Ma è comunque nel lavoro il nodo da superare, afferma Luca Brondelli, membro della giunta esecutiva di Confagricoltura “Il costo del lavoro è troppo alto in termini economici e di fatica burocratica. I centri per l’impiego non funzionano, le regole sono sempre più complesse e macchinose, la stessa legge sul caporalato prevede sanzioni pesanti alla minima svista. Inoltre, la pandemia ha ridotto l’accesso di lavoratori stranieri e il reddito di cittadinanza ha tagliato le gambe all’offerta di manodopera italiana”.

Fabiano Porcu, direttore Coldiretti Cuneo, spende qualche minuto per sottolineare il ruolo delle normative comunitarie. “L’omologazione è il vero nemico delle nostre eccellenze che trovano origine proprio nelle tipicità. In rapporto alla Francia siamo a 1.500 tipologie di nostri vini contro 150 delle loro. Dobbiamo lavorare per la sostenibilità delle nostre eccellenze. Ma occorre anche un po’ di reciprocità. Se la produzione agroalimentare in Italia è sottoposta a regole stringenti, come è giusto che sia, così deve essere anche negli altri Paesi dell’Unione Europea. Altrimenti avremo tanti altri casi Prosek”. L‘Italian sounding, sostiene infatti Porcu, è uno dei problemi: a fronte di un export che vale 52 miliardi di euro, 100 miliardi di prodotti sembrano/suonano italiani ma non lo sono.

A chiudere la mattinata Giuliana Cirio, direttrice di Confindustria Cuneo, che ha motivato l’ospitalità di Alba con la sua nomina a Capitale della cultura di impresa per l’anno 2021. “Abbiamo voluto creare un contesto culturale nel quale le aziende possano crescere, in una piccola cittadina circondata da una miriade di paesini legati tra loro nelle tante dimensioni dell’agroalimentare lungo tutta la sua filiera. L’attenzione alle materie prime si lega all’attenzione al capitale umano, come è nella scuola Ferrero. La produzione industriale a Cuneo cresce a due cifre e la disoccupazione è al 4%. Questa è la nostra capacità di reagire alla pandemia e protagonista ne è l’Agrifood. Il Piemonte deve tenere conto nelle sue scelte future, specie in un momento in cui l’automotive vive qualche incertezza”.

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