Il settore agroalimentare è entrato nella crisi economica scatenata dalla pandemia di Covid-19 avendo già al suo interno alcuni spiccati trend di evoluzione. Se la crisi li arresterà o, viceversa, farà da catalizzatore di questi cambiamenti, velocizzandoli e ingrandendone l’applicazione, è una questione dibattuta e controversa. Certo è però che tra questi trend uno dei posti principali è occupato dal tema della tracciabilità (e quindi rintracciabilità) dei prodotti e della certificazione della loro qualità. La maggiore attenzione che il consumatore destina all’origine del prodotto che si appresta ad acquistare e la accresciuta sensibilità verso le sue caratteristiche alimentari, esigono processi produttivi sempre più trasparenti, condivisi e credibili. La diffusione recente – nelle preferenze del consumatore – del cosiddetto cibo “free from” (dall’analcolico al tema del glutine) è un esempio dell’attenzione che viene riservata ormai sui temi della composizione stessa dell’alimento. Anche il legislatore (comunitario e nazionale) sembra essersene accorto, ponendo l’informazione del consumatore e il controllo sul prodotto alimentare in cima alla lista delle principali preoccupazioni legislative per il futuro. Si tratta peraltro di temi su cui non esistono posizioni neutrali o inoffensive dal punto di vista della concorrenza: basti pensare in merito al recente dibattito sul “nutriscore” che vede l’Italia opporsi a un modello di informazione del consumatore (il modello “etichetta a batteria”) che demonizza determinati cibi (prevalentemente della tradizione culinaria mediterranea) enfatizzandone alcune caratteristiche alimentari e i loro effetti su una dieta salutare. La blockchain può essere uno strumento decisivo per vincere queste sfide, tanto che si parla di agrifood chain.
Agrifood chain: definizione, vantaggi, applicazioni
La tecnologia blockchain è fondamentalmente un network in grado di coordinare e gestire flussi di dati provenienti da un numero esponenziale di dispositivi utilizzando una serie di semplici regole matematiche. Il modello, fondato sul principio della decentralizzazione come principio applicativo di sicurezza, non consente alcuna forma di manipolazione dei dati. Non esistendo infatti un singolo sistema di controllo centrale, ogni dispositivo è libero di unirsi alla rete (che è quindi aperta) e non ne è mai escludibile (la cosiddetta “resistenza alla censura”). Viene quindi impedita all’origine qualsiasi discriminazione possibile dei dispositivi connessi sia sulla base dell’origine che della destinazione o del suo contenuto. Proprio perché ogni nodo presenta uguali diritti e responsabilità, ognuno di essi è in grado sempre di esplorare e di verificare i dati che fanno parte dei flussi all’interno del network, rendendo impossibile una manipolazione, censura o falsificazione di questi.
L’applicazione di questa tecnologia si sta diffondendo in molti settori oggetto di studio. Nel caso specifico dell’agroalimentare la tecnologia blockchain potrebbe risolvere molti “colli di bottiglia” storici del settore che da sempre ne costituiscono veri e proprie questioni quotidiane. Si pensi ad esempio al tema di come garantire la freschezza degli alimenti, tema centrale per un settore che produce esclusivamente prodotti altamente deperibili e che hanno una ristretta finestra di vendita perché legata alla loro edibilità. Da un lato, grazie alla tecnologia blockchain sarebbe possibile controllare i tempi di stoccaggio della merce, realizzando in tempo reale lo “stato dell’arte” della merce immagazzinata. Dall’altro, grazie alle caratteristiche proprie del network di mutuo controllo reciproco, si sarebbe in grado di eliminare ogni errore discrezionale o capacità eventuale di produrre frodi: una rivoluzione per un settore in cui – come abbiamo detto – il tema della tracciabilità e della trasparenza sta diventando primario anche perché si accompagna sempre più spesso a quello strategico di tutela e valorizzazione del made in Italy. Non solo, l’utilizzo di tecnologia blockchain in questo caso potrebbe rivelarsi utile anche a contrastare lo spreco alimentare e a consolidare le relazioni di filiera.
IBM Food Trust è un ottimo esempio in questo. La piattaforma IBM per l’agroalimentare rappresenta una opzione concreta sul mercato che offre la possibilità di connettere in un unico ecosistema produttori, fornitori e rivenditori sfruttando le potenzialità della tecnologia blockchain, ospitata su IBM cloud.
Questa tecnologia può costituire anche un volano per l’export agroalimentare perché costituisce un vantaggio competitivo notevole se applicato con successo sul proprio prodotto. Per farsene un’idea è sufficiente approfondire il caso di CHO, il più grande gruppo tunisino di produzione olivicola, che da tempo ha adottato il sistema IBM Blockchain per offrire al consumatore le potenzialità aggiuntive garantite dal tracciamento digitale. In particolare, l’applicazione della tecnologia blockchain si riferisce qui alla linea di produzione dell’extravergine a marchio “Terra Delyssa”: dall’oliveto (costituito da oltre un milione di piante) passando per il frantoio fino agli stabilimenti industriali in cui l’olio viene filtrato, imbottigliato, distribuito e commercializzato, il singolo prodotto è marcato e seguito in ogni passaggio. Le informazioni derivanti vengono poi riassunte e caricate in un QR Code accessibile al consumatore sull’etichetta della bottiglia, che descrive dettagliatamente ogni fase del viaggio del prodotto fino alla tavola del consumatore. Il processo è così definito da poter consentire di visualizzare le immagini della specifica pianta da cui sono state raccolte le olive riferite a quella bottiglia. Si tratta, come è intuitivo, di un vantaggio competitivo in termini di marketing formidabile rispetto a coltivazioni magari qualitativamente superiori ma che non possono ugualmente rispondere alle esigenze di trasparenza e di tracciabilità che alcune nicchie di consumatori richiedono con sempre maggiore frequenza.
Quali ostacoli alla sua diffusione
La felice applicazione di questa tecnologia non può prescindere tuttavia da un impegno straordinario sul tema della formazione. La carenza di quest’ultima è sicuramente una delle principali cause ostative allo sviluppo di questa innovazione in campo agroalimentare. Non è possibile, infatti, pensare ad una riorganizzazione in senso digitale del tessuto economico agricolo italiano senza passare attraverso l’implementazione delle competenze di quei collaboratori. Sono proprio questi ultimi gli attori principali e concreti, nelle aziende coinvolte, a realizzare nei fatti l’innovazione digitale impegnandosi nella raccolta e nell’interpretazione dei dati necessari a supporto delle decisioni.
Attraverso la blockchain è quindi possibile finalmente decentrare la “catena della fiducia” della filiera agroalimentare costruendo una piattaforma partecipata da tutti i soggetti della filiera. Trovare il modo di dare equilibrio finanziario ai vari anelli di questa catena e valorizzandone in particolare l’anello agricolo è fondamentale. La concezione che deve essere alla base dell’applicazione di una tecnologia blockchain in campo agroalimentare è necessariamente la stessa che sta dietro la politica comunitaria “Farm to Fork”: è dall’ambito agricolo che inizia la “filiera della qualità”. Se il lato agricolo non è adeguatamente valorizzato all’interno della supply chain si rischia di coltivare – per rimanere nell’ambito grazie a una metafora – una pianta storta fin dal seme, che sia tracciato o meno.