Nessuna azienda è in grado di diventare più competitiva per “legge” e tantomeno si può pensare che possa diventare sostenibile solo per effetto di una “compliance normativa“. I processi, tanto nel business quanto e soprattutto nella sustainability e nell’ESG, sono ovviamente assai più complessi. Tante aziende, spesso di grandi dimensioni, hanno compreso che non basta intervenire con correttivi, ancorché drastici e pesanti, per raggiungere obiettivi di sostenibilità. Tante aziende hanno iniziato a ripensare la propria capacità di generare valore anche in ragione di quei “nuovi valori” che un tempo, semplicemente, erano considerati come opzionali, marginali, o riservati al campo d’azione dell’etica. Molto semplicemente quei valori che “non entravano nella stanza dei bottoni” perché non veniva attribuita loro la possibilità di agire sul risultato economico delle imprese.
Oggi le cose sono cambiate: sono tanti i fattori che portano quei valori all’attenzione del top management. Ci sono i consumatori, c’è la finanza e ci sono le normative sempre più stringenti, appunto e tra queste “forze” ci sta anche la pressione che arriva dall’appartenenza a catene del valore che si sono date l’obiettivo di raggiungere obiettivi di sostenibilità. E quando una value chain si muove in questa direzione non può permettersi di “tollerare al proprio interno delle eccezioni”, di avere degli “anelli deboli” che non contribuiscano direttamente a quel risultato.
Il rapporto tra PMI e sostenibilità
In questo scenario il numero delle piccole e medie imprese che sentono il “fiato sul collo” per raggiungere risultati di sustainability e di generare dati adeguati è destinato a crescere e anche per queste realtà la logica dei correttivi, degli interventi che permettano di presentare una “carta d’identità” adeguata ai tempi, rappresenta una risposta che può reggere solo nel breve periodo e che risponde solo in piccola parte alla domanda vera di sostenibilità per la quale appare evidente a tutti che serve oggi un approccio strategico.
Ma come? Quali sono i presupposti per comprenderne prima di tutto la portata e per affrontarla in modo adeguato?
Ed è da questo punto di analisi che si entra di fatto nel campo di un rapporto sempre più stretto tra aziende e standard di sostenibilità, tra prodotti e processi, da un lato, e misurabilità dei temi ESG dall’altro e, infine, tra i risultati di business e i numeri da mettere a disposizione dei rating ESG.
Un primo livello di conoscenza basato sui questionari
“Dobbiamo dire subito – spiega Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant P4I – che i temi legati ai rating ESG e ai punteggi non sono in assoluto una operazione complicata: ci sono tanti fornitori di rating che tipicamente mettono a disposizione dei questionari e che offrono supporto per la compilazione e per creare dati. Generalmente da questo lavoro esce un primo livello di conoscenza basato sulle risposte a una serie di domande specifiche e su queste risposte viene costruito un primo giudizio”.
Un approccio per certi aspetti semplice, ma nello stesso tempo anche molto “generico”. Per una PMI che si pone l’obiettivo di definire una propria azione verso la sostenibilità questa è una situazione molto comune. Ma che tipo di risultati si possono ottenere?
“La maggior parte di questi questionari sono molto simili come struttura, – prosegue Grassadonia – si tratta di domande ad ampio spettro che spesso non tengono conto dell’appartenenza settoriale dell’azienda o della geografia o di altri parametri. Si pongono l’obiettivo di un’analisi generale. In talune circostanze offrono la possibilità di introdurre e attuare in un secondo momento dei meccanismi di correzione per garantire una maggior precisione”.
Il risultato finale si configura come un primissimo orientamento generale in cui le valutazioni dipendono anche dalla sensibilità delle figure che all’interno dell’azienda sono chiamate ad affrontare questa strategia.
Il rapporto con i temi della sostenibilità dipende dalle figure professionali coinvolte
“Occorre considerare – puntualizza Grassadonia – che questo approccio nasce fondamentalmente nel mondo finanziario e che, ovviamente semplificando molto il concetto, si tende ad arrivare a definire dei rating e dei punteggi come un modo per semplificare la valutazione di un’azienda. Ecco che è importante capire se le risposte ai questionari, sono state gestite dalla parte finanziaria delle aziende, dal direttore finanziario o dall’investor relator, sapendo che il contributo di questa figura porta a un certo tipo di risultato. Ma occorre anche capire la presenza di altre figure, come i manager delle risorse umane o di altre figure con delega a tematiche ambientali e sociali. Anche in questo caso si crea e definisce una certa impronta e un certo tipo di conoscenza”.
Dunque, è importante considerare la sensibilità e la competenza di chi rappresenta l’azienda in questa raccolta di informazioni, ma è importante capire anche come evolve l’offerta di servizi.
“Nel corso del tempo – spiega Grassadonia – si è creata una gerarchia di questi fornitori. Quelli più quotati sono diventati anche più selettivi, hanno definito dei criteri più rigorosi in merito alle aziende da valutare e tipicamente hanno concentrato l’attenzione sulle aziende di maggiori dimensioni, per due grandi ragioni: la prima riguarda la possibilità di disporre di informazioni qualitativamente migliori in ragione del fatto che in quelle aziende si è via via definito un ruolo con competenze specifiche sulla sostenibilità. In secondo luogo diverse aziende che propongono queste analisi si muovono su un “doppio binario” che prevede sia la valutazione sia la consulenza. Si tratta di un terreno delicato e a questo riguardo va ricordato che l’autority di controllo della Borsa americana ha avviato un’inchiesta su queste realtà perché vede un potenziale conflitto di interessi. Anche in Europa è partita una indagine da parte di ESMA sulle politiche e le pratiche dei fornitori di rating ESG.
Una prima cartina di tornasole per valutare l’approccio alla sostenibilità
Ma a prescindere da questo contesto che è bene tenere in considerazione è importante mettere in evidenza che questo approccio rappresenta una primissima cartina di tornasole nella definizione di un approccio alla sostenibilità da “maneggiare con molta attenzione” perché può anche condurre nella direzione sbagliata. Per questo è importante che ciascuna azienda sviluppi la capacità di produrre un proprio “pensiero” in merito alla sostenibilità anche attraverso forme organizzative che portano questi temi all’attenzione costante del top management.
Se è vero come è vero che la sostenibilità comporta una ridefinizione del concetto di valore di ciascuna azienda i primi ad essere coinvolti devono dunque essere proprio coloro che ricoprono la responsabilità più importante. Ed ecco che vediamo, giustamente, scalare verso l’alto, anche in termini di livello gerarchico, il confronto su come affrontare questa trasformazione. Sempre più spesso la sostenibilità arriva in un comitato definito dal consiglio di amministrazione e sempre più spesso fa riferimento alla figura del chief sustainability officer o sustainability manager che ha un dialogo costante con il CEO e che si confronta in modo altrettanto costante con operation, finance, procurement, Hr, Marketing, IT.
PMI e rating ESG: quali sono i fattori da considerare
Occorre però rimettere al centro dell’attenzione i temi che guidano un’azienda in questa direzione e Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I, Team leader sostenibilità, sottolinea a sua volta che i rating sono solo una delle motivazioni e degli elementi trainanti e che possono contribuire ad accelerare il processi di sensibilizzazione ma solo sulla base di una corretta ponderazione. “Se un’azienda è quotata, il rating ha un peso di un certo tipo, se un’azienda è partecipata da un fondo guidato da rating ESG ha un’importanza diversa, se infine si tratta di un’ azienda privata è un altro conto ancora”.
Il rating semplifica, “parla” e permette di avere un valore da inserire nella carta d’identità dell’azienda e per molte PMI che operano all’interno di catene del valore complesse può diventare un fattore abilitante per proteggere la propria posizione, per valorizzarla o in alcuni casi per garantire la stessa continuità del business.
Come rispondere alla richiesta di sostenibilità che arriva dal committente
Ma ci sono anche altre “forze” che spingono nella direzione della sostenibilità e verso la definizione di una strategia in grado di garantire al proprio mercato la capacità di offrire i livelli di sostenibilità che sono richiesti. Una di queste spinte, la più comune per tante aziende, è la necessità di contribuire al rating del committente. “Questa è una delle motivazioni più importanti – sottolinea Fumagalli – : sono i clienti che lo chiedono in modo sistematico alle loro reti di fornitura, perché è in questo modo che possono costruire, letteralmente, la loro stessa sostenibilità, considerando che per tantissime realtà la capacità di trasformazione sostenibile è condizionata dalla possibilità di lavorare su prodotti, materie prime, semilavorati o servizi sostenibili che arrivano appunto dai fornitori”.
Ma la complessità non si ferma qui, ci sono anche altre variabili che influiscono su questi processi decisionali, tra cui la compliance legata alla dichiarazione non finanziaria (DNF). “Non sono tante le aziende oggi sottoposte a questo obbligo dalla legge (d.lgs. 254/2016) – osserva Fumagalli – un numero dell’ordine di alcune centinaia, ma, di nuovo, come per il perseguimento di un rating ESG, si torna al tema delle catene di fornitura sottostanti, con tutte le considerazioni fatte sopra”.
Per le PMI la sfida è prepararsi e preparare il terreno alla sostenibilità e ai rating
Per le PMI uno dei punti chiave in merito all’analisi e alla strategia ESG riguarda dunque l’appartenenza a catene di fornitura. Tutte le value chain, presto o tardi, avranno la necessità di chiedere alle aziende che ne fanno parte di trasformare prodotti e servizi e di generare i dati necessari per i rating ESG o per soddisfare le esigenze di compliance. Questo però rischia di generare un problema ulteriore per le PMI che si trovano spesso a dover rispondere a questionari diversi per i diversi committenti, con un sovraccarico gestionale oneroso e improduttivo. E’ possibile che in futuro si arrivi a razionalizzare questi aspetti ma va detto che non è in questo momento all’orizzonte una diminuzione dei questionari, ovvero degli attori che misurano la sostenibilità delle aziende.
“In questa prospettiva – afferma Fumagalli – è importante che ciascuna azienda sia nella condizione di prevenire e di prepararsi. Ogni azienda – prosegue – deve saper comprendere appieno i temi materiali e definire una propria matrice di materialità, costruendo un proprio profilo, fatto di informazioni quantitative e qualificative che siano significative innanzitutto per l’azienda stessa e che consentano anche di rispondere alle richieste dei committenti, come delle banche o di altri stakeholder interessati, con uno sforzo contenuto. “.
Il tema della materialità è fondamentale e permette di evitare il grande rischio di “farsi portare a spasso” dalle esigenze di rendicontazione di altri (seppure importanti), inseguendone le richieste senza avere il tempo e l’opportunità di riflettere sulle proprie esigenze strategiche. Per questo è importante avviare una riflessione sull’impatto dei temi della sostenibilità – ambiente, società, governance – sul business e sulle strategie dell’azienda che veda la capacità di rendicontare, cioè di misurare, come uno degli aspetti importanti, ma non l’unico, sviluppando al contempo la capacità di capire come cambierà il mercato e come dovranno o potranno cambiare le strategie di business per consentire all’azienda di restare competitiva nel nuovo scenario che si sta, giorno dopo giorno, delineando.
In questo processo, è prevedibile e, forse, inevitabile che ogni azienda abbia un proprio percorso, in cui le priorità sono determinate da tanti fattori esterni che non si possono controllare: è difficile, infatti, sottrarsi alle richieste dei clienti importanti, è impossibile non tenere conto dei limiti operativi derivanti dalle risorse disponibili, dal mercato e dal territorio in cui si opera e dalla cultura aziendale.
“L’importante – conclude Fumagalli – è avere chiaro che è in corso di ridefinizione, sui temi della sostenibilità, il contesto generale in cui le aziende operano e che, nel nuovo contesto potrebbero essere necessari nuovi modelli di business, nuovi prodotti, nuovi processi operativi per restare competitivi.
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