Cosa cambia per il settore energetico dopo le due settimane di COP26? Volendo tracciare un bilancio, è senz’altro possibile affermare che in tutte le discussioni della conferenza ONU sul clima, il settore energetico si è visto riconoscere un ruolo fondamentale nel contenimento del climate change. All’utilizzo, alla produzione e alla distribuzione di energia sono, infatti, legate la maggioranza delle emissioni di CO2 a livello globale. Di concreto, ci sono stati soprattutto gli impegni assunti sulla fine degli incentivi alle fonti fossili e un’iniziativa sottoscritta da molti Paesi (ma non da Cina, India e Usa) sull’addio al carbone. Sul documento finale della COP26 si fa poi cenno a un impegno alla “riduzione” del carbone e non all’eliminazione, che ha scatenato molto delusione tra gli ambientalisti. Volendo essere comunque ottimisti, si tratta della prima volta in cui esiste un consenso unanime sulla necessità di limitare questa fonte fossile.
Sul tema delle rinnovabili, invece, a Glasgow si è riscontrato un sostanziale accordo tra gli Stati sulla necessità di spingere quanto più possibile queste tecnologie. Tra gli addetti ai lavori sembra però serpeggiare un po’ di perplessità sulla capacità della filiera delle rinnovabili di garantire l’approvvigionamento di minerali e materiali (come le terre rare), che saranno fondamentali per garantire la decarbonizzazione del settore. Non a caso, si è riscontrata una grande attenzione per l’efficienza energetica. La riduzione dell’intensità energetica è invece ora vista come una componente fondamentale per il contenimento del climate change. Infine, è da segnalare come il nucleare sia tornato al centro della scena grazie soprattutto al Nuclear Futures Package, il pacchetto da 25 milioni di dollari promosso dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che punta ad aiutare un’ampia gamma di paesi ad acquisire tecnologie per l’energia nucleare, così da sostenere la lotta ai cambiamenti climatici.