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Le sfide dello sviluppo sostenibile: Geopark tra passato e futuro



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Il progetto di sviluppo locale Kore Siciliae comprende realtà attive nel comparto biologico con la coltivazione di grani antichi e legumi dimenticati, con attività di raccolta in punta di dita di zafferano, o per produrre pani e dolci con farine usate millenni fa, ma con il supporto di conoscenza che arriva dal digitale e dall’AI

Pubblicato il Feb 7, 2025



geopark
Ulivi secolari © Ph. Antonio Gerbino

Solo uno dei 214 Geoparks UNESCO sparsi in 48 Paesi del mondo celebra il nome di una divinità: Cerere, conosciuta dai greci come Demetra, Dea-Madre e nume tutelare del grano, della terra e della fertilità. Il suo santuario, descritto anche da Cicerone, era stato edificato già in epoca greca a Enna, sul grande sperone calcareo – la Rocca di Cerere da cui il nome del Geopark – affacciato a strapiombo su una distesa infinita di campi di grano punteggiati da ulivi. Cerere era madre di Proserpina, la Persefone di greci, la fanciulla (in greco “kore”) di cui si invaghì Plutone, dio dell’oltretomba, che la rapì sulle sponde del lago di Pergusa e la sposò rendendola suo malgrado regina degli inferi. Mosso a compassione dalla disperazione di Cerere, suo fratello Giove convinse Plutone a restituire la figlia alla madre anche solo per metà dell’anno. Così, quando madre e figlia erano assieme, Cerere era felice, rendeva il paesaggio rigoglioso e regalava ottimi raccolti ai contadini, salvo poi piombare nel dolore e nel disinteresse per la natura non appena la figlia era costretta a tornare negli inferi. Nemmeno la caduta di Roma e l’avvento del Cristianesimo riuscirono a far tramontare la devozione per Cerere degli ennesi; i riti pagani si convertirono in cristiani e gli attributi della dea del grano e della fertilità passarono alla Madonna nella cui coreografica festa annuale del 2 luglio, risuonano gli echi degli antichi “cerealia”.

Kore Siciliae: un rapporto fondamentale con la Terra

Lungi dal confondere il sacro col profano, gli ennesi di oggi mantengono con la Terra lo stesso antico rapporto carnale dovuto a una Madre che nutre e sostiene i suoi figli nonostante le offese, le aggressioni e le ferite. Vivere e lavorare nel Geopark Rocca di Cerere significa ergersi a guardiano della terra, custode dell’ambiente, difensore del paesaggio, della sua storia e del suo futuro. Partendo da queste consapevolezze, decine di piccole imprese artigiane e dell’agroalimentare si sono consorziate nel progetto di sviluppo locale Kore Siciliae, impegnandosi ad adottare una visione ecocentrica e più etica del futuro: pratiche agricole sostenibili e rigenerative, sistemi di allevamento rispettosi del benessere e della dignità animale, filiere cortissime di approvvigionamento, tecnologie “dolci” e processi a bassissimo impatto ambientale. Non succede spesso in Sicilia ma gli agricoltori, gli allevatori, i trasformatori e i ristoratori che si riconoscono nel marchio etico Kore dialogano e collaborano tra loro, si scambiano pareri e prodotti, si confrontano con università e centri ricerca; fanno “sistema” non solo per valorizzare le eccellenze del Geopark e del suo paniere di prodotti ma anche per testimoniare l’impegno di un’intera collettività nella salvaguardia del territorio, nell’educazione alla sostenibilità e nel rispetto della propria storia e tradizione.

Sostenibilità come dialogo tra generazioni

Il raggiungimento di questi obiettivi richiede di andare oltre la visione romantica della campagna e di sottrarsi dalla logica aberrante del “si-stava-meglio-quando-si-stava-peggio”. L’agricoltura e l’artigianato alimentare del Geopark Rocca di Cerere devono fare i conti con sfide epocali come il cambiamento climatico, la carenza di manodopera, una sempre maggior richiesta di prodotti ad alto valore ambientale e territoriale, l’urgenza di rigenerazione e sostenibilità ambientale, l’imprevedibilità dei mercati e, non ultima, la digitalizzazione. In provincia di Enna sempre più giovani decidono di tornare alla campagna, di fare il contadino, l’allevatore, il casaro, l’oliandolo, il trasformatore di frutta e verdura ma anche il panettiere, l’oste e il pasticcere. In molti casi abbracciano il mestiere paterno, nel segno di un ricambio generazionale sul quale dieci anni fa ben pochi avrebbero scommesso.

Ovviamente non mancano divergenze di pensiero, di aspettative, di modi di fare e di affrontare i problemi, ma sono quelle che separano ogni generazione da quella che la segue e da quella che la precede; ma lì le usanze dei padri non sono percepite dai figli come disvalori e rientrano in quel dialogo tra generazioni necessario a mantenere vitale lo scambio di idee, esperienze e savoir-faire.

Agricoltura di precisione e agricoltura di necessità

È probabile che un contadino o un allevatore ennese ultrasettantenne (anagraficamente è un “baby-boomer”) fatichi a pensare alla campagna in termini di agricoltura-di-precisione; lui non ha molta confidenza con i satelliti, i GPS, i “big-data” le reti wi-fi, i droni, e altre diavolerie; è figlio di un’agricoltura di necessità, di fatalità, di empirismo e buon senso, di speranze e occhi alzati al cielo per chiedere al Padreterno la pioggia e a Cerere di non far grandinare.

Tutte le generazioni passate hanno lavorato la terra per garantire alla famiglia buoni raccolti e lasciare ai propri figli un mondo migliore di quello in cui erano vissute. Non sta a noi giudicare se nel Geopark Rocca di Cerere “i vecchi” potevano far meglio – di più o di meno, dipende dai punti di vista – ma ciò che conta è l’entusiasmo con cui figli e nipoti hanno creduto al loro sacrificio e raccolto i frutti di quel lavoro. Ecco che i consorziati di Kore Siciliae sono in gran parte devoti al biologico e coltivano ancora grani antichi e legumi dimenticati, insacchettano a mano le pesche sulle piante pur di non usare insetticidi, raccolgono in punta di dita 100.000 fiori per ottenere mezzo chilo di zafferano, fanno pani e dolci con le farine usate millenni fa dai sumeri e dai babilonesi, pascolano le stesse pecore di Polifemo, spremono l’olio dalle olive raccolte a mano su alberi secolari, producono formaggi antichi che hanno il colore del grano e dei capelli di Cerere… Girano per la campagna con gli stivali inzaccherati ma tengono in mano tablets e computer portatili, maneggiano joystick e radiocomandi per i droni e piantano nel terreno sensori abilitati all’Intelligenza Artificiale. Possiedono le conoscenze e dispongono degli strumenti che servono a mettere in pratica quella “agricoltura di precisione” che permette interventi misurati sulle effettive esigenze delle colture e sulle caratteristiche biochimiche e fisiche del suolo: dalle previsioni meteo ai consigli di irrorazione e seminabilità, dal monitoraggio delle infestazioni di insetti alla gestione accurata di fertilizzanti e agrofarmaci.

In fondo è proprio questo che li fa credere nel futuro di ciò che hanno ereditato e di cui hanno fatto ragione di vita per loro famiglie e per l’intera comunità.

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