Tra le diverse tecnologie della ultima ondata di digitalizzazione (cloud, big data, intelligenza artificiale), la Blockchain è forse quella che di solito viene meno associata a un contesto industriale e produttivo. Il grande pubblico tende a confondere il concetto di blockchain con quello delle criptovalute e gli stessi progetti in ambito aziendale, al momento, stentano a imporsi e a crescere di numero. Eppure, c’è in realtà un settore come quello del Food dove la blockchain può assicurare un reale vantaggio competitivo. Rendendo possibile contrastare una delle minacce peggiori al business delle aziende del comparto, ovvero l’Italian Sounding.
Si tratta di un fenomeno che consiste nell’utilizzo di etichette, altri simboli, colori o figure sull’imballaggio che evocano l’italianità dei luoghi d’origine della materia prima, della ricetta, del marchio o del processo di trasformazione. Quando, invece, tali prodotti sono lavorati all’estero, con materie prime importate chissà da dove.
Nonostante nomi e caratteristiche improbabili, l’Italian Sounding ha presa sui consumatori globali: oltre due prodotti agroalimentari su tre spacciati come italiani sono in realtà falsi, senza alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese. Un vero e proprio inganno, che sottrae ogni anno nel mondo circa 120 miliardi di dollari di valore al Made in Italy agroalimentare, secondo una recente stima di Coldiretti.
La tracciabilità per contrastare l’Italian Sounding
In attesa di radicali intese a livello internazionale che possano limitare il fenomeno, l’unica strada a disposizione delle imprese italiane è quella della qualità, così da sottolineare la distanza della vera produzione Made in Italy dai prodotti dell’Italian Sounding. In tale ottica, la tracciabilità riveste un ruolo chiave: le organizzazioni devono essere in grado di monitorare che la qualità di prodotto sia conservata e mantenuta per ciascun lotto di produzione. E la Blockchain può giocare una parte importante: grazie alla sua caratteristica di registro immutabile e condiviso, consente di tracciare in maniera inequivocabile tutte le operazioni che avvengono all’interno della filiera agroalimentare.
In questo modo le informazioni validate possono essere restituite al cliente finale, che può essere così progressivamente abituato a cogliere la differenza rispetto ai falsi claim dell’Italian sounding. Le potenzialità della Blockchain sono perfettamente note a un operatore nato e cresciuto vicino alle principali aziende nazionali del mondo del food, il system integrator parmigiano Sinfo One. Come racconta la CEO Paola Pomi, la tecnologia della catena a blocchi non deve essere però vista soltanto come uno strumento di marketing, come troppo spesso capita di vedere sul mercato: “Sappiamo bene che la Blockchain può essere utilizzata come strumento di marketing, affascinando e coinvolgendo il consumatore finale. Invece, noi siamo particolarmente attenti anche al ruolo che la Blockchain può giocare nell’ottica dell’ottimizzazione dei processi, di una maggiore trasparenza di filiera e dell’integrazione tra diverse realtà. In effetti, questa tecnologia rende possibile integrare aziende appartenenti a una stessa filiera produttiva. Le quali possono decidere di collaborare per far sì che una materia prima di qualità sia impiegata in tutti i processi di produzione e trasformazione, fino ad arrivare al piatto del consumatore finale. Le soluzioni che abbiamo messo in piedi su questo fronte vanno a cogliere entrambi gli aspetti, in maniera tale da valorizzare al massimo l’investimento lato aziendale”.
L’attenzione dei mercati internazionali al food italiano
Dunque, Sinfo One ha messo a punto delle soluzioni Blockchain che permettono di concatenare chi fornisce la materia prima alimentare con chi la lavora e per, determinate tipologie di prodotto e marchi, tali informazioni sono anche restituite al consumare finale, tramite gli ormai classici QR Code sulle etichette. Progetti che, per il momento, sono stati realizzati soprattutto Oltreoceano: “Le soluzioni principali che abbiamo messo a disposizione sono state utilizzate soprattutto nel mercato americano, che valorizza particolarmente il food italiano, il quale viene ritenuto qualitativamente migliore rispetto a quello degli altri Paesi. In questo mercato, il valore attribuito all’origine e al processo produttivo di un prodotto food italiano rende spesso possibile un investimento di questo tipo. Ci sono ormai importanti retailer internazionali che su determinati prodotti sono disposti a pagare non soltanto la materia prima, ma anche la qualità dell’informazione fornita. Dal nostro punto di vista è però sempre importante capire quali prodotti e quali tipologie di consumatori finali potrebbero essere davvero avvantaggiati dall’utilizzo di questa tecnologia. Dunque, non tutto, in particolare nel mondo del food, deve necessariamente finire sulla Blockchain. Il nostro compito è anche quello di aiutare i clienti a ragionare sul tema in maniera razionale e non con la logica del tutto o niente”.
Insomma, un investimento in Blockchain va sempre adeguatamente ponderato, tenendo in considerazione i tempi di payback. Ciò non toglie, però, che anche le aziende che si rivolgono principalmente al mercato nazionale possano tentare una strada di questo tipo, in particolare quando si vuole valorizzare in maniera importante una materia prima che ha una storia e un’origine di qualità, caratterizzata dal rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali.
I dati che servono alla Blockchain
Anche perché, da un punto di visto tecnico la Blockchain non è di per sé complessa: “Le problematiche sono in realtà legate al calcolo di tempi, costi e benefici. Il tema è filtrare all’interno dell’ERP quei brand e quegli item che hanno il corredo di Blockchain annesso. Le tempistiche di progetto sono relativamente brevi, perché una volta che tutto quanto viene tracciato all’interno dell’ERP e si sono ottimizzati i processi industriali, l’attivazione della tracciabilità su Blockchain diventa quasi un tecnicismo. Molto spesso il problema è a monte: se il cliente è abituato a tracciare soltanto quello che viene prescritto per ragioni normative, è difficile organizzare una Blockchain efficace. Facciamo un esempio concreto: se un’impresa alimentare volesse tracciare in Blockchain l’origine della carne dei propri salumi, bisogna far sì che nella fase di macellazione si distingua non soltanto la giornata di ogni lotto – come dispone la normativa vigente –, ma anche il luogo di origine di ogni singola partita di carne. Di norma, quando un’industria ha una organizzazione di filiera in cui ogni fornitore ottiene dei premi qualitativi per le materie prime fornite, può contare su una ottima base di partenza per la Blockchain. In questi casi il tempo di implementazione è puramente tecnico”, conclude la CEO di Sinfo One.