I dati, purtroppo, non lasciano spazio ai dubbi: ci troviamo di fronte ad una vera e propria crisi alimentare. Secondo le ultime previsioni della FAO, il livello di insicurezza alimentare globale, che nel 2021 ha raggiunto 828 milioni di persone che soffrono la fame e altri 2,3 miliardi di persone sono in stato di moderata o severa insicurezza alimentare, è destinato a peggiorare ulteriormente a causa della sovrapposizione di crisi planetarie legate all’aggravamento degli effetti scatenati dai cambiamenti climatici, dalle interruzioni nelle catene di fornitura, dalla crescita dei costi dell’energia, dalle conseguenze di crisi geopolitiche come la guerra in Ucraina. In Italia nel triennio 2019-21 il 6,3% della popolazione ha avuto problemi di accesso al cibo e la situazione si è purtroppo aggravata.
Le risposte alla crisi e alle sfide epocali del settore agroalimentare si attendono oggi in primo luogo dai decisori politici, ma sicuramente un ruolo importante è giocato anche dalle collaborazioni cross-settoriali tra enti pubblici locali e settore privato (profit e non profit) per il recupero e la ridistribuzione delle eccedenze a fini sociali, con modalità che permettono di fornire una risposta congiunta al fabbisogno crescente di cibo sano e nutriente da parte delle fasce più vulnerabili della popolazione, concentrate nelle città. Al contempo, le imprese rafforzano i propri sforzi di innovazione per introdurre soluzioni nuove alle sfide di sostenibilità del settore. In questo senso, un ruolo cruciale è affidato alla tecnologia e alle startup che stanno rispondendo a questa emergenza con soluzioni innovative nel campo della food sustainability e che permettono di limitare i rischi, di migliorare la produzione, di ridurre gli sprechi, di recuperare le eccedenze e ridistribuirle con maggior efficienza e con maggiore equità.
Startup e innovazione come leva per la food sustainability
Durante il convegno di presentazione dei risultati dal titolo “Sicurezza alimentare e sostenibilità della filiera agrifood: a che punto siamo?”, Raffaella Cagliano, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability hasottolineato la necessità di affrontare la crisi alimentare “azionando molte leve”. Sicuramente una risposta fondamentale arriva dagli accordi tra Paesi per salvaguardare una fornitura adeguata ed equa di prodotti alimentari, insieme alle politiche di Commissione Europea e governi nazionali per rafforzare sicurezza, resilienza e sostenibilità dei sistemi agroalimentari.
Altre misure devono essere prese da governi locali e nazionali in partnership con le organizzazioni non profit per mitigare nel breve termine gli impatti sociali più negativi. In questo senso, Cagliano invita a guardare agli attori del sistema alimentare urbano che sperimentano diversi modelli di collaborazione cross-settoriali per il recupero e la ridistribuzione delle eccedenze alimentari e per rispondere alla domanda crescente di cibo sano e nutriente in particolare dalle fasce della popolazione più vulnerabili concentrate nelle città. Si pensi in questo caso agli Hub di Quartiere contro lo spreco alimentare di Milano, che coniugano attività di recupero e ridistribuzione di eccedenze alimentari donate da diverse fonti con il modello del supermercato sociale e anche la trasformazione di eccedenze, che sarà sperimentata nel nuovo e quinto Hub appena inaugurato. Ad esperienze come “Spesa SOSpesa” al mercato comunale nel quartiere Nolo di Milano e “Fate Bene” a Torino, in cui le spese per le persone in difficoltà si compongono di eccedenze donate o prodotti acquistati dai mercati urbani, punti vendita o negozi del quartiere grazie al supporto economico dei cittadini privati.
Ma, una spinta decisiva viene soprattutto dal sistema delle imprese con il loro contributo di innovazione, che pone al centro la sicurezza alimentare e nutrizionale e l’utilizzo più efficiente e responsabile delle risorse come leva per una trasformazione duratura e sostenibile del sistema agroalimentare. Le giovani imprese sono le prime a farsi promotrici di tecnologie, servizi e modelli di business innovativi, cogliendo nuove opportunità di mercato. E questi modelli di business sono essenzialmente orientati alla sostenibilità, per cui diventano il soggetto ideale per osservare da vicino i trend di innovazione e l’introduzione di nuove pratiche di sostenibilità nell’agrifood.
Il ruolo delle startup nella crisi alimentare
Nell’ambito delle 7.337 startup agrifood censite nel quinquennio tra il 2017 e il 2021 a livello mondiale, dalla quinta edizione della ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano, il 34% (2.527 ) persegue uno o più degli SDGs. Un segno questo dell’impegno del settore privato sulla spinta degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite uscita dalla COP21 di Parigi.
Le soluzioni sviluppate dalle startup agrifood mirano innanzitutto a ottimizzare l’utilizzo delle risorse: l’SDG 12 target 12.2 consumo e produzione responsabili è nei piani di azione e di sviluppo del 30% delle startup esaminate. All’SDG 12 segue una focalizzazione sull’obiettivo 15 target 15.1, vale a dire proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre per arrivare a garantire la conservazione, il ripristino e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi di acqua e di terra entro il 2030. Il 21% delle startup guarda a questo goal.
A seguire, le startup investono su soluzioni per sensibilizzare e incentivare l’adozione di stili di vita e pratiche sostenibili (SDG 12 target 12.8, 17%), aumentare la produttività e la capacità di resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (SDG 2 target 2.4, 17%) e favorire il turismo sostenibile e le produzioni locali (SDG 8 target 8.9, 16%). In misura più modesta le giovani imprese puntano a tutelare i piccoli produttori (SDG 2 target 2.3, 12%), ridurre eccedenze e sprechi alimentari lungo la filiera (SDG 12 target 12.3, 11%), assicurare il lavoro a tutti e una remunerazione equa (SDG 8 target 8.5, 8%) e promuovere l’uso efficiente e accesso equo alle risorse idriche (SDG 6 target 6.4, 7%).
Food sustainability: come le startup affrontano lo spreco alimentare
Un obiettivo particolarmente importante sul quale si concentra l’attenzione dell’innovazione rientra nell’obiettivo 12.3 nell’ambito dell’SDG numero 12, ovvero dimezzare entro il 2030 lo spreco alimentare globale pro-capite agendo su tutti i livelli, dalla riduzione delle perdite di cibo nel post raccolto, nelle catene di produzione e sulle catene di fornitura, così come anche nelle fasi di vendita e nello spreco di cibo che si avvera nella fase del consumo. Le startup impegnate in quello che può essere definito come lotta al food waste sono l’11%. La”catena del freddo“, in particolare, rappresenta una filiera strategica che necessita di piattaforme tecnologiche adeguate a supporto della logistica, unitamente alla condivisione di buone pratiche operative e di supply chain management, alla tracciabilità dei prodotti e al monitoraggio della temperatura lungo l’intera filiera.
A livello globale, circa il 14% del cibo prodotto viene purtroppo perso tra il raccolto e la vendita al dettaglio, mentre si stima che il 17% della produzione alimentare globale totale venga sprecato (11% nelle famiglie, 5% nel servizio di ristorazione e 2% nella vendita al dettaglio). Questa perdita e spreco di cibo rappresenta l’8-10% del totale dei gas serra globali, contribuendo a un clima instabile e a eventi meteorologici estremi come siccità e inondazioni che hanno un impatto negativo a loro volta sui raccolti, riducendo la qualità nutrizionale delle colture, causando interruzioni della catena di approvvigionamento e minacciando la sicurezza alimentare e la nutrizione. In un mondo in cui il numero di persone colpite dalla fame è in rapido aumento e tonnellate di cibo commestibile vengono perse e/o sprecate ogni giorno, ridurre le perdite e gli sprechi alimentari diventa essenziale.
Le cause di “rottura” della catena del freddo
L’espressione catena del freddo viene applicata a tutti quei prodotti che necessitano del mantenimento di una temperatura costante nel percorso che li porta dal produttore al consumatore finale che non vada così ad intaccare le proprietà nutrizionali e organolettiche dell’alimento e a sfavorire lo sviluppo di batteri. Ridurre l’intensità degli shock termici vuol dire difendere e preservare la qualità degli alimenti. La catena del freddo inizia dal produttore che deve assicurare la giusta temperatura di conservazione dei prodotti nella fase di produzione e trasporto, passa attraverso la fase di stoccaggio in piattaforme refrigerate, arriva nei magazzini di vendita e prosegue fino ai congelatori e frigoriferi dei clienti finali. La rottura della catena del freddo riduce la durata del prodotto e quindi rende non veritiera la data di scadenza indicata nell’etichetta, provocando il deterioramento dell’alimento.
Ma quali sono le cause di rottura? Claudia Colicchia, Professoressa di Logistics Management e Ricercatrice dell’Osservatorio Food Sustainability, Politecnico di Milano ha identificato quattro categorie principali: problemi di tipo tecnologico legato al malfunzionamento dei sistemi di refrigerazione o danneggiamento dei sistemi come il packaging; problemi di logistica e di coordinamento nella gestione di una filiera soprattutto quando è geograficamente estesa, include diversi paesi e normative per il controllo della temperatura e a volte disintermediate, il che aggiunge complessità; problemi di operatività interna soprattutto durante le fasi di trasporto e carico-scarico, dove il prodotto può essere esposto a shock termici; infine, fattori esogeni non direttamente controllabili dalla azienda e dalla filiera come aumento delle temperature, scioperi, traffico ecc. che comunque devono essere gestiti.
Come prevenire e ridurre lo spreco di prodotti freschi
L’Osservatorio ha analizzato oltre 79 soluzioni innovative introdotte dalle startup agrifood, operative nel quinquennio 2017-2021, orientate a ridurre gli sprechi nella catena del freddo. Le soluzioni mirano ad ottimizzare la produzione in risposta all’andamento della domanda e a diminuire le scorte in magazzino, tramite un migliore allineamento di domanda e offerta (11% del campione) e l’accorciamento della supply chain (6%). Puntano a migliorare la conservazione dei prodotti attraverso l’estensione della shelf life (10%) e il monitoraggio della temperatura e di altri parametri critici (9%). Quando la prevenzione non è possibile, per valorizzare le eccedenze di prodotti freschi, le startup propongono piattaforme digitali per la ridistribuzione dei prodotti tramite vendita a prezzo scontato o donazione (28%), o in alternativa varie soluzioni tecnologiche di upcycling per trasformare l’eccedenza in altro prodotto edibile a più lunga vita residuale o per recuperarne parte del valore per fini di alimentazione animale, riciclo o recupero energetico (36%).
Marco Melacini, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability sottolinea la fondamentale importanza della catena del freddo nel settore agroalimentare per il ruolo insostituibile che i prodotti freschi e freschissimi ricoprono per una dieta sana e nutriente. Ma occorre superare le criticità delle interfacce tra i diversi attori della filiera, in particolare durante il trasporto o nelle fasi di carico e scarico della merce, e poi il trade-off tra decisioni strategiche e pratiche operative orientate, da una parte, a obiettivi di efficientamento energetico o di incremento delle vendite in store e, dall’altra, a obiettivi di mantenimento delle condizioni ottimali di conservazione dei prodotti e quindi prevenzione degli sprechi”.
Dare una seconda vita al prodotto per evitare che si trasformi in rifiuto
Guardando a una filiera come quella dello yogurt sono diversi gli attori contribuiscono e concorrono alla gestione della filiera: allevatore, produttore, operatore, distributore, operatore logistico, fornitore di dispositivi digitali o componenti per sistemi di refrigerazione, ecc. È una filiera altamente controllata sia in termini di temperatura che parametri come umidità, concentrazione di fermenti lattici vivi, PH che possono avere un impatto diretto sulla qualità del prodotto e indiretto sul packaging con annessi problemi di invendibilità del prodotto.
Come sostiene Salvatore Castiglione, Corporate Affaires Director, Danone un punto critico nella generazione di sprechi e nella gestione delle eccedenze parte dall’idea che un’azienda che produce cibo non può sprecarlo. Garantire la food sustainability implica la necessità di curare tutta la filiera di creazione e distribuzione per evitare che un solo vasetto di yogurt venga sprecato. E per farlo bisogna necessariamente chiedersi: quali sono i momenti fragili di un sistema complesso come la catena del freddo legata alla sicurezza alimentare soprattutto un territorio italiano che è lungo, caldo e un trasporto non semplificato da nord a sud? Come ridurre lo spreco alimentare?
Un prodotto durante il trasporto logistico che non è conservato in maniera conforme quando arriva alla GDO rischia di essere rifiutato perché nelle fasi di controllo potrebbe aver superato la temperatura ed essere classificato come “non idoneo alla vendita”. L’obiettivo comune è evitare che quel prodotto arrivato a destinazione diventi rifiuto. Questo significa sfruttare al massimo le potenzialità del prodotto evitando che alimenti lo spreco alimentare. È utile interrogarsi tenendo a mente la sicurezza alimentare e l’immagine del prodotto e pensare a una seconda vita del prodotto e dove può essere indirizzato se non può essere più venduto. Magari può essere destinato alla donazione o a fini di alimentazione animale, riciclo o recupero energetico.
Prevenire le interruzioni del freddo lungo la supply chain
Andando a valle, dai distributori, quali sono le cause dell’interruzione della catena del freddo e come gestire le criticità con i vostri partner di filiera? Renata Pascarelli, Direttrice Qualità, Coop Italia spiega che in questi anni, tutti gli attori di filiera si sono impegnati nel cercare di contrastare le interruzioni della catena del freddo, soprattutto nella GDO dove molto si è investito per disporre di un sistema di telesorveglianza che consenta di intervenire prima della rottura della catena del freddo. L’obiettivo è evitare di arrivare a quel limite, e di anticipare e gestire le eventuali “alzate di temperatura” e trovare soluzioni per non incorrere nello spreco alimentare.
Un altro fronte su cui si è lavorato riguarda i produttori, con il fine di identificare le corrette temperature di conservazione e trasporto perché spesso ci sono fluttuazioni ma gestibili e inevitabili, anche a livello dei processi tecnologici. Inoltre, quando la prevenzione non è possibile, Coop ricorre alla donazione collaborando con le maggiori associazioni sul territorio per evitare di sprecare prodotti invendibili sul mercato.
Tecnologie certificate per la refrigerazione
Il tema della gestione delle risorse e della food sustainability è letteralmente esploso e rappresenta una delle priorità che guidano i percorsi di innovazione di filiera, ma che rapporto si può stabilire tra innovazione digitale e sostenibilità? Livio Perrotta, Marketing Manager, LU-VE Group tiene a sottolineare che ogni prodotto richiede temperature e umidità relative specifiche per la conservazione. Ogni prodotto è vivo in ciascun punto della catena del freddo. Per questo, l’obiettivo di LU-VE è garantire che queste condizioni vengano mantenute e rispettate nel modo più preciso possibile e garantendo la corretta temperatura di aria sul prodotto, il numero ricircoli dell’aria (quanti volumi all’ora vengono trattati dall’aerovaporatore nella cella frigorifera), la freccia d’aria (arrivare in fondo celle frigorifere anche di 100 metri di lunghezza senza prediligere solo la parte di derrate più vicine) e la sostenibilità tra consumi e livello sonoro.
Barcode Dinamico e Cloud per la tracciabilità di filiera
Una soluzione di food sustainability che risolve il problema comune alle aziende del settore alimentare, di controllo e garanzia della temperatura degli alimenti e delle materie prime, durante le varie fasi di conservazione e trasporto lungo la supply chain, è rappresentata dalle etichette intelligenti. Le smart labels, basate su tecnologia barcode e applicate al packaging, sono in grado di monitorare le variazioni di temperatura e localizzare geograficamente lotti, pallet, imballi e prodotti grazie al cloud. Un esempio è quello che ha portato Guido Gatti, General Manager, Price Performance Solutions, che si presenta come solution provider con soluzioni innovative ed eco-friendly frutto di studi e scouting internazionali presso i maggiori hub di innovazione globali.
Per quanto attiene al monitoraggio delle temperature PPS offre una soluzione end-to-end a servizio dell’intera filiera che riduce il rischio di patologie di origine alimentare; spreco di prodotti mal conservati; restituzione di interi lotti di prodotto; diminuzione della brand reputation aziendale. Infatti, se la maggior parte delle soluzioni ad oggi presenti sul mercato permettono di soddisfare gli standard qualitativi, richiedono l’implementazione di device che provocano un aumento considerevole dei costi (acquisto di infrastrutture, formazione del personale) e della criticità (disomogeneità delle sorgenti dei dati, scarsa interoperabilità dei sistemi, furto dei device).
Sfruttando la tecnologia cloud, la soluzione di PPS garantisce integrazione, interoperabilità e sicurezza dei dati. Si tratta di un’etichetta intelligente che sfrutta la tecnologia dei codici a barre, scannerizzabili da qualsiasi smart device per la raccolta dei dati, fornendo informazioni su temperatura, tempo e posizione del prodotto. La piattaforma cloud dedicata funge da tool per la Data Analysis e la Data Comparison che forniscono un ampio supporto alla fase di decision-making. Ogni etichetta è totalmente personalizzabile (logo, grafica, colori e scala di temperature da monitorare) per una soluzione applicabile al settore Food & Beverage (frutta, verdura, carne, pesce, surgelati, lattici, confezionati), quanto alla distribuzione (trasporto, inventario, magazzino) e al settore farmaceutico (logistica e trasporto di farmaci e campioni biologici).
La food sustainability passa anche dall’efficientamento energetico
Spostando l’attenzione sul tema di efficienza energetica, Pascarelli di Coop sottolinea che si tratta di un tema che affrontano da tempo. In particolare, Renata racconta di una iniziativa che risale a diversi anni fa, quando in Coop ma anche in altre catene della GDO, si è iniziato a pensare di chiudere i banchi frigoriferi il che garantiva al team della qualità la garanzia della catena del freddo, ma effettivamente il vantaggio di poter ottenere un risparmio energetico misurabile. I tecnici erano orientati a chiudere i banchi frigoriferi; mentre i commerciali temevano di perdere le vendite, soprattutto d’impulso. Tuttavia, con sperimentazioni e validazioni si è arrivati alla conclusione che la chiusura dei banchi frigoriferi portava a indubbi vantaggi e tutto sommato anche il consumatore si è adattato ai vari sistemi di chiusura e di conseguenza questa attività è stata portata avanti così come la chiusura dei banchi frigoriferi la notte. “Certo è che più riusciamo ad integrarci con la produzione e con il mondo universitario tanto più potremo raggiungere risultati importanti” sottolinea Pascarelli.
Anche LU-VE group, racconta Perrotta, ha da sempre investito in ricerca e sviluppo introducendo tecnologie come gli scambiatori di calore più efficienti, primi al mondo a introdurre la ventilazione con motore elettronico che consente fino il 30% del risparmio energetico modulando la velocità dell’aria in base al fabbisogno, sbrinamenti alternativi rispetto all’elettrico soprattutto per i fluidi naturali che arrivano anche all’80% del risparmio energetico. Siamo stati i primi ad ottenere la certificazione Eurovent nel 2000 per i consumi energetici. “Oggi abbiamo saputo che alcune catene di supermercati hanno rinnovato gli impianti e si sono ritrovati con bollette che non si aspettavano perché erano stati scelti prodotti non certificati” osserva Perrotta che insiste sulla leva della certificazione come garanzia di efficienza energetica e sostenibilità degli impianti tecnologici.
Nuovi strumenti di misurazione e reporting per una filiera più trasparente e inclusiva
Un’altra tendenza riscontrata dall‘Osservatorio in ambito food sustainability è la crescita di attenzione da parte delle aziende verso la misurazione delle prestazioni di sostenibilità, sia in ambiti specifici come quello del packaging sia a livello di filiera, che è anche il riflesso di una presa di coscienza da parte dei consumatori della necessità di ottenere informazioni sempre più dettagliate sulle prestazioni di sostenibilità di un prodotto alimentare. La sfida rimane la condivisione efficace di dati affidabili e precisi tra i diversi e molteplici attori che ne fanno parte. Dunque, i dati ci sono, occorre però prendere l’iniziativa per sfruttarli, perché possono portare vantaggi molto concreti e creano nuovi vantaggi competitivi. Tra le barriere che ostacolano le imprese che vogliono approcciare la misura delle prestazioni di sostenibilità l’Osservatorio ha individuato la raccolta e condivisione dei dati lungo la filiera; la mancanza di garanzie sull’origine del dato e sulla sua precisione; l’esistenza di un trade-off tra richieste dei clienti e presenza effettiva di attestazioni lungo la filiera; e la difficoltà nella valutazione oggettiva delle prestazioni.
In realtà non è un tema nuovo per l’Osservatorio. Nelle scorse edizioni, come ricorda Federica Ciccullo, Professoressa di Sustainable Supply Chain Management e Ricercatrice dell’Osservatorio Food Sustainability, Politecnico di Milano l’Osservatorio aveva trattato il tema di filiera corta in termini non solo di filiere che si sviluppano entro distanze geografiche limitate, ma che sono in grado di colmare una distanza geografica con una componente di ricchezza e trasparenza informativa. L’Osservatorio ha guardato a soluzioni in grado di creare la prossimità informativa in termini di tracciabilità, che poi funge da strumento anche per la sostenibilità e ha identificato altri approcci per la condivisione dei dati e delle informazioni lungo la filiera. Quest’anno con l’attività di ricerca, l’ambizione è stata quella di capire come effettivamente riuscire a far parlare questi dati, con un sistema di monitoraggio delle prestazioni sistemico, sistematico e con un potere significativo.
Dall’Osservatorio un sistema che misura le performance di sostenibilità
L’Osservatorio Food Sustainability ha lavorato alla definizione, sviluppo e applicazione di un sistema di misurazione delle performance di sostenibilità di filiera, basato su diversi step, che consistono in un’analisi di dettaglio sempre crescente degli aspetti di sostenibilità e circolarità rilevanti per la filiera, fino ad arrivare a definire degli indicatori sintetici di prestazione (KPI) che permettono di misurare l’abilità dei diversi processi di raggiungere gli obiettivi strategici in linea con le richieste degli stakeholder. Uno strumento per guidare la raccolta dati e condividere quelli raccolti in modo strutturato e oggettivo.
Ciccullo racconta che tutto è partito da alcune ricerche in cui l’Osservatorio è coinvolto come gruppo di lavoro in particolare un progetto europeo chiamato Ploutos – a sustainable innovation framework to rebalance agrifood value chains – che ha l’obiettivo di sviluppare e rendere fruibili innovazioni sostenibili nella parte iniziale della filiera agroalimentare. La metodologia si aggancia anche a standard internazionali come gli standard GRI, o guardando agli indicatori del framework degli SDGs ma anche alle soluzioni proposte dalle aziende coinvolte nel progetto europeo, e agli sforzi di misurazione di diverse imprese nell’ottica from farm to fork.
Ciccullo tiene a sottolineare che l’Osservatorio non ha lavorato in logica top down, al contrario ha messo in campo una metodologia collaborativa. In particolare, il sistema di misurazione delle performance di sostenibilità è stato co-progettato insieme a due aziende della community dell’Osservatorio: Fratelli Beretta e Dussmann Service.
Misurare l’eco-sostenibilità nel food packaging
I sistemi di misurazione delle performance di sostenibilità e circolarità trovano sviluppo e applicazione anche nel campo del packaging alimentare. In particolare, come osserva Barbara Del Curto, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability , l’impatto ambientale del packaging risulta ad oggi essere l’aspetto su cui si concentrano la maggior parte degli sforzi portati avanti dalle aziende e dagli operatori del settore verso la food sustainability, spinti anche da Direttive Europee.
Il piano di azione per l’economia circolare è stato presentato dalla Commissione europea nel marzo 2020 e ha rappresentato un cambio importante rispetto al piano d’azione di cinque anni prima: quello che cambia è l’approccio alla gestione dei rifiuti che sposta l’attenzione a monte, all’intera fase di progettazione partendo dall’importanza che ha questa specifica fase in termini di impatti. Si riporta che l’80% degli impatti ambientali sono causati proprio da una corretta o scorretta attenzione nella fase progettuale. Va da sé che la progettazione gioca un ruolo importante quando si parla di prodotti sostenibili.
In questo piano sono riportate indicazioni importanti per allungare la vita del prodotto e riutilizzarlo, c’è un focus sulle risorse e sui processi produttivi, e sull’aumento della responsabilizzazione dei produttori e del consumatore finale. Rispetto alla digitalizzazione delle informazioni, nel febbraio 2021 si introduce questo tema perché grazie alla tracciabilità riusciamo a migliorare le prestazioni ambientali dei prodotti.
Strumenti per calibrare l’impatto ambientale dei prodotti
Tra i numerosi strumenti esistenti per progettare in modo sostenibile, il Life Cycle Assessment (LCA) è ormai ampiamente utilizzato anche nel campo del packaging alimentare, per quantificare gli impatti di ogni fase del ciclo di vita del prodotto (dalla progettazione, alla messa sul mercato, all’uso, al fine vita). Si tratta di un sistema di valutazione molto impegnativo, che richiede software adeguati, competenze importanti e una raccolta dati significativa ma che fornisce strumenti utili a prendere decisioni su aspetti e passaggi cruciali.
Esistono tuttavia numerosi eco-tools, software, linee guida, checklist, che consentono di misurare l’eco-sostenibilità del packaging. L’Osservatorio ne ha mappati 35, con l’obiettivo di comprenderne i tratti distintivi e i vantaggi di applicazione. L’analisi ha consentito di approfondire 17 software, 12 linee guida di tipo generale per la sostenibilità del packaging e specificatamente orientate alla riciclabilità e circolarità, 6 checklist, classificate in base alla funzione di fornire un’analisi di prestazioni di sostenibilità, un’analisi della riciclabilità e/o circolarità.
Articolo originariamente pubblicato il 06 Ott 2022