Non ci possiamo più sorprendere, ma uno degli ambienti nei quali si generano più dati è rappresentato dalle imprese agricole, dagli allevamenti, dalle filiere agroalimentari. Per l’agricoltura italiana in generale e naturalmente per quella fetta sempre più importante che sta interpretando le prospettive dell’Agricoltura 4.0, è il momento di superare i luoghi comuni e di pensare a quanto valore può arrivare nel momento in cui si “coltivano” anche i dati con la stessa cura e la stessa maniacale professionalità con cui il settore primario del nostro paese porta eccellenze enogastronomiche sulle tavole di tutto il mondo.
Lo spiega molto bene Ivano Valmori, Fondatore Image Line e Direttore Responsabile AgroNotizie e membro del comitato consultivo “digitalizzazione in agricoltura” dell’Accademia dei Georgofili, in vista del prossimo convegno dell’Osservatorio Smart Agrifood, quando ci invita a considerare che “ogni accadimento in un’azienda agricola produce dati, dati che influenzano in modo diretto o indiretto il risultato produttivo”. E quando parliamo di dati dobbiamo considerare un patrimonio straordinario che mette in relazione la capacità produttiva e l’operatività dell’imprenditore agricolo con l’ambiente.
Dati che incidono direttamente e indirettamente sulla produzione
In questo contesto – osserva Valmori – la ricchezza dei dati si estende ad una straordinaria serie di fattori che di fatto incidono in modo sostanziale sulla produzione e parliamo ad esempio dei valori climatici e ambientali che per essere governati necessitano di essere conosciuti con precisione e con una capacità predittiva che diventa sempre più importante nella gestione delle imprese e delle filiere.
Ivano Valmori sarà tra i relatori del prossimo Osservatorio “Smart Agrifood: raccogliamo i frutti dell’innovazione digitale!” in programma per il prossimo 15 marzo. Iscriviti subito QUI
Ma Valmori ci invita a fare un passo indietro e a osservare da vicino la cultura professionale del settore primario: “Fino a qualche anno fa queste conoscenze legate al clima, agli eventi metereologici e alle misure da adottare facevano parte in modo naturale del patrimonio informativo dell’agricoltore. Più l’agricoltore aveva esperienza, più aveva visto, affrontato e vissuto anni di coltivazione più era in grado di dare valore a questa conoscenza prendendo le decisioni migliori per le criticità che si trovava ad affrontare”.
Oggi quello stesso agricoltore può avere molto di più. Il patrimonio di dati si allarga enormemente grazie alle fonti che vengono messe a disposizione dal digitale e possono essere raccolti, organizzati e soprattutto interpretati per orientare la produzione e per cercare di capire come le operazioni colturali possono essere influenzate dal clima, per capire le ragioni che hanno prodotto determinati fenomeni e per disporre di un livello di conoscenza superiore per indirizzare le scelte migliori.
Tecnologie digitali come fattore abilitante per il settore primario
Valmori sottolinea lo straordinario potenziale e la grande ricchezza alla quale possono accedere le imprese agricole: “Se iniziamo a raccogliere in modo omogeneo questi dati con l’obiettivo di creare un vero patrimonio informativo aziendale, si può costruire una vera e propria biblioteca di conoscenza dell’azienda“. E in questa prospettiva oggi, rispetto al passato la tecnologia digitale appare come un fattore abilitante assai più accessibile ed efficace di quanto non fosse nel passato.
“Oggi siamo davanti a un paradigma – osserva Valmori – che ha cambiato l’agricoltura e che è rappresentato dalla disponibilità di tecnologia più facile e accessibile che segue l’agricoltore in campo, che fa parte della dotazione naturale dell’agricoltore. Non è più necessario che un agricoltore, dopo tante ore di lavoro in campo, si metta al computer e affronti un’altra fase del proprio lavoro, oggi grazie allo smartphone può disporre di una connessione sempre attiva e può raccogliere dati e informazioni mentre è in campo, può scattare fotografie che possono essere analizzate e generare informazioni, può recuperare dati reali sulla produzione, può leggere i dati generati dai sensori IoT, e può disporre, in tempo reale, di informazioni preziose per decidere, anche per micro-decisioni quotidiane”.
Si diceva un cambiamento di paradigma che nella realtà quotidiana significa anche rispettare la cultura professionale del settore primario. “L’agricoltore è abituato a fare, a vedere, analizzare, a intervenire. Nel momento in cui il digitale era rappresentata da un computer in un ufficio da attivare alla sera era vissuto come qualcosa di intangibile e di lontano dalle operazioni quotidiane. Oggi questo atteggiamento è cambiato – prosegue -, e la disponibilità di dati e conoscenza in tempo reale e a portata di mano diventa un vero proprio fattore abilitante di tante decisioni”.
Dati e conoscenza come leva per decisioni sempre più precise e per limitare i rischi
Peraltro questa spinta all’innovazione risponde anche alla necessità di aiutare un mestiere, quello dell’agricoltore che è complesso e ricco di variabili e decisioni. In agricoltura si devono affrontare tante e diverse colture che possono dare origine ad una serie incredibile di accadimenti, ognuna risponde delle norme di riferimento a livello europeo, a livello nazionale e spesso anche a livello regionale, ci sono prodotti specifici da registrare, da monitorare costantemente seguendo determinate procedure. in questo senso il digitale rappresenta un aiuto straordinario e una leva per decisioni sempre più precise e per limitare i rischi.
Assunto dunque che l’accessibilità del digitale facilita da una parte la produzione di dati e dall’altra soprattutto il loro accesso, il vero valore aggiunto per le imprese agricole è nella capacità di trasformare questi dati in conoscenza e utilizzare questa conoscenza per generare nuovo valore.
In questo senso, un esempio molto significativo può arrivare dagli stimoli e dalle esigenze che arrivano dal rapporto tra agricoltura e sostenibilità. “Per raccontare e affrontare la sostenibilità in modo credibile – spiega Valmori – devi innanzitutto essere in grado di individuare degli indici, definire in modo chiaro il tuo punto di partenza e definire in modo altrettanto chiaro il percorso e il processo di miglioramento per poi avere gli strumenti adeguati per verificare al termine dell’annata agraria o del ciclo produttivo, se quei valori di riferimento sono aumentati o diminuiti. Senza questa prospettiva la sostenibilità non ha valore”.
Un’altra dimensione che rappresenta molto bene la capacità del digitale di creare valore è rappresentata dal fatto che “il valore del cibo – prosegue Valmori – dipende anche dai dati che rappresentano quel cibo. Per “contare” servono dei numeri e quindi servono dei dati che possono essere misurati, certificati, tracciati e visualizzati da tanti e diversi attori per garantire tutti del valore di quel cibo”.
Ma Valmori mette anche in evidenza che per ottenere questo valore l’agricoltore deve comprendere chiaramente i vantaggi che derivano dalla raccolta dei dati di campo. “Non si deve chiedere all’agricoltore di fornire dati che servivano ad altri. Non è la strada giusta, il mestiere dell’agricoltore – osserva – non è quello di raccogliere dati. Al contrario se i dati che è chiamato a mettere a disposizione sono dati che gli permettono, subito, di avere un vantaggio, di lavorare meglio, di avere maggiore sicurezza, di avere una indicazione operativa su come svolgere meglio una certa attività ecco che quei dati arrivano e possono andare a beneficio anche di tutti gli altri attori che collaborano con quell’agricoltore”.
Il ruolo fondamentale del Quaderno di Campagna
Un esempio molto concreto è rappresentato dal Quaderno di Campagna. L’agricoltore è tenuto per normativa a compilarlo registrando quotidianamente una ricca serie di informazioni sui prodotti, sulla semina, sui trattamenti, sul raccolto e tantissimo altro. Ma se l’agricoltore nel compilare il Quaderno viene aiutato e trova informazioni e indicazioni che lo aiutano ne ricava immediatamente un vantaggio e ha una motivazione in più. “Partendo da un adempimento – osserva Valmori -, si crea un bacino di informazioni utilissime che aumentano il loro potenziale di conoscenza nel corso degli anni abilitando analisi ad esempio su come evolvono le tecniche colturali o su problematiche che si ripetono e che possono essere affrontate in anticipo”.
C’è poi un valore ancora superiore che parte dal presupposto che il dato di campo è rigorosamente di proprietà dell’agricoltore che deve avere strumenti adeguati per esporlo ad altri attori che possono utilizzarlo nel rispetto della privacy, anche se il lavoro è svolto da un contoterzista. E sempre nel rispetto della privacy il dato anonimizzato può essere oggetto di una conoscenza di livello superiore, che non chiama in causa la singola azienda ma che può aiutare a comprendere alcuni fenomeni.
“Sembra fanta-agricoltura – analizza Valmori – , ma è esattamente la dimostrazione che tutto parte dal dato. L’anno scorso in Italia come Image Line con il QdC® – Quaderno di Campagna® abbiamo raccolto formazioni puntuali relative a circa 1 milione di ettari di eccellenza dell’agroalimentare italiano. Oltre la metà del riso prodotto in Italia è all’interno del servizio; i dati presenti attengono a qualcosa come 320 di specie agrarie con un ricco corredo di informazioni. E con questi dati si riesce a dare un ulteriore supporto agli agricoltori, alle associazioni e ai tecnici per creare sistemi migliori di coltivazione. Ci sono poi filiere estremamente specialistiche in cui avere a disposizione il dato è fondamentale. Per il vino e per la vite ad esempio senza dati sarebbe impossibile gestire filiere complesse. Si tratta della prima coltura in Italia per estensione con un catasto, denominazioni, piani di produzioni da rispettare e tantissimi importanti adempimenti. Un lavoro di questo genere non può prescindere dall’uso del digitale”.
Ci sono poi altri settori in cui l’imprenditore viene invitato ad utilizzare la tecnologia non tanto per risolvere i problemi produttivi, quanto perché la filiera lo richiede. Non c’è una necessità diretta sulle operazioni quotidiane, ma l’appartenenza alla filiera presuppone attività di certificazione e tracciabilità che portano valore al comparto nel suo insieme e che servono per portare questo valore poi ai consumatori finali.
“Il consumatore a sua volta oggi è sempre più attento: vuole essere informato, vuole sapere da dove arriva il prodotto, com’è stato lavorato e l’azienda agricola diventa un produttore di alimenti con i relativi dati. Perché questo possa diffondersi e consolidarsi sempre meglio – conclude Valmori – serve una reale interoperabilità e un dizionario digitale comune che permetta a tutti di semplificare il rapporto con la dotazione digitale e con la trasformazione dei dati in conoscenza”.