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Italian Sounding food: che cos’è e perché è così importante



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L’Italian Sounding è un fenomeno che spopola in tutto il mondo con l’imitazione delle nostre eccellenze enogastronomiche, che del Bel paese hanno solo il vago sentore. Di cosa si tratta, i numeri di mercato e i casi concreti che fanno leva sul digitale per garantire trasparenza e tracciabilità della filiera alimentare

Pubblicato il 25 mar 2020



italian sounding

Italian Sounding: di cosa si tratta

Con l’accezione inglese “Italian Sounding” si definisce un fenomeno che consiste nell’utilizzo (su etichette e confezioni) di denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi che evocano l’Italia e in particolare, alcuni dei suoi più famosi prodotti tipici (dal parmigiano alla mozzarella), per promuovere la commercializzazione di prodotti (soprattutto ma non esclusivamente agroalimentari) inducendo ingannevolmente a credere che siano autentici italiani, quando in realtà di italiano hanno poco o nulla.

Per lo più sono prodotti realizzati da aziende che acquistano materie prime di provenienza estera a un costo inferiore e che poi lavorano in Italia, oppure, da aziende italiane rilevate da aziende straniere che sfruttano la nomea legata ad esse per promuovere maggiormente le vendite. Spesso nelle parti descrittive di questi prodotti agro-alimentari, si notano aggettivi con connotazioni geografiche che rimandano a noti luoghi italiani, accompagnate da espressioni quali “genere”, “del tipo”, “stile”, “imitazione di”, “secondo la tradizione”, “secondo la ricetta tipica” e simili.

Si tratta di un fenomeno diffuso maggiormente negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in America latina e in diversi altri mercati, inclusi quelli europei. Una forma di falso Made in Italy molto affermato in ambito internazionale e soprattutto nel settore agroalimentare, che sfrutta la reputazione e l’attrazione che la buona tavola e il turismo enogastronomico italiani hanno nel mondo per commerciare prodotti che poco hanno a che fare con l’autenticità e la qualità del Made in Italy danneggiando così una parte sempre più consistente dell’economia italiana e delle esportazioni agroalimentari, dall’olio d’oliva ai formaggi, dai salumi ai vini.

Ecco che “si perde così quello che è, ancora oggi, un fortissimo segno di identità e distinzione territoriale, ma anche uno dei pochi baluardi in tempi di crisi: le multinazionali trovano ancora estremamente appetibile l’industria agroalimentare italiana, tuttora forte nelle esportazioni, rispetto ad altri settori industriali”. Lo afferma Raffaella Saso in un articolo dal titolo “Le nuove forme di Italian Sounding. Ciò che il cibo non dice. Le responsabilità dei produttori e i diritti dei consumatori” (che è possibile consultare nella sua versione integrale qui) a cura della Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare” promossa ed istituita da Coldiretti nel febbraio 2014.

Le ripercussioni negative dell’Italian sounding

Chi perde maggiormente in questo meccanismo sono da un lato i produttori locali, costretti ad abbassare qualità e prezzi, impoverendosi; dall’altro lato, ovviamente, i consumatori, a cui arrivano prodotti sempre più di bassa qualità. L’Italian Sounding costituisce il principale ostacolo che intralcia la competitività internazionale della filiera agroalimentare italiana, che resta ancora al di sotto del suo vero potenziale e delle prestazioni mostrate dai principali concorrenti europei.

L’Italia si posiziona al quinto posto tra i Paesi europei per quanto riguarda le esportazioni agroalimentari, rappresentando soltanto il 65% delle esportazioni tedesche (77,1 miliardi di Euro) e il 72% di quelle francesi (69,7 miliardi di Euro). È interessante notare che il Paesi Bassi si trovano al primo posto della classifica europea per le esportazioni agroalimentari, con un valore che supera i 100 miliardi di Euro.

La ricerca “Italian sounding: quanto vale e quali opportunità per le aziende agroalimentari italiane” (che può essere scaricata collegandosi a questa pagina) condotta da The European House – Ambrosetti insieme a Assocamerestero ha stimato che se i prodotti agroalimentari italiani acquistati nel mondo fossero tutti “veramente Made in Italy” l’export agroalimentare potrebbe passare dai 52 miliardi di euro registrati nel 2021 a quasi 130. Se poi si riuscissero a sostituire anche i prodotti contraffatti, il potenziale dell’export del Bel Paese supererebbe i 150 miliardi. In pratica l’export agroalimentare si potrebbe moltiplicare per tre, con vantaggi senza pari per gli agricoltori, le industrie di trasformazione e l’economia italiana nel complesso.

Come arginare il falso Made in Italy

Paradossalmente, questa logica commerciale sta sempre più prendendo piede proprio in un periodo in cui molti italiani sembrano aver preso finalmente coscienza del valore legato al marchio del Made in Italy e tendono, conseguentemente, a privilegiare i prodotti legati al territorio e i sapori locali.

Sul piano delle esigenze del consumatore, al primo posto c’è la sicurezza, seguita da salute e benessere, valore esperienziale e praticità. Se però anche dietro i marchi più noti della produzione nazionale, percepiti come garanzia di qualità elevata e di sicurezza alimentare, si celano alimenti di origine ormai interamente straniera e detto senza mezzi termini, talvolta anche “scadenti”, il consumatore non può non sentirsi tradito, quando non ingannato, pur in assenza di reato.

Nella dinamica che si sta così affermando, gli alimenti falsi e di bassa qualità non sono soltanto quelli prodotti all’estero, ma anche quelli provenienti dalle aziende italiane che non riescono a stare al passo con l’enorme richiesta di prodotti italiani. In una cultura dominata della falsificazione, la volontà di investire davvero nel Made in Italy e tutelarlo rimane minoritaria.

Tuttavia, grazie al potenziale dell’innovazione e del digitale, emergono sempre più casi di aziende appartenenti al mondo Food&Beverage che si stanno affidando a tecnologie di tagging come RFID ed NFC, ma anche tecnologie all’avanguardia quali Internet of Things, Intelligenza Artificiale e Blockchain per sconfiggere le logiche di contraffazione e garantire la trasparenza della filiera alimentare. Ecco che ne giovano le imprese e i consumatori che possono finalmente certificare il percorso di produzione alimentare e mettere in tavola prodotti autentici italiani con una crescente attenzione ai temi della sostenibilità.

Contraffazione e Italian Sounding: le origini

Come si legge in una nota di FederAlimentare (La posizione dell’Industria Alimentare Italiana rispetto alla contraffazione ed al fenomeno dell’Italian Sounding), la contraffazione propriamente detta riguarda illeciti relativi alla violazione del marchio registrato, delle denominazioni di origine (DOP, DOC, DOCG, IGP, ecc.), del logo, del design, del copyright, fino ad arrivare alla contraffazione del prodotto stesso, con implicazioni di carattere produttivo e igienico sanitario, talvolta molto gravi. Tra le cause principali si rilevano la falsa indicazione del Made in Italy (per prodotti realizzati all’estero), l’abuso di indicazioni di marchi di qualità; l’uso di ingredienti nocivi per la salute ovvero la pratica di procedure di produzione e/o conservazione non idonee (assenza di tracciabilità).

Se la contraffazione può essere legalmente impugnabile e sanzionabile, la stessa cosa non vale per i prodotti cosiddetti di Italian Sounding che si servono di denominazioni geografiche, immagini, colori e marchi che richiamano all’Italia, inducendo il consumatore ad associare erroneamente l’imitazione al prodotto autentico italiano. Per citare alcuni esempi: Parmesan, che imita il Parmigiano Reggiano, Mozarella, che viene spacciata per mozzarella di bufala, Salsa Pomarola, venduta in argentina, Zottarella prodotta in Germania, e Spagheroni olandesi.

L’Italian Sounding spesso si avvale dell’esperienza e delle conoscenze produttive di emigranti italiani: è infatti maggiormente diffusa proprio nei Paesi che hanno rappresentato le tradizionali mete storiche di emigrazione e dove le comunità italiane sono più radicate. La più comune fattispecie del fenomeno ha riguardato, all’inizio delle emigrazioni, l’impianto di aziende con le stesse produzioni realizzate in Italia da parte degli espatriati nei nuovi paesi; poi, nel corso del tempo, sono stati creati nuovi prodotti con marchi che richiamano nomi italiani. In molti casi, i discendenti di emigrati italiani hanno semplicemente usato (o tuttora usano) il loro cognome italiano come un marchio per i prodotti che, di fatto, non hanno più alcuna relazione con quelli originali.

I numeri di mercato dell’Italian Sounding

Nel mondo ci sono poco più di 79 miliardi di euro di prodotti che rientrano nella cornice dell’Italian Sounding. Lo ha quantificato l’analisi di The European House – Ambrosetti (quella a cui abbiamo fatto riferimento qualche paragrafo fa) partendo da una survey che ha coinvolto oltre 250 retailer internazionali della GDO di dieci paesi diversi che rappresentano congiuntamente il 60% delle esportazioni agroalimentari italiane e che ha poi sottoposto ad un modello scientifico.

Ma in realtà, questi 79 riguardano direttamente i consumatori stranieri che nel 2021 hanno realmente desiderato di acquistare prodotti Made in Italy e sono stati ingannati da queste azioni di marketing. Secondo quanto suggerito da Coldiretti, nel 2022 il fenomeno complessivo dell’Italian sounding nel mondo si è attestato a 120 miliardi di euro, il doppio delle esportazioni di cibo e bevande tricolori dello stesso anno (quando ha sfondato il tetto dei 60 miliardi di euro).

E se i risultati ottenuti dall’approccio di Ambrosetti hanno rivelato una maggiore incidenza del cibo Made in Italy “taroccato” in Giappone, dove la percentuale di prodotti non autentici di provenienza italiana ha raggiunto il 70,9%; seguito da vicino dal Brasile (70,5%) e in Europa dalla Germania (67,9%). Coldiretti e Filiera Italia riportano che gli Stati Uniti sono il Paese che detiene la leadership produttiva del falso Made in Italy con il fenomeno delle imitazioni di cibo tricolore che è arrivato a rappresentare oltre 40 miliardi di euro. In pratica solo un prodotto agroalimentare che richiama l’Italia su sette venduti negli States arriva realmente dal Belpaese con le esportazioni che sono state pari a 6,6 miliardi nel 2022.

Le radici di questo scenario si possono individuare in diversi fattori, tra cui una notevole distanza geografica dall’Italia, differenze nelle abitudini alimentari e nella consapevolezza delle eccellenze Made in Italy, oltre a barriere normative e doganali. Inoltre, la ricerca evidenzia che in 3 casi su 10 il consumatore straniero si orienta su una tipicità gastronomica italiana quando questa prevede una spesa più bassa, piuttosto che la garanzia della reale provenienza territoriale.

Tra le tipologie di prodotti più colpiti ci sono le categorie che più di altre hanno conquistato consenso e quote di mercato a livello internazionale, dai salumi alle conserve, dal vino ai formaggi ma anche extravergine, sughi o pasta. Dall’analisi di Ambrosetti è emerso che l’Italian Sounding risulta più accentuato per il ragù, con una percentuale del 61,4% di prodotti non autentici, seguito dal parmigiano (61,0%) e dall’aceto balsamico (60,5%).

Parmigiano Reggiano e Grana Padano, i prodotti tricolore più taroccati

I prodotti italiani più imitati ed esposti nei punti vendita sono, molto spesso, quelli dove non vi è importazione poiché vengono prodotti in loco oppure quelli che, sebbene importati, come nel caso di diverse merceologie o dei prodotti DOP/IGP, sfruttano il non riconoscimento di alcune peculiarità esclusive del prodotto, che ne costituiscono la componente di valore, contribuendo altresì alla diminuzione del valore stesso del prodotto sul mercato.

Coldiretti e Filiera Italia (per una trattazione più completa invitiamo a visitare questa pagina) definiscono l’industria del falso Made in Italy a tavola un “problema planetario” con il risultato che per colpa dell’Italian Sounding nel mondo oltre due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati ci sono i formaggi a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali.

Un fenomeno diffuso soprattutto nel Sudamerica dove peraltro rischia di essere ulteriormente spinto dall’accordo di libero scambio Mercosur che obbliga di fatto Parmigiano e Grana a convivere con le “brutte copie” sui mercati locali, dal Parmesan al Parmesano, dal Parmesao al Reggianito fino al Grana.

Ancora, la produzione di imitazioni dei formaggi italiani nel 2022 ha raggiunto negli USA il quantitativo record di oltre 2,7 miliardi di chili, con una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, tanto da aver superato addirittura la stessa produzione di formaggi americani come Cheddar, Colby, Monterrey e Jack che è risultata nello stesso anno pari a 2,5 milioni di chili.

Il problema riguarda però tutte le categorie merceologiche come l’olio Pompeian made in Usa, i salumi più prestigiosi, dalle imitazioni del Parma e del San Daniele alla mortadella Bologna o al salame Milano venduto in tutti gli Stati Uniti dove è possibile acquistare anche il Pompeian Olive Oil che non ha alcun legame con l’antica città campana. Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche le conserve come il pomodoro San Marzano.

Un manifesto per combattere l’Italian Sounding

Durante il sesto evento annuale del Forum Food&Beverage, svoltosi il 17 e 18 giugno 2022 a Bormio, Ambrosetti e Assocamerestero con la rete di Camere di Commercio Italiane all’Estero hanno suggerito in un “Manifesto”, sette linee guida per l’azione contro l’Italian Sounding:

  • promuovere una maggiore consapevolezza nei consumatori stranieri riguardo alle caratteristiche distintive dell’enogastronomia Made in Italy per esempio promuovendo azioni di marketing mirate, creando un logo F&B del Made in Italy, organizzando fiere, allestendo corner di prodotti italiani nei punti vendita della GDO all’estero. Parallelamente, è importante puntare su attività di educazione del consumatore favorendo una corretta lettura delle etichette, coinvolgendo studenti stranieri con corsi di formazione in Italia, alimentando la sinergia con il settore turistico;
  • abbattere le barriere di natura tariffaria e doganale dando il via libera ad agevolazioni fiscali con nuovi accordi di libero scambio UE-Paesi Internazionali e creando accordi bilaterali più favorevoli per le imprese agroalimentari;
  • implementare misure per scoraggiare le pratiche di indicazione fallace appellandosi a politiche e direttive di tutela al Made in Italy, ma anche stabilire clausole che vietino l’evocazione dell’italianità in accordi di libero scambio;
  • unire le forze politiche e istituzionali nazionali all’estero e favorire un dialogo con le istituzioni locali per sensibilizzare la consapevolezza politica verso il fenomeno;
  • stimolare una crescita significativa e una capacità di resilienza delle imprese italiane operanti nel settore per rafforzare la competitività globale del Food&Beverage, generando una rete d’imprese del settore, pianificando strategie ad hoc nei vari paesi, e migliorando la competenza manageriale;
  • sfruttare la rete di connazionali all’estero come ambasciatori del Made in Italy, chiamando a raccolta le associazioni di ristoranti, agevolando un sistema culinario che fonde dieta mediterranea e cucina locale, o delineando un canale privilegiato con le comunità di emigrati italiani;
  • promuovere l’adozione di soluzioni tecnologiche come la Blockchain che consentano una tracciabilità accurata dei prodotti.

Il Decreto legge n.34 a tutela del Made in Italy

In data 1° maggio 2019 è entrato in vigore il Decreto legge n. 34, approvato dal Governo il 24 aprile 2019 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile 2019. Tale decreto, recante “Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi”, si inserisce all’interno di una più ampia strategia politica finalizzata a sbloccare la stagnazione economica attraverso l’introduzione di incentivi, agevolazioni e novità fiscali.

In quest’ottica di stimolazione della ripresa economica italiana, è stato conferito grande rilievo alle tematiche della valorizzazione e della tutela del Made in Italy, attraverso una modifica del Codice di Proprietà Industriale italiano. In particolare, i due articoli del capo III del Decreto Crescita introducono importanti novità.

1) La prima novità è prevista all’art. 31 del decreto, il quale introduce con il nuovo art. 11-ter i marchi storici di interesse nazionale, con un apposito registro speciale ex art. 185-bis. In base alla riforma, un marchio è definito “storico” quando è registrato o utilizzato sul mercato da almeno 50 anni ed è inoltre riconducibile alla commercializzazione di prodotti o servizi realizzati in un’impresa produttiva nazionale di eccellenza storicamente collegata al territorio nazionale. Per valorizzare i marchi “simbolo nazionale” nell’ambito della crisi d’impresa, il decreto prevede l’istituzione presso il Ministero dello sviluppo economico, di un Fondo di garanzia cui destinare la somma di 30 milioni di euro per l’anno 2020, grazie al quale il Governo effettua interventi nel capitale di rischio delle imprese.

2) La seconda novità è prevista all’art. 32 del Decreto Crescita, finalizzato ad assicurare la tutela dell’originalità dei prodotti italiani (ivi inclusi quelli agroalimentari) venduti all’estero. In quest’ottica viene prevista per i consorzi nazionali un’agevolazione pari al 50% delle spese sostenute per la tutela legale dei prodotti colpiti dall’Italian Sounding. Con il Decreto Crescita viene introdotta una forma di tutela ad hoc, che va non solo a rafforzare la protezione fornita a livello europeo, ma che assicura anche ai prodotti agroalimentari italiani un posto d’onore nel mercato internazionale.

Italian Sounding e il DDL sul Made in Italy 2023

Il 31 maggio 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sul Made in Italy, che reca disposizioni organiche per valorizzare e promuovere le produzioni di eccellenza, le bellezze storico artistiche e le radici culturali nazionali come fattori da preservare e trasmettere per la crescita dell’economia del Paese.

Il provvedimento prevede una serie di misure e iniziative volte a incentivare il sistema imprenditoriale di eccellenza italiana con l’obiettivo di dotare il Made in Italy di nuove risorse, nuove competenze e nuove tutele. Inoltre, è previsto l’inserimento di norme per inasprire il sistema sanzionatorio per la lotta alla contraffazione, oltre che modifiche del codice di procedura penale in materia, e misure per la formazione specialistica dei magistrati per il contrasto a questi reati.

Con la missione di avviare una forte azione di contrasto all’Italian Sounding, una somma di quattro milioni di euro nel biennio 2024/2025 sarà destinata alla tutela delle indicazioni geografiche agricole, culinarie, vitivinicole e dei liquori italiane, registrate secondo la normativa europea, nonché dei prodotti agroalimentari delle aziende con sede legale ed operativa in Italia. A tal fine l’articolo 30 del disegno di legge istituisce un apposito denominato Fondo Strategico Nazionale del Made in Italy, con l’obiettivo di stimolare la crescita e il consolidamento delle filiere strategiche nazionali anche per la fase dell’approvvigionamento delle materie prime critiche.

Verrà introdotto un contrassegno ufficiale di origine italiana per le merci, marchiato “Made in Italy”, con lo scopo di incentivare la proprietà intellettuale e commerciale dei beni italiani. Il “sigillo” avrà anche una sua giornata nazionale, fissata per il 15 aprile di ogni anno, per celebrare l’eccellenza del Made in Italy, riconoscendone l’apporto sociale e l’influenza nello sviluppo economico e culturale della Nazione e del suo patrimonio identitario, e sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dei temi della promozione e della tutela del valore e delle qualità peculiari delle opere dell’ingegno e dei prodotti italiani.

E’ stato ratificato un articolo per istituire la certificazione facoltativa “Ristorante Italiano nel Mondo”. Bollino da richiedere attraverso un organismo accreditato sotto l’egida di un ente certificatore accreditato presso l’organismo unico di accreditamento nazionale italiano, sulla base di una tariffa approvata e di un disciplinare attualmente in corso di formulazione tramite decreto interministeriale. I requisiti per il rilascio della certificazione porranno particolare attenzione all’utilizzo di ingredienti e prodotti di qualità appartenenti alla tradizione enogastronomica italiana, compresi quelli a denominazione di origine.

Nel quadro del DDLS Made in Italy c’è anche il sostegno alla cucina italiana all’estero, con uno stanziamento di due milioni di euro nel biennio. Lo stesso disegno di legge interviene nell’articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 300/1999 per includere i beni materiali e immateriali (tra cui la cucina e i prodotti agroalimentari) tra i beni meritevoli di conservazione, al pari dei beni culturali. Il Ministero dei Beni Culturali avrà il compito di vigilare su questo, insieme – per i profili di competenza -, al dicastero Lollobrigida.

Il disegno di legge propone anche misure per sostenere l’imprenditorialità femminile in agricoltura, tutelare la biodiversità, promuovere i distretti di prodotti tipici e l’istituzione del liceo “Made in Italy”, un corso dedicato alla divulgazione delle conoscenze e delle competenze legate all’eccellenza dei prodotti e della tradizione del Bel Paese. Questo percorso didattico fornirà competenze storiche, giuridiche, artistiche, linguistiche, economiche e di mercato, con l’intento di innalzare la visibilità e l’apprezzamento dei settori produttivi nazionali, tenendo conto delle peculiari vocazioni territoriali.

Dietro ogni prodotto alimentare 100% italiano, come osserva la Coldiretti, “c’è un territorio, una storia, una tradizione culturale, una abilità che bisogna sapere raccontare e difendere” anche sul fronte scolastico con corsi di studio mirati. La proposta normativa sarà inviata alle Camere per l’approvazione.

Il fenomeno delle frodi alimentari

La contraffazione alimentare si fonda sull’inganno e colpisce soprattutto quanti dispongono di una ridotta capacità di spesa a causa della crisi e sono costretti a rivolgersi ad alimenti a basso costo, dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi sui quali è importante garantire maggiore trasparenza.

Il rapporto 2022 della rete di allerta e cooperazione (o Alert and Cooperation Network, ACN) della Commissione europea (il documento ufficiale è disponibile qui) mostra che nel corso dell’anno si è registrato un aumento significativo delle attività di frode nel settore agroalimentare e il sistema di allarme rapido per alimenti e mangimi (o Rapid Alert System for Food and Feed, RASFF) rimane la rete più attiva. Attraverso il RASFF sono state trasmesse in totale 4.361 notifiche legate a rischi per la salute in relazione ad alimenti o mangimi. Inoltre, sono state segnalate 2.554 segnalazioni di assistenza e cooperazione amministrativa o non conformità alla normativa dell’Unione europea sulla filiera agroalimentare che non presentano un rischio sanitario immediato e notificati ulteriori 600 casi sospetti di frode.

Il maggior numero di notifiche (990) riguardava residui di pesticidi nella frutta e nella verdura, un netto calo del 20% rispetto al 2021. Per quanto riguarda le FFN le notifiche sono salite a 600 dalle 407 del 2021. I principali paesi che hanno segnalato sospetti di frode sono stati Germania, Belgio e Francia. Quasi tre quarti riguardavano merci provenienti dall’UE e un quarto da paesi extra UE. Dei casi riguardanti prodotti di origine extra UE, il 21% ha riguardato la Cina, per lo più sospetti di adulterazione nel miele, seguiti da descrizioni errate di prodotti ittici. Un totale del 12% ha riguardato l’India, riguardando principalmente la presunta adulterazione di gamberetti mediante aggiunta non dichiarata di acqua. Per i prodotti provenienti dall’UE, i casi in Spagna riguardavano la sospetta adulterazione di prodotti a base di calamari e l’etichettatura errata dell’olio d’oliva come olio extra vergine di oliva.

Agromafie e normative a difesa della filiera alimentare

Stando a quanto riporta il VI Rapporto “Agromafie e caporalato” (raggiungibile a questo link) della Federazione Lavoratori Agroindustria della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (FLAI–CGIL) e l’Osservatorio Placido Rizzotto, nel 2021 in Italia ci sono circa 230 mila lavoratori irregolari in agricoltura, uno su quattro, e le donne sono una componente crescente (55 mila le lavoratrici irregolari). Su 820 milioni ore lavorate all’anno 300 milioni sono irregolari. L’economia sommersa vale 157,4 miliardi di euro (9,5% del Pil) e si fanno strada, tanto al Sud, quanto nel Centro-Nord, nuove forme di caporalato concentrate nelle cooperative spurie e nelle false Srl.

Il sesto Rapporto Agromafie elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare (accessibile a questo link) le agromafie costituiscono un business illegale e sommerso da 24,5 miliardi.

Quello che fa la malavita è appropriarsi di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettere la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.

Ma quali sono i mezzi che usa? La criminalità organizzata opera attraverso furti di attrezzature e mezzi agricoli, racket, estorsioni, pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole, danneggiamento delle colture, aggressioni, truffe nei confronti dell’Unione europea e caporalato. Anche il mercato della compravendita di terreni e della commercializzazione degli alimenti viene condizionato tramite lo stabilimento dei prezzi dei raccolti, la gestione di trasporti e smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian Sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto.

Bisogna poi tenere presente che, come sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini “l’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolosa la criminalità nell’agroalimentare che per questo va perseguita anche attraverso un’operazione di riordino degli strumenti esistenti e di adeguamento degli stessi ad un contesto caratterizzato da forme diffuse di criminalità organizzata che alterano la leale concorrenza tra le imprese ed espongono a continui pericoli la salute delle persone“.

A febbraio 2020, al Consiglio dei ministri, è stato approvato il disegno di legge sugli illeciti agroalimentari che fa diretto riferimento al testo di riforma predisposto da Giancarlo Caselli nell’ambito dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti. Nei 14 articoli che compongono il disegno di legge si rafforzano gli strumenti normativi contro illeciti agroalimentari: frodi, contraffazioni e agro-piraterie. L’obiettivo è garantire la massima protezione alla filiera alimentare dal momento della produzione a quello del commercio, sia a tutela del consumatore che delle eccellenze nazionali Made in Italy.

Etichette agroalimentari e Italian Sounding

Per contrastare la criminalità nell’agroalimentare, è cruciale promuovere la divulgazione di una informazione corretta sui prodotti alimentari. A questo proposito, con la legge n.12 dell’11 febbraio 2019 sulle semplificazioni, sono state approvate le nuove norme sull’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti presenti nei prodotti alimentari. Un maggiore rigore a livello nazionale è importante per acquisire maggiore credibilità nei negoziati internazionali e battere il cosiddetto Italian Sounding. Secondo il presidente della Coldiretti va anche tolto in Italia il segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero. Questo perché per tutelare la qualità e la sicurezza del cibo italiano è necessario sapere da dove proviene la materia prima agricola.

Ancora, i Ministri dello sviluppo economico, Stefano Patuanelli e delle Politiche agricole alimentari e forestali, Teresa Bellanova, hanno indirizzato ai Commissari UE una lettera per sostenere l’obbligo di origine su tutti gli alimenti in Europa e per proseguire le sperimentazioni nazionali sull’etichettatura e tracciabilità agroalimentare fino al 2021. Nella lettera si legge che per “ridare slancio all’azione dell’Europa a livello di Green deal e di nuova Politica agricola comune post 2020 è necessario aumentare l’impegno per garantire una vera trasparenza delle informazioni in etichetta anche in considerazione che la piena informazione è un diritto dei cittadini”.

Per approfondire potete leggere il servizio su Agrifood.tech Etichette Agroalimentari: l’Italia chiede maggiore trasparenza in Europa

Dopo anni di contesa a livello europeo sul Nutriscore, l’articolo 28 del DDL sul Made in Italy (2023) prevede il potenziamento e la diffusione della NutrInform Battery che viene ufficialmente riconosciuta come il sistema nazionale di etichettatura poiché in grado di fornire indicazioni sull’apporto nutrizionale degli alimenti in rapporto al fabbisogno giornaliero e alla corretta alimentazione, a sostegno della dieta mediterranea e delle imprese dell’industria agroalimentare.

Il disegno di legge prevede altresì la costituzione di una commissione tecnica per individuare i processi di qualità nella produzione di pasta di semola di grano duro – simbolo gastronomico italiano per eccellenza – , e l’utilizzo della tecnologia Blockchain per certificare l’integrità delle filiere. Questo si configura come un passo strategico per valorizzare e spingere il concetto di Made in Italy, apportando nuove risorse, competenze e difese al settore imprenditoriale italiano. Si auspica che questa stessa dedizione e valorizzazione possano riversarsi anche sui prodotti agroalimentari della filiera ortofrutticola, troppo spesso trascurati, costretti a sopravvivere tra l’incudine dei prezzi concordati e il martello dello sfruttamento lavorativo. La direzione intrapresa sembra promettente.

La tracciabilità a contrasto dell’Italian Sounding

Arrivati fin qui possiamo constatato come le principali conseguenze di questo fenomeno possono essere schematizzate in due grandi punti:

  1. da una parte c’è un enorme danno economico per le imprese del Made in Italy agroalimentare italiano;
  2. in secondo luogo e non certo meno importante, ci sono problemi legati alla qualità e alla sicurezza alimentare dei prodotti, che va anche a discapito dei consumatori.

Il contrasto alla concorrenza sleale e la lotta alle frodi alimentari passa inevitabilmente dall’innovazione: occorre sperimentare e creare soluzioni che permettano alle imprese e ai consumatori di seguire, passo passo e con la massima affidabilità, tutto il percorso di produzione alimentare.

Una delle forme più efficaci per contrastare queste frodi arriva dalla tracciabilità e da tutte quelle soluzioni che il digitale, grazie a NFC (Near Field Communication) e RFID (Radio Frequency Identification), all’Internet of Things e Blockchain in particolare, mette a disposizione delle filiere agroalimentari italiane.

Tracciabilità e Made in Italy

Per “tracciabilità” si intende la capacità di tracciare un alimento in tutte le fasi del suo ciclo di vita, dalla produzione, alla trasformazione, alla distribuzione, prendendo in considerazione anche i processi di importazione, arrivando alla vendita al dettaglio. Detto in altre parole, tracciabilità significa poter seguire i movimenti di un alimento rispetto a qualsiasi punto della supply chain, riuscendo ad identificare produttori, fornitori, clienti e prodotti e le registrazioni conservate come data della transazione o della consegna, identificazione dei lotti, volume o quantità del prodotto fornito o ricevuto e qualsiasi altra documentazione relativa alla produzione.

La possibilità di identificare tutti i componenti dei prodotti ovvero materie prime, additivi, ingredienti e confezione consente di attuare azioni correttive in modo tempestivo, ad esempio il richiamo di un lotto o di un prodotto, nel momento in cui si verificano problemi. Un efficace sistema di tracciabilità per esempio, aiuta a isolare i prodotti contaminati e impedisce che arrivino ai consumatori finali, minimizzando, al contempo, sia le perturbazioni nel sistema degli scambi, sia i possibili rischi per la salute pubblica.

Tra le tecnologie a supporto della tracciabilità, negli ultimi anni, ai tradizionali sistemi informativi aziendali si sono aggiunti anche RFID ed NFC per tagging ed etichettatura, IoT e tutti i sistemi di sensoristica, ma anche la Blockchain, per garantire l’immutabilità e la tracciabilità delle transazioni e dei trasferimenti. In questo modo, si concorre a sostenere l’export italiano, fondamentale per la crescita del Paese, lo sviluppo dei territori, l’occupazione e l’inclusione dei giovani nel mondo del lavoro.

Case history sui temi della tracciabilità

I casi di contaminazione da cibo, le contraffazioni e le frodi alimentari e le richieste da parte dei consumatori di maggiori informazioni sulla provenienza del cibo, stanno facendo crescere la domanda di soluzioni, di sistema e globali, che sappiano certificare la lavorazione del prodotto trasformato, distribuito e venduto.

La sicurezza alimentare passa attraverso piattaforme in grado di garantire trasparenza e tracciabilità su tutta la filiera agroalimentare, e che sappiano dare fiducia al consumatore attento al Made in Italy e alla sostenibilità. Non da ultimo, devono essere nella condizione di permettere di controllare e di identificare frodi ed evitare contraffazioni con maggiore facilità.

Un significato speciale, lo ricoprono diversi progetti di aziende che appartengono al mondo Food&Beverage che sperimentano e mettono a valore le possibilità offerte dal digitale. Vediamone alcune di seguito.

Recentemente, il tema della tracciabilità è stato affrontato nel corso di un convegno su Agroalimentare: casi concreti di innovazione IoT, blockchain e AI in cui si è discusso:

  • dell’intelligenza artificiale al servizio della qualità nel Gruppo Molino Casillo, leader nel commercio e nella trasformazione del grano, che ha introdotto sonde spettroscopiche per analisi in tempo reale e tracciabilità fase per fase delle caratteristiche merceologiche, qualitative, di sicurezza alimentare direttamente sulle linee di processo;
  • del progetto PININ (PIemuNt chèINa) per la tracciabilità delle carni con il case study di La Granda, che con IoT e Blockchain ha costruito una Smart Supply Chain che assicura: una visibilità completa del canale distributivo Ho.re.ca. e un controllo totale dei fattori che possono incidere sulla qualità della carne;
  • del tracking nella declinazione proposta da FoodChain, che ha creato sulla blockchain Quadrans un ecosistema aperto per tracciare e rintracciare materie prime e prodotti alimentari lungo tutta la filiera, rendendo le informazioni accessibili via Web e device mobili a chiunque intenda consultarle;
  • dell’innovazione digitale plug & play e in cloud di TechMass che punta all’ottimizzazione della produttività e della competitività delle imprese promuovendo una manifattura event & data-driven con un sistema di lean production in grado di migliorare la gestione dello shop floor industriale grazie ad un controllo totale su dati e informazioni di fabbrica.

InfoCert (Gruppo Tecnoinvestimenti) e Sixtema hanno messo a punto SmartTag, una soluzione che consente di certificare le informazioni della filiera produttiva, rendendole disponibili al consumatore finale e ai produttori, che possono certificare la qualità dei loro prodotti, le tecniche di lavorazione utilizzate, nonché i luoghi di raccolta e lavorazione delle materie prime. Alla base c’è GeoSign, strumento di firma digitale georeferenziata, attraverso cui è possibile certificare legalmente non solo l’identità di chi effettua una transazione digitale e il momento, ma anche il luogo in cui si compie.

Per un approfondimento, consigliamo l’articolo su Agrifood.tech Da Inforcert una nuova soluzione per la tracciabilità della filiera alimentare

Nel settore vitivinicolo, che riveste un ruolo trainante nell’industria agricola italiana e rappresenta il fiore all’occhiello del Made in Italy fornendo il contributo maggiore all’export con un valore di 5,4 miliardi di euro (come si constata in questo articolo su Agrifood.tech DOP, IGP e STG: driver fondamentale dei distretti agroalimentari italiani), un esempio arriva dalla cantina vinicola toscana ColleMassari, che si è appoggiata alle soluzioni di tracking Near Field Communication (NFC) e Radio Frequency Identification (RfId) di Autentico e RFID Global, per una tracciabilità completa di ogni bottiglia e scatola di vino, dall’imbottigliamento al consumo, con un attento controllo della fase legata alla distribuzione, ma anche un aumento dell’efficienza operativa della cantina con nuovi elementi in termini di brand experience del consumatore.

Potete leggere il servizio più completo su Agrifood.tech Anticontraffazione agroalimentare: il caso ColleMassari e il ruolo di Rfid e NFC

L’azienda agricola pugliese BuondiOli ha a sua volta deciso di tracciare il suo olio extravergine Biologico con My Story, una soluzione basata su tecnologia Blockchain. xFarm ha installato una stazione meteo xSense in un oliveto coltivato 100% Ogliarola Garganica Bio che registra e monitora parametri agro-meteorologici per la gestione intelligente del campo. Le informazioni relative alla trasformazione e all’imbottigliamento vengono inglobate ai dati meteo di xSense e alle attività in campo registrate dall’applicazione gestionale che poi vengono restituite in forma di racconto al consumatore finale tramite la soluzione di digital assurance basata su Blockchain di DNV GL.

Potete leggere il servizio pubblicato su Agrifood.tech La certificazione dell’Olio EvO Bio: dai sensori xFarm alla blockchain DNV GL

Il We|LAB Bari, laboratorio di innovazione che fa leva su Cloud, Intelligenza Artificiale e Blockchain per la trasformazione digitale del territorio, insieme a IBM e al Politecnico e Università di Bari, ha visto il disegno di una Blockchain dedicata alla filiera dell’Extravergine di Oliva che ha coinvolto OlivYou, uno dei maggiori e-commerce italiani di olio EVO e alcuni produttori della regione. Questa tecnologia parte dalla tracciatura del “cultivar” e del processo di molinatura, per estendersi agli altri passaggi critici della filiera e arrivare alla certificazione e alle funzionalità di “recall di prodotto”.

Ancora Barilla, attraverso un progetto in collaborazione con Connecting Food, ha implementato un sistema di tracciabilità basato su Blockchain per il Pesto Barilla alla Genovese. Ogni vasetto è dotato di un QR code che i consumatori possono scansionare per seguire il percorso del basilico, dalla coltivazione al prodotto finito, attraverso una Web App. La blockchain assicura l’autenticità dei dati grazie alla crittografia e alla registrazione permanente. Questo aumenta la fiducia dei consumatori, rispondendo alla richiesta di trasparenza e sostenibilità.

Per ulteriori dettagli rimandiamo all’articolo su Agrifood.tech Costruire la fiducia, un barattolo alla volta: pesto Barilla sfrutta la blockchain per la tracciabilità del basilico

Anche Rovagnati ha adottato un nuovo sistema di tracciabilità che, attraverso un QR Code sulle confezioni delle due linee di Affettati Borgo Rovagnati e Naturals, renderà disponibili ai consumatori tutte le informazioni relative al prodotto, dalle materie prime, al processo di produzione, fino ai controlli di qualità. Il nuovo sistema di tracciabilità, studiato per garantire trasparenza ai consumatori e dare evidenza delle politiche di Animal Welfare e alle pratiche di allevamento adottate da Rovagnati, permetterà a chiunque di visionare attraverso il proprio smartphone una vera e propria carta di identità del prodotto.

Per una trattazione approfondita, consigliamo la lettura del servizio su Agrifood.tech Rovagnati e il nuovo sistema di tracciabilità degli affettati

Grazie alla collaborazione tra Genuine Way e Ponti, le etichette degli Aceti di Mele 100% Italiane Ponti presentano un QR-Code che, con una veloce scannerizzazione, permette di conoscere in tempo reale varietà, data e comune di raccolta delle mele. Attraverso uno storytelling semplice, efficace e trasparente la tecnologia blockchain di Genuine Way garantisce un valore aggiunto che fornisce al consumatore tutte le informazioni di cui ha bisogno per essere certo dell’origine dei prodotti che sceglie per la propria tavola: aceto di mele 100% italiane e lavorate entro 24 ore dall’arrivo nello stabilimento.

Ne abbiamo parlato in questo articolo su Agrifood.tech Genuine Way traccia su blockchain la filiera dell’aceto di mele Ponti

Per rendere più tracciabile e sicuro il Parmigiano Reggiano DOP, il Consorzio del Parmigiano Reggiano si è affidato a Kaasmerk Matec e p-Chip Corporation per un’innovativa etichetta digitale che combina la placca di caseina, praticamente la carta d’identità del formaggio con un codice alfanumerico unico e progressivo e un QR code, con il micro-transponder p-Chip, una crypto anchor o “ancora crittografica” che associa un identificatore univoco e immutabile a ciascuna forma di formaggio, creando un gemello digitale, impossibile da duplicare o contraffare. La tecnologia track-and-trace permette di differenziare i prodotti da marchi simili, proteggersi in caso di richiami o altri problemi, oltre che offrire una garanzia in più sull’autenticità del formaggio nell’interesse dei produttori, di tutta la catena distributiva e del consumatore finale.

Il case study è raccontato in questa pagina di Agrifood.tech Parmigiano Reggiano: una nuova smart label digitale “aumenta” tracciabilità e autenticità

Grazie all’implementazione di una piattaforma integrata di dati notarizzati tramite tecnologia blockchain per le produzioni agroindustriali italiane, il progetto Agri-Food TRACK (Agri-Food TRAceability through the bloCKchain) ha reso rintracciabile il processo produttivo di tre tipicità dell’Emilia-Romagna: olio, vino e pomodoro, permettendo di valorizzare l’origine del prodotto e le tecniche colturali e di trasformazione che ne hanno determinato la qualità e la sostenibilità.

Nella sede del Competence Center specializzato sui Big Data BI-REX, a un anno all’inizio della sperimentazione sono stati presentati i primi due prodotti frutto della sperimentazione di Image Line ed EZ Lab Agri-Food TRACK: la piattaforma digitale che con blockchain traccia la filiera di olio e vino

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