Oceani e sostenibilità: perché questo rapporto è sempre più importante
Nel momento in cui si affrontano i temi della sostenibilità ambientale del pianeta c’è una parte della nostra terra che spesso non viene presa immediatamente in considerazione e che è invece importantissima. Gli oceani coprono più del 70% della superficie terrestre e svolgono un ruolo assolutamente fondamentale per il raggiungimento e il mantenimento delle condizioni di vita che conosciamo. I cinque grandi oceani (Pacifico, Atlantico, Indiani, Artico e Antartico) contribuiscono in modo fondamentale a regolare il clima, facendosi carico di “immagazzinare” calore e naturalmente nascondono un patrimonio straordinario di biodiversità, di risorse alimentari per l’uomo e per la vita stessa degli oceani. Un patrimonio che rappresenta l’attività primaria per milioni di persone in tutto il mondo, sia per attività legate al Food System sia per attività legate alla gestione di risorse energetiche. Una ricchezza in termini di attività produttive che secondo l’analisi delle Nazioni Unite dovrebbe portare entro il 2030 a occupare qualcosa come 40 milioni di persone. Se si guarda poi al ruolo specifico in termini di contributo allo sviluppo sostenibile del pianeta dagli Oceani arriva qualcosa come il 50% dell’ossigeno del nostro pianeta e una capacità di assorbimento del 30% dell’anidride carbonica prodotta sulla terra.
I fattori di rischio per gli Oceani e il ruolo dell’innovazione digitale
Un patrimonio dunque straordinario che è però oggi più che mai in pericolo. Sempre l’analisi delle Nazioni Unite (qui tutti i dati) ci dice che i pesci di grandi dimensioni sono in via di estinzione, che il 50% delle barriere coralline è stata distrutta e che la capacità di “rigenerazione” degli Oceani rischia di essere compromessa dalla pressione costante in termini di attività legate alla pesca o all’utilizzo indiscriminato e incontrollato di risorse. Nello stesso tempo cresce e svolge un ruolo sempre più importante il mondo dell’acquacoltura, che può trovare nuove risorse proprio dall’innovazione digitale.
E proprio a questi temi IBM ha dedicato un evento: l’IBM World Ocean Day panel allo scopo di fare il punto sul ruolo che può essere svolto dall’innovazione digitale in favore di un rapporto più responsabile e consapevole verso gli Oceani e verso l’utilizzo delle loro risorse.
La sostenibilità degli oceani e il loro ruolo per il Food system
Luq Niazi, IBM Global Managing Director, Consumer Industries ha subito ricordato che gli oceani sono una delle principali fonti di biodiversità e una delle principali fonti di proteine per le persone in tutto il mondo. Nello stesso tempo però ha osservato che non è mai stato purtroppo così forte l’impatto ambientale causato dall’uomo a partire dall’inquinamento della plastica che è diventata ormai una delle principali minacce agli ecosistemi oceanici e un indebolimento nel ruolo che gli oceani svolgono in termini di contrasto del climate change. In questo scenario si deve collocare anche il dibattito sullo sviluppo dell’industria ittica. Si tratta di un argomento molto importante che impatta sia sul contributo degli Oceani al Food system sia come contributo al contrasto al cambiamento climatico e alla sostenibilità ambientale. In questo contesto il ruolo dell’innovazione sulle tecnologiche e sulle soluzioni per l’acquacoltura è destinato a giocare un ruolo sempre più importante.
Mhairi McCann, Founder and CEO di Youth STEM 2030, organizzazione no-profit globale nata per consentire alle persone di affrontare le grandi sfide del mondo attraverso lo sviluppo di competenze Stem (Science, technology, engineering, mathematics) ricorda a sua volta come gli oceani forniscono cibo, energia e quella biodiversità indispensabile per assicurare alimentazione e ossigeno. Un patrimonio prezioso che oggi è in pericolo prima di tutto perché le sue risorse sono fortemente sotto pressione.
Jonathan Grant, professore di oceanografia alla Dalhousie University porta a sua volta l’attenzione sul ruolo degli oceani nella trasformazione del sistema agroalimentare globale e sull’opportunità di guardare alle similitudini tra agricoltura e acquacoltura. In particolare Grant ritiene che sia necessario appoggiarsi all’uso di modelli ecosistemici per valutare e comprendere la sostenibilità delle risorse degli oceani in relazione al loro utilizzo. Grazie a questi modelli è possibile definire delle regole e delle metodiche nel campo dell’acquacoltura che consentono di ottenere le proteine necessarie alla filiera agroalimentare sfruttando le potenzialità dell’itticoltura o della molluschicoltura garantendo nello stesso tempo la corretta sostenibilità delle risorse.
La Blue economy come gestione delle risorse degli Oceani nel rispetto della sostenibilità
Sempre Jonathan Grant parla della necessità di portare logiche di “pianificazione” e di gestione delle risorse e dello spazio marino come un concetto da collegare ai principi della Blue economy, comprendendo una ricca varietà di attività economiche che possiamo intraprendere negli oceani e, aspetto molto importante, anche per gli oceani. Per Grant occorre partire dalla considerazione sociale, economica e naturale che gli oceani forniscono pesce per l’alimentazione, ossigeno, acqua, sono un regolatore del clima e una fonte straordinaria di energia. Non possiamo fare a meno di queste risorse, ma se si continua a sfruttarle senza avere la chiara consapevolezza dei loro limiti si corre il rischio di arrivare a un punto di non ritorno. Se gli oceani sono soggetti a uno stress eccessivo questi benefici vengono meno e la Blue economy che vive di queste risorse rischia di fare passi indietro.
Ecco che diventa importante la pianificazione dello spazio marino, e cercare di intraprendere un percorso di risoluzione dei conflitti tra i diversi attori che operano negli oceani di modo che tutti siano in grado di utilizzarne le risorse senza comprometterne la sostenibilità. La pianificazione di queste risorse è poi fondamentale anche per garantire che le interazioni tra interessi spesso diversi non diano luogo ad un “saldo” negativo per gli oceani. E questa orchestrazione tra gli attori è una grande sfida. Jonathan Grant richiama ancora la similitudine con il mondo dell’agricoltura sottolineando che nel corso del tempo abbiamo consolidato e diffuso il concetto di valore e di utilizzo del suolo. Sulla base di una serie di parametri si sono definite delle regole che guidano la gestione degli spazi sulla terra, ad esempio il modo stesso in cui procede con determinate coltivazioni, come devono essere alternate per consentire la rigenerazione del terreno o come vengono strutturati gli impianti industriali per cercare di limitare l’impatto ambientale. Applicare queste metodologie sulla “risorsa” degli oceani è molto più complicato, prima di tutto ma non solo, a causa dell’acqua, perché occorre gestire un “mondo nascosto” e quindi aumentare l’attuale livello di conoscenza su quell’ambiente e sui comportamenti delle risorse e degli spazi in funzione di diverse azioni. In questo scenario è sempre più importante il ruolo dell’innovazione tecnologica, prima di tutto per disporre di dati sempre più dettagliati e affidabili, per misurare, per controllare, per valutare le trasformazioni a cui sono soggetti gli oceani e poi per poter effettuare delle proiezioni, per capire, anche con delle simulazioni a cosa andiamo incontro nel momento in cui si prosegue con determinate attività.
Oceani e sostenibilità: dati per avvicinare prodotti, produttori e consumatori
E se si parla del ruolo dell’innovazione tecnologica e del digitale è importante capire come questa forma di innovazione si può concretizzare. Donna Lanzetta, Vice President e Co Founder di Manna Seafood Blockchain, Inc. sottolinea quanto questa innovazione sia ormai vicina ai consumatori e come la stessa Manna Seafood, anche con l’apertura di nuovi ristoranti, intenda aggiungere un tassello, quello del cliente finale, alla capacità della blockchain di portare trasparenza su tutta la catena di approvvigionamento a disposizione di tutti gli attori della filiera agroalimentare. Lanzetta ricorda che gli allevamenti ittici Manna sono un esempio di acquacoltura offshore che con la logica della pianificazione delle risorse, gestite nell’ambito di progetto di Marine Special Planning, permette di unire la capacità degli oceani di fornire frutti di mare di qualità con la capacità dell’uomo di ottenere questa risorsa nel rispetto di una sostenibilità che non può essere compromessa.
Come “alimentare” il pianeta e rispettare gli SDGs
Lanzetta invita a guardare avanti, a uno scenario che porta la popolazione sulla Terra verso i 10 miliardi e alla produzione di proteine e all’alimentazione del mondo con una doppia prospettiva: quella di rispondere a questo bisogno di alimentazione e quella di attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. I frutti di mare, ricorda Lanzetta, forniscono una fonte di vitamina D, vitamina A, selenio, ferro e molto altro ancora e abbiamo centinaia di milioni di persone in tutto il mondo che si affidano alla produzione oceanica e alle loro attività accessorie per il proprio sostentamento e per le attività economiche. Per salvaguardare questa dimensione occorre aumentare la responsabilità verso l’Oceano, occorre lavorare sulla trasparenza per sapere cosa si consuma, “da dove arriva” e se si tratta di scelte sostenibili. Ma per farlo, prosegue Lanzetta, è necessario basare le nostre decisioni su fatti scientifici e su dati affidabili. L’obiettivo deve essere quello di produrre nel nostro caso frutti di mare, senza esercitare pressione sulle risorse marine, portando efficienza su tutte le fasi che vanno a comporre questa attività, per evitare sprechi e per comunicare, con precisione e trasparenza ai consumatori questo tipo di impegno.
La sostenibilità degli oceani passa anche dalla trasparenza dei dati
La trasparenza dei dati, la capacità di rappresentare correttamente il ciclo di vita di un prodotto così come i processi che sottostanno alla sua lavorazione e gestione sono un valore che va associato al prodotto. Nelle scelte dei consumatori finali la qualità del prodotto non può essere “sganciata” dalla qualità del lavoro che è stato svolto per portarlo sulla tavola e dal tipo di procedure, di misure adottate per arrivare a quel prodotto riducendo al massimo l’impatto ambientale, ovvero nel rispetto del futuro degli Oceani che li hanno prodotti. Luq Niazi richiama la necessità di un equilibrio tra la creazione di modelli di produzione ittica sostenibile e la necessità di definire parametri per una nuova forma di giustizia ambientale. Tra necessità di sostenere un Food system che è obbligato a crescere ed aumentare la propria capacità di rispondere a una domanda di cibo in costante crescita e il rispetto delle risorse.
Il ruolo della blockchain
Sønsteby Steinar, CEO di Atea un’azienda IT del Nord Europa che lavora con IBM e che ha realizzato un sistema per la gestione dei dati legati all’itticoltura basato su blockchain porta l’attenzione sull’epoca che stiamo vivendo, che impone cambiamenti sostanziali, che ci porta a considerare in modo fondamentale l’importanza degli oceani come una risorsa preziosa per l’umanità e che sta facendo emergere la necessità di pianificazione e di sviluppo della Blue economy. In questo senso un ruolo centrale è svolto dal digitale e dalle possibilità che offre di monitoraggio, di controllo, di predittività e di ricerca di forme di gestione della Blue economy che possano far bene tanto alle economie quanto alle comunità nel rispetto della salute dell’oceano e della sua biodiversità.
Nello specifico Steinar ricorda che l’intera industria ittica rappresenta la seconda più grande fonte di esportazione dalla Norvegia e se si vuole che continui ad esserlo anche in futuro è necessario non “dare nulla per scontato”. Dalla sua posizione di attore vicino all’innovazione digitale e all’industria agroalimentare sottolinea che solo attraverso l’utilizzo di tecnologie avanzate si possono migliorare gli aspetti ambientali e sviluppare l’industria ittica in modo sostenibile e trasparente. Per questo occorre avvicinare lo sviluppo tecnologico e in particolare soluzioni come la blockchain alla gestione dei dati che rappresentano i valori e la vita degli oceani, perché solo conoscendo e diffondendo conoscenza si possono effettuare le scelte più consapevoli e corrette. Ci sono miliardi di persone per le quali il pesce è la risorsa primaria di cibo: la pesca è una industria fondamentale per il sostentamento del pianeta, ma nello stesso tempo occorre fare in modo che tutte siano anche interessate e coinvolte nel futuro di questo ambiente. Ognuno di loro deve poter conoscere e scegliere sulla base di questa consapevolezza.
Per Luq Niazi la possibilità di arrivare ad un’acquacoltura sostenibile permette di migliorare la produttività, l’efficienza e la responsabilità. Jonathan Grant parla a questo proposito del progetto GAIN (Green Aquaculture Intensification in Europe) il programma di intensificazione dell’acquacoltura verde che fa parte del quadro UE Horizon 2020. Esiste oggi una ampia varietà di programmi dell’UE sulla pesca e l’acquacoltura che si occupano di sostenibilità, effetti climatici, l’iniziativa Gain punta a raggiungere tre obiettivi. Il primo attiene al miglioramento della qualità dei mangimi da utilizzare nell’acquacoltura, per superare la pratica che porta alla creazione di mangimi basati sull’utilizzo di risorse provenienti da prodotti di scarto. Il secondo obiettivo riguarda la creazione di un programma completo dedicato all’economia circolare che reinserisce i prodotti giunti a fine vita nei processi di produzione per renderli più efficienti. Il terzo attiene all’applicazione della tecnologia oceanica all’itticoltura per renderla nello stesso tempo più efficiente e per controllare e ridurre il suo impatto ambientale. Ecco che entra in gioco in questa circostanza il tipo di monitoraggio che si può effettuare sull’ambiente o sul pesce stesso per disporre di maggiori informazioni sull’ambiente, per assumere decisioni gestionali più accurate, per evitare sprechi, per avere sotto controllo lo stato di salute dell’Oceano.
Progetti IBM di innovazione digitale per l’industria agroalimentare
Luq Niazi tiene a sottolineare che IBM conta su diversi progetti attivi in tutto il mondo nell’ambito dell’industria agroalimentare legata al mondo della pesca (si legga al riguardo questo articolo) e conta su giovani talenti impegnati in sfide sui temi dell’innovazione e della sostenibilità e afferma che questo attivismo e questa ricerca richiama la mentalità da start-up che sta circondando tutto il mondo della sostenibilità.
Peraltro, come ricorda Jonathan Grant le infrastrutture di questa industria “sono nell’acqua”, la tecnologia deve partire da questo presupposto e proprio per questo la tecnologia oceanica si sta trasformando grazie al digitale, come sensori wireless per la temperatura, per l’ossigeno, per la rilevazione dei movimenti, per osservare e monitorare le tante variabili che caratterizzano la vita nell’oceano.
Rispetto al passato, come osserva il professore di oceanografia alla Dalhousie University è stata prodotta una grande quantità di informazioni e una rete di sensori a disposizione degli allevatori in tempo reale sul proprio smartphone per controllare le varie condizioni dei pesci che poi li portano a prendere decisioni più precise e più attente su alimentazione, trattamento sanitario, raccolta, stoccaggio e tanto altro.
Questo genere di innovazione digitale sta facendo la differenza per l’oceano, per il benessere dei pesci, per la qualità del lavoro dell’industria del pesce. Questa struttura permette di conoscere come si comportano i pesci rispetto alle varie condizioni nell’oceano e fornisce indicazioni preziosissime per garantire la sostenibilità. Si stanno generando tanti dati e c’è sempre più bisogno di analisi e in questo senso IBM ha permesso di disporre di soluzioni per usare questi dati anche per prevedere le condizioni dell’oceano.
Mettere i dati dell’oceano e della sostenibilità nelle mani di produttori e consumatori
Per Niazi mettere i dati nelle mani degli allevatori di pesce in tempo reale è una parte importantissima della risposta che questa industria deve poter dare all’ambiente e alle filiere agroalimentari. Donna Lanzetta osserva che lavorando con gli scienziati degli oceani costieri e con i loro set di dati, si creare un nuovo punto di osservazione verso l’oceano, ad esempio si può rilevare il comportamento di qualsiasi tipo di barriera corallina dell’habitat oceanico.
Fissata l’importanza dei dati occorre guardare alla qualità dei dati stessi. Le fonti di dati sono sempre più numerose, i dati provengono da una tale varietà di luoghi e di sorgenti e il modo in cui le riunisci e le gestisci diventa fondamentale. Per Steiner è importante unire competenze tecnologiche con competenze di dominio, nell’applicazione della tecnologia è importante conoscere cosa sta succedendo nella catena del valore dell’acquacoltura. Per questo ricorda che Atea ha scelto di lavorare con IBM, con aziende di allevamento ittico e con altri “attori del mare”. Si è costruita una rete di sensori e di raccolta dati e si è definita una strategia di gestione dei dati, partendo da scelte elementari ma fondamentali ovvero “cosa vuoi conoscere” , “che dati devi raccogliere” e “con quali prospettive”. E ultimo, ma certo non meno importante, come creare valore da quei dati. La sfida è disporre di dati per creare una catena del valore sostenibile.
Nel racconto di Steiner emerge che all’inizio non erano tutti molto esperti di digitale, i sistemi non erano paragonabili ai sistemi e alle interfacce attuali, ma una volta superate le difficoltà “culturali” verso il digitale è cresciuto l’interesse verso i dati e verso un mondo di consumatori che sta effettivamente chiedendo queste informazioni. Nei negozi al dettaglio o nei ristoranti, puoi utilizzare il codice QR per conoscere cosa stai comprando, Quando si apre questo cerchio, è davvero interessante vedere come il dato diventi un fattore abilitante per poter vendere meglio il pesce. In definitiva l’obiettivo attraverso la rete è cambiare il modo in cui gran parte del pesce viene venduto sia per la qualità del pescato sia per la qualità e la salute dell’ambiente.
Per Luq Niazi in conclusione la risposta sta proprio nella capacità di lavorare sui dati e nella grande e straordinaria interconnessione tra tutti gli elementi che compongono questa industria. Grazie al digitale si possono mettere queste informazioni al servizio degli allevatori di pesce, ma anche nelle mani dei consumatori per avere la capacità di affermare che quel pesce è stato allevato, nutrito e trattato nel modo giusto, per dare rassicurazioni nel momento dell’acquisto, per ottenere e sostenere un rapporto di fiducia e per indirizzare il comportamento dei consumatori verso scelte più sostenibili.
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