Non c’è dubbio che una delle parole chiave del particolare momento storico che stiamo vivendo, accanto a coronavirus, pandemia e lockdown, sia smart working. O meglio, la versione affrettata che non poche aziende hanno dovuto improvvisare per permettere ai propri dipendenti e collaboratori di lavorare da casa. Da qui la vera e propria corsa che si è assistita tra marzo e aprile all’acquisto di tablet, pc portatili e all’installazione di VPN, che ha consentito a molte aziende del settore terziario (ma anche alla Pubblica amministrazione) di mantenere la propria produttività nei giorni caldi della fase 1. Secondo un rapporto stilato da Inapp, nel corso del lockdown ci sono stati ben 3 milioni di lavoratori che in Italia hanno utilizzato il telelavoro o lo smart working. Lo smart working è destinato a rimanere una realtà significativa anche nella Fase II, come peraltro previsto dalle normative. Le organizzazioni avranno perciò la possibilità di ripensare alla sua applicazione pratica, così da goderne appieno i benefici. Che sono numerosi e abbastanza noti: maggiore soddisfazione del lavoratore, migliore produttività, riduzione dei costi aziendali legati alle sedi, benefici ambientali per la collettività.
I rischi dello smart working
Ovviamente, anche l’adozione dello Smart working in azienda – come tutti i modelli organizzativi – nasconde dei rischi e delle possibili difficoltà, che le aziende devono essere capaci di gestire nella maniera più adeguata possibile. Anche se, come abbiamo detto in precedenza, l’effetto tipico dello smart working è quello di un aumento della produttività, possono verificarsi degli effetti indesiderati. Innanzitutto, il dipendente potrebbe sentire la sua vita “invasa” dal lavoro; inoltre qualcuno potrebbe sentirsi “isolato” a causa del mancato contatto quotidiano e “fisico” con i colleghi. Questa mancanza di contatto umano, in particolare, non di rado fa pensare agli smart worker che le proprie possibilità di carriera possano essere limitate. Più in generale, in mancanza di strumenti tecnologici adeguati e di un coordinamento efficace, la produttività dei lavoratori può persino diminuire.
Un clima di fiducia sullo smart working
Per evitare che gli sforzi delle aziende risultino vani o controproducenti, innanzitutto, occorre un coinvolgimento della leadership aziendale, che deve creare un clima di fiducia intorno allo smart working, adottando in prima persona questa peculiare modalità di organizzazione del lavoro. Un altro passaggio chiave, soprattutto per quelle aziende più strutturate, è quello di curare gli aspetti normativi, affidandosi a degli esperti in diritto del lavoro, così da arrivare all’adozione di policy e regolamenti interni in materia. Evitando così la possibilità di strascichi di natura legale che possono pericolosamente interferire sulla produttività.
Le soluzioni tecnologiche necessarie
Ovviamente lo smart working va abilitato da un punto di vista tecnologico, innanzitutto con la dotazione di soluzioni hardware ad hoc. Sono ormai praticamente indispensabili anche le soluzioni Saas e Iaas che permettono di accedere alle applicazioni aziendali da remoto, nonché le piattaforme di collaboration e videoconferenza, che consentono di ovviare alla mancanza del rapporto umano diretto e di programmare al meglio il lavoro. Fondamentale, ovviamente, è anche l’aspetto della sicurezza informatica: anzi è possibile dire che occorrerebbe garantire allo smart worker quantomeno lo stesso livello di sicurezza del lavoro tradizionale, sia nel trattamento delle informazioni aziendali che dei dati personali, garantendo nel contempo il rispetto delle diverse normative.
La strategia di IBM sullo smart working
Il paradigma dello smart working è da tempo al centro dell’attenzione di IBM. Grazie a una proposizione di offerta a largo raggio, IBM può mettere sul campo soluzioni cloud capaci di assicurare quella flessibilità necessaria alla smart worker, oltre a funzionalità di IBM Watson, il sistema cognitivo di IBM, in grado anche di permettere il contatto con i potenziali clienti completamente da remoto. Non solo: anche la formazione continua da remoto dei lavoratori può essere abilitata dai programmi e dalle soluzioni della multinazionale. Senza contare, poi, il decisivo aspetto della sicurezza: la concezione di IBM è che i team di sicurezza aziendali debbano adattare il loro approccio al rilevamento e risposta alle minacce poiché il crescente passaggio allo smart working crea sfide diverse per le aziende dal punto di vista della cybersecurity, impattando maggiormente sugli endpoint e sul cloud. Anche gli smart worker devono comunque giocare un ruolo attivo, seguendo alcuni semplici consigli: ad esempio portando a casa solo i dispositivi e le informazioni assolutamente necessari tenendo aggiornato il software su tutti i dispositivi e mantenendo una separazione tra ambiente aziendale e personale.