Analisi

La carta del Risk Management in Italia

Convention ANRA e Osservatorio Cineas sul risk management in Italia.

Pubblicato il 17 Dic 2018

asset inventory

La cultura del rischio sta assumendo un valore fondamentale nel business management: qualsiasi decisione presa o progetto avviato è come “un lancio di dadi” che può scatenare eventi sconosciuti ed inaspettati.

Ecco che diventano prioritarie le iniziative di affermazione e sviluppo di competenze di risk management in Italia e che offrono aggiornamenti e programmi professionali a membri e interlocutori. Questo è l’obiettivo principale di ANRA, l’Associazione Italiana di Corporate Risk and Insurance Managers che annualmente organizza convention sui temi più caldi connessi alla cultura del rischio nell’ecosistema aziendale.

La diciannovesima edizione che si è tenuta quest’anno dal titolo “Imprevisto o probabilità? La carta del risk management” si è focalizzata sul risk management nelle imprese di piccole e medie dimensioni; la sostenibilità e i rischi emergenti; la spinta della digitalizzazione; le soft skills a supporto dei risk managers; il protezionismo e la deglobalizzazione. Infatti, la diffusione di pratiche di risk management anche nelle compagnie medio-piccole giova all’intero sistema economico; i temi relativi alla sostenibilità come quella ambientale, sociale, personale, rispetto per i diritti umani e la lotto contro la corruzione sono diventati una priorità per le aziende che devono valutarne il potenziale impatto. E poi oggi le compagnie stanno diventando sempre più digitalizzate, la componente tecnologica è pervasiva e con IoT e machine learning, la digitalizzazione promette semplificazione ed efficienza che potrebbe portare a sottostimare i rischi annessi. Le soft skills stanno irrompendo nelle tecniche tradizionali di risk management e stanno diventano cruciali per una comunicazione efficace per diffondere la cultura del risk management. Infine, se la globalizzazione è spesso considerata responsabile dei problemi delle economie occidentali, anche la deglobalizzazione presenta numerosi rischi di destabilizzazione per l’intera economia mondiale. Specializzazione, flessibilità e agilità sono e saranno gli elementi chiave per competere nel mercato. Le compagnie che vogliono rivestire il ruolo di leader devono identificare le sorgenti di valore, prodotti e servizi innovativi e mettere il cliente con i suoi bisogni al centro della strategia.

Secondo il presidente Anra, Alessandro De Felice, i rischi strategici più fortemente avvertiti dalle imprese sono proprio quelli legati “alla deglobalizzazione e alla paura di un nuovo protezionismo, insieme al crescente potere d’acquisto delle fake news”.

Come mostra laVI edizione dell’Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane, ricerca annuale condotta da consorzio Cineas in collaborazione con Mediobanca, tra i rischi emergenti che le aziende si trovano a dover mitigare figurano sicurezza sul lavoro in prima linea seguita da difettosità del prodotto e cyber risk al secondo e terzo posto a quota 91(in una scala di gravità da 0 a 100). Infatti, la digitalizzazione sempre più spinta espone al pericolo impellente di cyber attack ma anche a potenziali incrinature che possono destabilizzare sistemi completamente automatizzati. Si annoverano poi il rischio reputazionale (84), i bilanci di sostenibilità, le politiche di rispetto dell’ambiente e i diritti umani alla lotta alla corruzione, temi molto cari al nuovo identikit del consumatore: particolarmente sensibile e pretenzioso di trasparenza su questo fronte.

Questo connubio di condizioni impone alle aziende di valutare attentamente e con continuità l’adeguatezza e aumentare con fermezza la resilienza del proprio modello di business rispetto ad una realtà economica circostante diventata instabile (grandi cambiamenti a livello economico, normativo, tecnologico, ambientale sono in atto). Anche le PMI sono costrette ad allinearsi a queste misure di comportamento: del resto, per loro rappresenta un valore aggiunto al fine di ottenere finanziamenti e sostenere la crescita aziendale.

Diventa sempre più invalsa la strategia coordinata di Governance Risk Compliance (GRC) definita da Open Compliance and Ethics Group (OCEG) come “un sistema di persone, processi e tecnologia che consente ad un’organizzazione” di armonizzare l’adempimento di regole gestionali, la conformità a leggi, normative e al codice etico e la mitigazione dei rischi che possono ostacolare la sostenibilità e la competitività del business.

Imminente è anche la trasformazione che sta coinvolgendo la figura del risk manager a cui si richiede una maggiore integrazione con il board aziendale e lo sviluppo di soft skills comunicative per poter scambiare informazioni in modo efficace a tutti i livelli e poi le metodologie in tema di gestione dei rischi, tra cui “sistemi di misurazione della resilienza tramite l’analisi dei nodi processuali, l’anticipatory risk management per i rischi emergenti e nuovi approcci di risk engineering”.

La novità del 2018 è che le imprese che gestiscono i rischi nella modalità più evoluta sono passate dal 17,2% del 2016 al 37,5% nel 2018. La conferma è che continua ad evidenziarsi una correlazione positiva tra performance economiche e gestione integrata dei rischi: oltre un terzo di ritorni in più (+34% Return on Investment – ROI e +39% di Return on Equity – ROE) per le aziende attente ai rischi. Inoltre, nello stesso periodo, la percentuale di aziende sprovviste di un sistema di gestione dei rischi è passata da quasi il 20% a circa il 6%.

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