Strategie

Comunità energetiche, le utility reclamano un ruolo maggiore

Secondo quanto emerso dall’Osservatorio Utilities Agici – Accenture le normative italiane sfavoriscono la partecipazione degli operatori energetici. che invece potrebbero spingere notevolmente questo modello

Aggiornato il 08 Mag 2023

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C’è un problema nella piena affermazione del modello delle Comunità energetiche nel nostro Paese: stante le normative attuali, le utility sono sostanzialmente escluse dalla piena partecipazione. Complicando non poco la concreta realizzazione dei progetti, a causa della complessità dell’avvio e della gestione delle stesse Comunità energetiche. Questo l’allarme principale che è stato lanciato nel corso del Workshop dell’Osservatorio Utilities Agici – Accenture, durante il quale è stato presentato lo studio “Modelli per promuovere le comunità energetiche: un’opportunità per le utilities”.

Il report ricorda innanzitutto come con comunità energetica si intende un’associazione di utenti, che siano enti pubblici locali, aziende, attività commerciali e/o cittadini privati, che collaborano per produrre, consumare, condividere e gestire l’energia prodotta da fonti rinnovabili attraverso uno o più impianti energetici installati nelle loro vicinanze. Negli ultimi mesi se n’è parlato tantissimo: il report evidenzia come raggiungendo l’obiettivo di 5 GW di potenza installata con Comunità Energetiche e una produzione relativa di circa 6 TWh di energia elettrica, a fronte di un investimento previsto di circa 5-7 miliardi di euro, si registrerebbero due fondamentali benefici: un risparmio di CO2 pari a 1,35 M tonnellate e un beneficio economico tra i 1,3 e 1,5 miliardi di euro.

I problemi della normativa

Come noto, l’Italia si sta adeguando alla normativa europea per favorire lo sviluppo delle comunità energetiche ed entro il primo semestre del 2023 dovrebbe completare l’iter di recepimento dei decreti attuativi, avviato nel febbraio 2020 con la promulgazione del Decreto Milleproroghe. L’ultima bozza di decreto attuativo pubblicato dal MASE è stata inviata alla Commissione Europea per approvazione a febbraio 2023. Tra i punti chiave, il decreto introduce le tipologie di incentivi economici per coloro che intendono avviare una comunità energetica e ne definisce le regole per l’accesso.

Un decreto che era atteso da tanto tempo, ma all’evento organizzato da GSE e Agici si è notato ben poco entusiasmo verso i contenuti del provvedimento. Anzi, nel report si può leggere chiaramente come “In Italia la creazione di comunità energetiche è rallentata da roadblock normativi e dalla mancanza di uno stakeholder di riferimento in grado di promuovere l’aggregazione e gestire le comunità in modo strutturato”.

A peggiorare le cose ci sono anche “un iter burocratico e operativo ancora troppo complesso sia per la fase di costituzione che nei rapporti con il GSE”, le “limitate competenze dei gestori” e la “scarsa disponibilità di impiantisti e materiali”.

Tra le questioni giuridiche più controverse della regolamentazione italiana c’è – come accennavamo in precedenza – l’esclusione delle grandi imprese dalla governance delle CER (mentre più dibattuta è la possibile partecipazione), scelta che taglia fuori i grandi gruppi industriali e – naturalmente – le utility. Non a caso le utility, in questa fase, sembrano essersi posizionate verso una partecipazione indiretta, attraverso la fornitura di servizi di supporto alle comunità energetiche.

Ma questa impostazione – dal punto di vista di Agici e Accenture – rischia di costare cara all’Italia, che già sconta un ritardo numerico notevole rispetto a Paesi come Danimarca e Germania, dove sono già operative migliaia di comunità energetiche. In Italia, infatti, vi sono attualmente 86 comunità energetiche, di cui solo 30 già attive, con una potenza totale installata di circa 60MW e modelli di business valutati dall’analisi come poco scalabili.

Il ruolo delle utility secondo Accenture

Come ha raccontato a Energyup.Tech Claudio Arcudi, Responsabile dell’Industry Group Energy e Utility di Accenture in Europa, “Il senso della comunità energetica è che ci sono tanti utilizzatori di energia che si possono aggregare e creare la domanda. Come possiamo organizzare questa aggregazione, questa formula comunità? Certo, ci può essere un bravo imprenditore che riesce ad aggregare, ma inevitabilmente rappresenterebbe un’eccezione. Oggi, invece, abbiamo bisogno di fare la transizione energetica del sistema Paese, dunque abbiamo bisogno di avviare un processo che possa essere di tipo industriale.

E quali sono quegli attori che hanno le competenze e anche l’interesse ad avviare le comunità energetiche? Sono le utility, che possono proporre tipologie di impianto integrato (dall’agrivoltaico sino a al teleriscaldamento) e gestire le comunità a 360 gradi. Per mettere davvero in pista le comunità energetiche servono operatori che svolgano le funzioni di contract management ed è difficile pensare che lo possano fare gli amministratori di condominio. Gli stessi incentivi per le CER sono eccessivamente segmentati e frammentati, penso che sarebbe utile una gestione unitaria sul modello danese? C’è ancora spazio per delle modifiche normative? Penso di sì, anche sulla spinta del PNRR: abbiamo la necessità di spendere i fondi erogati dall’Unione Europea”.

I possibili modelli di business

I player energetici, insomma, dovrebbero partecipare come promotori e/o membri delle comunità energetiche per una diffusione strutturata e su larga scala. Due sono i modelli, in particolare, proposti da Agici-Accenture, che presuppongono un ruolo più centrale delle utility per la promozione delle comunità e la governance delle attività amministrative e operative.

1) MODELLO INDUSTRIALE [CER] promosso da un player energetico e rivolto con un offering dedicata a distretti industriali/manifatturieri o alla PA. Il finanziamento dell’impianto potrebbe essere a carico delle imprese partecipanti o del player energetico stesso. Un esempio di modello industriale è la CER di Crema (potenza di 2,1 MW) destinata a coprire il fabbisogno energetico di 15 aziende e 189 famiglie.

2) MODELLO A PIATTAFORMA [CER] rivolto a cittadini e PMI e promosso e finanziato da un player energetico, che detiene la proprietà dell’impianto. Il modello prevede una fase di aggregazione automatizzata e digitale (anche post-costituzione) gestita dalla utility. Un esempio di modello a piattaforma è la CER spagnola TEK Athletic creata tramite la piattaforma Edinor, parte del gruppo Repsol (potenza di 120 kW) alla quale i cittadini possono aderire pagando una quota di iscrizione e un canone mensile.

Il punto di vista delle utility

I responsabili delle utility intervenuti all’evento hanno confermato l’interesse verso un ruolo più attivo nelle Comunità energetiche. Gianni Armani AD di Iren, ha evidenziato come “Le Cer sono sicuramente un modo efficiente di consumare energia, ma prima di tutto bisogna costruire impianti. Dunque in questo ambito l’utility diventa centrale, con la realizzazione dell’impianto, può essere il motore intorno al quale si costruisce la CER”. Riflessioni similari sono arrivate anche da Orazio Iacono, AD di Hera: “Le multiutility rappresentano uno dei principali attori dello sviluppo delle CER, come Hera possiamo giocare ruolo da abilitatori, arrivando sino alla gestione dell’impianto. Pur se il quadro normativo non è ottimale: un modello che non permette a operatori energetici di essere membri della CER rende tutto più complesso”.

Sulla stessa linea anche Renato Mazzoncini, AD di A2A “finora di CER ne abbiamo vista davvero poche, questo dipende dal fatto che i cittadini riescano a mettere in atto da soli tutto il lavoro necessario alla costituzione e gestione è vedo davvero complesso”. Stefano Quaglino, Ceo di AGSM, ha invece ricordato come le CER possano non essere soltanto ed esclusivamente legate al fotovoltaico, come geotermia e teleriscaldamento, che per le loro caratteristiche necessitano inevitabilmente di un ruolo attivo delle utility.

Articolo originariamente pubblicato il 08 Mag 2023

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Gianluigi Torchiani

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