Se ne parlava da giorni, ora è ufficiale: il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) e l’Amministrazione per la Sicurezza Nucleare Nazionale (NNSA) hanno annunciato un importante passo in avanti verso la fusione nucleare realizzato presso il Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL). L’annuncio è stato fatto in una diretta streaming mondiale, a cui ha partecipato anche il Segretario all’Energia Jennifer M. Granholm, a testimonianza del coinvolgimento dell’amministrazione Biden in questa scoperta. E in effetti l’enfasi sulla portata dell’esperimento non è mancata, anche se comunque gli stessi scienziati coinvolti mantengono un certo grado di prudenza sulle prospettive future.
Ma andiamo con ordine: lo scorso 5 dicembre, un team della National Ignition Facility (NIF) del LLN ha condotto il primo esperimento di fusione controllata della storia capace di produrre più energia dalla fusione rispetto all’energia laser utilizzata per azionarla, producendo così un “net energy gain”, guadagno energetico netto.
La fusione, lo ricordiamo, è il processo attraverso il quale due nuclei leggeri si combinano per formare un unico nucleo più pesante, liberando una grande quantità di energia, ed è sostanzialmente contrario a quello della fissione nucleare, attraverso il quale è prodotta attualmente l’energia nucleare. Il vantaggio sarebbe quello di avere una forma di energia pulita, senza le scorie prodotte dall’attuale energia atomica e potenzialmente inesauribile. Per questo motivo il mondo della ricerca è così impegnato sul fronte della fusione nucleare: il progetto Iter prevede il cosiddetto tokamak, una camera a vuoto a forma di ciambella che utilizza potenti magneti per trasformare il combustibile in un plasma surriscaldato (tra i 150 milioni e i 300 milioni di gradi Celsius) in cui può avvenire la fusione. Il laboratorio di Livermore utilizza una tecnica diversa: già dagli anni sessanta gli scienziati del laboratorio avevano ipotizzato che i laser potessero essere utilizzati per indurre la fusione in laboratorio. Questo approccio ha dato vita a oltre 60 anni di ricerca e sviluppo in materia di laser, ottica, diagnostica, fabbricazione di bersagli, modellazione e simulazione al computer e progettazione sperimentale.
Il LLNL ha costruito progressivamente una serie di sistemi laser sempre più potenti, che hanno portato alla creazione del NIF, il sistema laser più grande del mondo (con le dimensioni di uno stadio sportivo). Sostanzialmente il sistema prevede che 192 potenti laser colpiscono contemporaneamente una la parte interna di un piccolo cilindro contenente due elementi chiave (il deuterio e il trizio). Dopo svariati esperimenti in cui gli scienziati americani si erano avvicinati all’obiettivo del guadagno energetico netto (ad esempio arrivando al 70% nell’agosto 2021), nell’esperimento dello scorso 5 dicembre il mega laser ha immesso 2,05 megajoule di energia nel bersaglio e ha prodotto 3,15 megajoule di produzione di energia di fusione, generando dunque oltre il 50% di energia in più rispetto a quella immessa.
“Questo è un risultato fondamentale per i ricercatori e il personale della National Ignition Facility, che hanno dedicato la loro carriera a far sì che l’accensione della fusione diventasse una realtà, e questa pietra miliare darà senza dubbio il via a ulteriori scoperte”, ha dichiarato il Segretario all’Energia Jennifer M. Granholm. “L’Amministrazione Biden-Harris è impegnata a sostenere i nostri scienziati di livello mondiale, come il team del NIF, il cui lavoro ci aiuterà a risolvere i problemi più complessi e urgenti dell’umanità, come la fornitura di energia pulita per combattere il cambiamento climatico e il mantenimento di un deterrente nucleare senza test nucleari”. D’altra parte, nonostante l’indubbio progresso e la certa enfasi dell’annuncio, lo stesso comunicato diffuso dal Dipartimento dell’energia americano ammette come siano ancora necessari molti sviluppi scientifici e tecnologici avanzati per ottenere una fusione nucleare semplice e accessibile per l’alimentazione di case e aziende. A domanda esplicita sui tempi di commercializzazione, gli scienziati del Livermore hanno parlato di alcuni decenni, magari non sei, probabilmente quattro. Insomma, quello che abbiamo visto oggi è un passettino verso la fusione nucleare, che non vedrà la luce prima della prossima metà del secolo, dunque decisamente non in tempo utile per fornire una energia pulita capace di contribuire a frenare il climate change. Gli Usa, però, temono che la Cina possa sopravanzare gli Usa in questa partita che potrebbe rivelarsi decisiva in prospettiva futura. Da qui un annuncio che serve a dare morale e a raccogliere finanziamenti in materia, sia pubblici che privati. L’obiettivo di medio termine per gli USA è quello di sviluppare un impianto pilota di fusione su larga scala che potrebbe fornire almeno 50 megawatt di energia alla rete statunitense.