La definizione di impresa energivora non presenta margini di incertezza. Infatti la normativa (D.LGS 102/14) stabilisce due condizioni per le quali le imprese possano definirsi come tali e accedere ai benefici previsti.
: a) abbiano utilizzato, per lo svolgimento della propria attività, almeno 2,4 gigawattora di energia elettrica oppure almeno 2,4 gigawattora di energia diversa dall’elettrica
b) il rapporto tra il costo effettivo del quantitativo complessivo dell’energia utilizzata per lo svolgimento della propria attività e il valore del fatturato, determinato ai sensi dell’art. 5, non sia risultato inferiore al 3%
Non stupisce, dunque, che le imprese energivore stiano pagando maggiormente lo scotto dell’attuale corsa dei prezzi dell’energia. Un problema non da poco, dal momento che queste realtà costituiscono la spina dorsale di numerosi settori fondamentali per l’economia nazionale. Ma quante sono esattamente queste imprese e su quali settori impattano maggiormente? A queste domande risponde la Relazione sulla situazione energetica nazionale pubblicata dal Mite, che contiene un apposito paragrafo dedicato a questo segmento. L’analisi (riferita al 2019) ci permette di comprendere che le imprese italiane energivore fossero 3.695 di cui 405 di grandi dimensioni, con più di 250 addetti, e 3.290 di medio-piccola dimensione, con addetti tra 0 e 249. Il valore aggiunto complessivo generato nel 2019 da tali imprese è stato pari a 38,1 miliardi di euro: quello generato dalle grandi imprese è risultato pari a 20,2 miliardi di euro, mentre quello generato dalle imprese di piccola e media dimensione è stato pari a 17,9 miliardi di euro. A ulteriore testimonianza, insomma, della centralità degli energivori nel contesto economico nazionale. I settori in cui operano queste imprese variano dall’industria cartaria alle acciaierie, passando per le industrie meccaniche e alimentari. L’analisi per settore di attività economica mostra che vi è una concentrazione di imprese energivore, in particolare, nei settori di attività economica “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” (20,4%), “Industrie alimentari” (12,4%), “Metallurgia” (10,6%) e “Fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (ceramica, cemento, vetro, ecc.) (9,3%)”.
Tessile e farmaceutico tra i settori energivori
In termini di valore aggiunto queste imprese hanno generato nel 2019 rispettivamente 5,2 miliardi di euro, 5,0 miliardi di euro, 3,5 miliardi di euro e 5,1 miliardi di euro, con un peso complessivo del 49% sul valore aggiunto delle imprese energivore. Gli altri settori che contribuiscono maggiormente alla creazione del valore aggiunto sono i settori della “Fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio e fabbricazione di prodotti chimici” che, insieme, generano un valore aggiunto pari a circa 3,8 miliardi di euro, l’“Industria del legno, della carta, editoria” e la “Fabbricazione di prodotti in metallo” con un valore aggiunto rispettivamente pari a 3,3 e 3,2 miliardi di euro. Ma si riscontrano molte imprese energivore anche in altri comparti che, erroneamente, sono associati a un minore consumo di energia: il settore delle “Industrie tessili, confezione di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e simili” presenta un peso significativo in termini di numerosità (8,4% sul totale delle imprese energivore), ha generato nel 2019 un valore aggiunto pari a circa 1,9 miliardi di euro. Un ammontare simile è stato generato dal settore della “Fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e di preparati farmaceutici”, pari a 1,8 miliardi di euro, seppure con la presenza di un numero inferiore di imprese (5,6%).