Il mercato dell’efficienza energetica nel settore industriale, dopo un 2020 da dimenticare, è alle prese con una ripartenza non semplice, che potrebbe essere spinta nel prossimo futuro soprattutto dal caro energia più che dal quadro normativo vigente (piuttosto deficitario). Questa la principale conclusione che arriva dal Digital Energy Efficiency Report 2022 redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano. I numeri relativi al 2021 segnalano che in Italia gli investimenti per l’efficienza energetica in ambito industriale hanno raggiunto un valore 2,2 miliardi di euro, quasi totalmente (90%) per tecnologie hardware e solo in minima parte per soluzioni digitali e software. Rispetto al 2020 la crescita è stata dell’8%, non sufficiente però a compensare la brusca caduta del 2020 (-19,6%) e a ritornare ai livelli del 2019, un anno che peraltro segnava già una frenata dopo il boom del biennio 2015-17).
Digitalizzazione ancora a rilento
Nonostante da tempo si parli dell’importanza del lato software dell’efficienza energetica (ovvero della sua digitalizzazione), nel 2021 la ripresa ha interessato soprattutto le tecnologie hardware (+8,4% di investimenti in totale). Tra queste, in particolare, a fare particolarmente bene è stata la tecnologia storica dell’efficientamento energetico industriale, ovvero la cogenerazione, che ha registrato un ottimo +21%. Le soluzioni digitali, invece, sono cresciute appena del 4% e quasi la metà degli investimenti (74 milioni di euro, pari al 47%) ha riguardato i sistemi di raccolta e monitoraggio dei dati energetici di processo. Una certa prudenza delle imprese sul versante Smart energy arriva anche dalla Survey delll’Energy & Strategy: solo il 29% del campione dichiara di aver realizzato investimenti in soluzioni digitali per l’efficienza energetica nel corso del 2021 (-9% rispetto al 2020), senza particolari differenze tra Pmi e Grandi Imprese. In cima alla classifica i software dedicati all’energia, in netto aumento rispetto al 2020, e la sensoristica di base. Nettamente più alta, invece, è la percentuale di aziende manifatturiere che nel 2021 ha investito in soluzioni hardware (64%). I dati energetici raccolti sul campo vengono sfruttati principalmente per efficientare i processi (96% dei casi) e ottimizzare gli impianti (78%), ma sempre più aziende stanno cercando di individuare opportunità di riduzione delle emissioni di CO2 attraverso l’impiego dei dati raccolti.
Qualche segnale positivo
A frenare l’avvio di progetti di efficientamento nel settore secondario ci sono gli eccessivi tempi di ritorno degli investimenti e all’incertezza del quadro normativo, ma nelle PMI si registra anche una mancanza di consapevolezza da parte del top management. Tuttavia, quasi il 90% delle imprese afferma che il rincaro dei prezzi dell’energia porterà a un incremento, nell’immediato o nel prossimo futuro, degli investimenti in efficienza energetica, soprattutto su tecnologie – illuminazione, inverter, motori elettrici, aria compressa – relative al processo produttivo. Un segnale positivo arriva anche dai conti delle ESCO: la maggioranza del campione (52%) dichiara un fatturato a fine 2021 accresciuto di oltre il 10% (anche l’Ebitda, nel 54% dei casi), a fronte di un 19% che ha subìto una diminuzione nei ricavi (il 14% di oltre il 20%). Come ha insomma riassunto Giuseppe Chindemi, Direttore Tecnico di Ecogena SPA, Responsabile Cogenerazione e Teleriscaldamento di Acea Produzione SPA, “Il mercato sta ripartendo, trainato principalmente da incremento dei prezzi energetici, che ha risvegliato la sensibilità delle aziende, nonostante le criticità sul fronte del quadro normativo e incentivi. In particolare le imprese energivore non possono permettersi questa situazione e perciò sono ulteriormente tornate a investire”.
I freni di carattere normativo
Il principale problema di carattere normativo appare legato ai Certificati Bianchi, ovvero lo storico sistema di incentivazione dell’efficienza energetica in ambito industriale: la riforma varata lo scorso 31 maggio 2021 non sembra avere aggiunto raggiunto i suoi obiettivi, considerato che nel 2021 il GSE ha riconosciuto complessivamente 1.120.672 CB, pari a un quinto di quelli emessi nel 2015 e molti meno anche rispetto al 2020 (-35%), che già erano diminuiti del 41% sul 2019. In particolare non appaiono diminuite le difficoltà che ne impediscono un utilizzo diffuso, soprattutto a causa del ridotto numero di titoli generati che crea uno squilibrio fra domanda e offerta. La richiesta che arriva dagli operatori è quella di un processo di semplificazione e standardizzazione dell’iter burocratico, in modo da incentivare le imprese a farne richiesta e conseguentemente incrementare l’offerta di mercato. In prospettiva, poco sostegno dovrebbe arrivare anche dal PNRR: secondo Federico Frattini, vicedirettore dell’Energy&Strategy e responsabile dell’Osservatorio DEER, l’efficienza energetica nel comparto industriale è la Cenerentola del Piano nazionale di ripresa e resilienza, dal momento che i fondi che le sono stati destinati sono decisamente esigui rispetto a quelli indirizzati ad altri settori (come quello civile), messi peggio sotto il profilo dell’efficientamento. Per una vera ripartenza di mercato, secondo il Politecnico, servirà dunque intervenire sulle policy governative, senza fare affidamento esclusiva sulla spinta legata all’incremento dei prezzi dell’energia. In questo caso, secondo lo scenario chiamato dal report Policy and market driven, si potrebbe generare un mercato da 3,7 miliardi di euro, che avvicinerebbe il settore industriale italiano, al 2030, all’obiettivo di riduzione del 40% contenuto nel PNIEC (non però a quello di -55% del pacchetto Fit for 55).