Le energie rinnovabili, quasi sempre, sono identificate con eolico, fotovoltaico e idroelettrico. Quando il focus si sposta sull’innovazione allora si finisce a parlare anche di idrogeno ed energia marina. Ma in realtà esiste anche una famiglia molto vasta di risorse rinnovabili che, sino a un decennio fa, veniva considerata strategica per la decarbonizzazione del settore energetico nazionale. Stiamo parlando delle biomasse: tra il 2008 e il 2011, in particolare, grazie all’esistenza di una incentivazione dedicata, nel nostro Paese furono realizzati numerosi impianti di produzione di energia elettrica da biomasse solide, ovvero essenzialmente residui e sottoprodotti provenienti dalle filiere del legno e dell’industria agroalimentare. Con la fine di quegli incentivi, questa crescita si è interrotta, tanto che ormai da un po’ di anni non vengono realizzati nuovi impianti di taglia medio-grande. I numeri attuali, perciò, sono più o meno quelli dieci anni fa: oggi il settore della produzione di energia elettrica da biomassa solida nel nostro Paese mette a disposizione della rete nazionale una potenza totale installata di circa 764 MW (GSE, dati 2017). A partire dal 2016 circa 20 operatori con 23 impianti di taglia superiore a 5 MW si sono raggruppati nell’associazione EBS, Associazione biomasse solide, con con l’obiettivo di tutelare la produzione di elettricità da biomasse solide favorendo lo studio e la ricerca relativa al settore e alle tecnologie collegate.
Recupero termico: il problema della lontananza dai centri urbani
Come conferma a Energyup il presidente Antonio Di Cosimo, le cause dello stallo di questa tipologia di impianti sono di natura normativa: “Il contributo al funzionamento di impianti come i nostri è andato via via decrescendo, sino ad arrivare ad un livello troppo basso per consentire la sussistenza economica nel caso di nuovi investimenti. Di fatto, la produzione elettrica del nostro comparto è rimasta invariata perché non sono stati realizzati nuovi impianti di media-grande taglia per i motivi precedentemente esposti. La produzione elettrica degli ultimi anni (2019/2020) è stata di oltre 3.000 GWh l’anno”. A spingere al ridimensionamento agli incentivi alle biomasse furono anche alcune perplessità mancate al mancato recupero di energia termica da parte di questi impianti. In realtà, come spiega Di Cosimo, “Tecnicamente il recupero termico è possibile e in alcuni casi, anche tra i soci di EBS viene realizzato, sebbene limitato ad usi interni. La vera difficoltà sta nel fatto che molti impianti, per esigenze legate al collegamento con la filiera di approvvigionamento, si trovano localizzati lontano da centri urbani che possano beneficiare, ad esempio, di una rete di teleriscaldamento”.
I benefici ambientali
Non vanno però trascurati i contributi positivi delle biomasse solide all’economia circolare, principalmente tramite la valorizzazione di sottoprodotti, con benefici ambientali, sociali ed economici per tutto il Paese, soprattutto per il contesto rurale, montano e delle aree interne. “Quest’aspetto rappresenta, e mi permetto di dire senza tema di poter essere contraddetti, forse il maggior punto di forza del nostro comparto. Il nostro contributo all’economia circolare di interi settori agricoli, forestali e agroalimentari vede nella valorizzazione energetica delle biomasse provenienti da tali comparti l’ultimo anello delle relative filiere: per esse, per la loro sostenibilità, noi siamo spesso di vitale importanza. Nessun’altra fonte rinnovabile può poi vantare un indotto così importante e ricadute economiche, soprattutto su realtà locali e nazionali, come il nostro”.
I rischi della fine degli incentivi
Ma quali sono le prospettive future? A preoccupare l’associazione è soprattutto la scadenza degli incentivi ventennali (certificati verdi) che arriverà – a meno di proroghe – nei prossimi anni (già dal 2023), colpendo i quasi 800 MW di impianti oggi in funzione. Che potrebbero trovarsi nelle condizioni di non poter competere sul mercato. Con ripercussioni anche sugli obiettivi nazionali al 2030 in materia di rinnovabili: il mancato rinnovo degli incentivi significherebbe infatti sottrarre la quota delle biomasse già conteggiata per il raggiungimento degli obiettivi del PNIEC. Il rischio riguarda anche la perdita di 5 mila posti di lavoro e conseguenti costi per cassa integrazione. La biomassa, insomma, rischia di essere il fanalino di coda nel mondo delle rinnovabili elettriche? “Non rientra tra gli scopi dell’Associazione portare avanti confronti con le altre fonti rinnovabili, riconoscendo pari importanza e dignità a tutti i contributi che il mercato oggi mette a disposizione per il raggiungimento di un obiettivo comune. Al contrario, ciò che forse manca, è un equo confronto tra realtà diverse, dando il giusto peso a tutte le caratteristiche che le contraddistinguono. Un esempio tra tutti: gli impianti a “biomassa” sono l’unica tipologia di produzione di energia rinnovabile che consente una reale programmazione e stabilità dei quantitativi di energia immessa, ora per ora, in rete, con benefici evidenti anche a chi non è esperto del settore”, conclude Di Cosimo.