Strategie

Green Deal: le strategie europee e nazionali che cambiano il mondo dell’energia

Europa e Italia, nei prossimi decenni, saranno interessate da un grande cambiamento delle proprie modalità di utilizzo e produzione dell’energia, così da contrastare inquinamento e climate change

Pubblicato il 31 Mar 2020

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La parola chiave per spiegare le strategie nazionali ed europee in materia di energia e ambiente è senza dubbio quella di Green Deal: una parola che, volutamente, richiama alla mente il New Deal dei tempi di Roosvelt che consentì agli Usa negli anni Trenta di superare la Grande Depressione. Questa volta, invece, il principale nemico da sconfiggere è l’inquinamento atmosferico causato dall’attività umana, che a sua volta è ritenuto capace di produrre effetti catastrofici per l’intera economia e società nel lungo termine. Secondo le stime della Commissione Ue, infatti, l’attuale livello di inquinanti nell’atmosfera è causa di 400 000 morti premature all’anno in Europa, a cui vanno sommati 90 000 decessi annui a causa delle ondate di caldo. Sempre per effetto del climate change, la Ue stima il 40 % in meno di acqua disponibile nelle regioni dell’Europa meridionale; allo stesso tempo mezzo milione di persone saranno esposte alle inondazioni fluviali ogni anno. Non solo, le conseguenze sono importanti dal punto di vista della biodiversità: il 16 % delle specie sono a rischio di estinzione in caso di un aumento della temperatura oltre i 4 gradi. Per l’economia continentale è stimato un danno di 190 miliardi di euro l’anno in caso di aumento di 3 ℃ della temperatura media mondiale. Partendo dal presupposto che, quanto più aspettiamo, tanto più difficile sarà conseguire gli obiettivi di abbassamento delle temperature e tanto più costosi diventeranno gli interventi necessari, l’Unione Europea ha deciso – per volontà della nuova commissione presieduta da Ursula von der Leyen – di varare l’European Green deal, un ambizioso e trasversale pacchetto di misure, finalizzate a far diventare l’Ue il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050. Ovviamente non si tratta del primo provvedimento dell’Unione europea a sostegno della trasformazione energetica e ambientale: tra il 1990 e il 2018 l’Unione europea ha diminuito del 23% le emissioni di gas serra, quando, nello stesso intervallo temporale, l’economia è cresciuta di 61 punti percentuali (fonte I-Com). Il merito di questa prima trasformazione è stato soprattutto del Piano 20-20-20, che ha favorito la diffusione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. Successivamente è stata organizzata una strategia al 2030, con un obiettivo riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990. Una strategia che è stata recentemente recepita pienamente dall’Italia con il suo PNIEC (Piano integrato per l’energia e il clima) lo scorso gennaio, di cui parleremo più avanti.

Gli obiettivi dell’European Green Deal

Ma concentriamoci nuovamente sull’Europea Green Dean Deal che, come detto, punta a fare dell’Europa il primo continente “climate neutral” (entro il 2050). L’obiettivo, a dir poco ambizioso, è quello di azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050. Ovviamente, per raggiungere questo target sarà fondamentale arrivare a una decarbonizzazione del settore energetico europeo: oggi, infatti, la produzione e l’utilizzo di energia sono responsabili di circa il 75% delle emissioni di gas a effetto serra di tutto il Continente. Diventa quindi fondamentale spingere ulteriormente per le fonti rinnovabili che, al 2050, dovranno rappresentare la quasi totalità della generazione energetica del Vecchio Continente: importante sarà dunque lavorare e investire per operare una integrazione intelligente delle rinnovabili, a partire dalle reti di trasmissione di nuova generazione (smart grid). Ovviamente sarà necessario lavorare anche in direzione dell’efficienza energetica, nonché per aumentare la diffusione di combustibili alternativi sostenibili per il settore dei trasporti. Sempre nell’ottica della decarbonizzazione è prevista l’estensione del sistema ETS (Emission Trading Scheme, ovvero il sistema in vigore nell’industria pensato per assegnare un valore alle emissioni prodotte) al settore marittimo, ai trasporti e alle costruzioni, compresa una riduzione delle quote gratuite assegnate alle compagnie aeree.

Un altro nodo fondamentale nell’ottica del Green deal Europeo è la trasformazione in senso circolare dell’economia e dell’industria europea, fondata dunque sul riciclo e sul recupero delle risorse. Nei prossimi anni sarà presentato un Piano d’azione per l’economia circolare, che comprenderà misure volte a incoraggiare le imprese a offrire, e a consentire ai consumatori di scegliere, prodotti riutilizzabili, durevoli e riparabili. Nella Ue potranno essere adottati requisiti giuridicamente vincolanti per dare impulso al mercato delle materie prime secondarie con contenuto riciclato obbligatorio (ad esempio, per gli imballaggi, i veicoli, i materiali da costruzione e le batterie).

È poi considerata essenziale la decarbonizzazione e modernizzazione delle industrie ad alta intensità energetica, come quelle dell’acciaio, dei prodotti chimici e del cemento. Le tecnologie digitali sono un fattore fondamentale per conseguire gli obiettivi di sostenibilità del Green Deal in molti settori diversi. Un altro punto cruciale è la digitalizzazione: nel Green Deal è espressamente previsto che la Commissione esaminerà misure finalizzate a garantire che le tecnologie digitali, quali l’intelligenza artificiale, il G5, il cloud e l’edge computing e l’Internet delle cose possano accelerare e massimizzare l’impatto delle politiche per affrontare i cambiamenti climatici e proteggere l’ambiente. Ovviamente, il Green Deal europeo servirà anche da riferimento per le specifiche legislazioni nazionali: l’aspettativa, in particolare, è che possa servire a stimolare l’adozione di riforme fiscali su larga scala che aboliscano le sovvenzioni ai combustibili fossili, allentino la pressione fiscale sul lavoro per trasferirla sull’inquinamento e tengano conto degli aspetti sociali.

La leva economica del Green Deal

La grande domanda è, ovviamente: in che modo, ovvero con quali risorse l’Unione europea riuscirà a raggiungere gli ambiziosi obiettivi al 2050 stabiliti dal Green Deal? Lo strumento principe è il “Sustainable Europe Investment Plan” che prevede di mobilitare, tramite il budget dell’UE e altri strumenti associati ad esso, almeno 1.000 miliardi di euro in investimenti sostenibili, sia pubblici che privati, nell’arco dei prossimi 10 anni. Una cifra che appare imponente ma che, secondo la stessa Commissione europea, in realtà rappresenta soltanto un terzo di ciò che sarebbe necessario per conseguire l’obiettivo delle neutralità climatica. Un punto critico, come ha messo in evidenza una ricerca dell’Università Cattolica, è che tutte queste non sono risorse stanziate ex novo, ma sono essenzialmente delle riconversioni di fondi preesistenti a cui viene data una finalizzazione “verde”. In particolare verrebbero reindirizzati agli obiettivi del Green Deal il 30 per cento dei Fondi di Coesione e del Fondo di Sviluppo Regionale, il 40 per cento della PAC (Politica Agricola Comune), il 60 per cento dei fondi per le infrastrutture (il cosiddetto Connecting Europe).

Il PNIEC italiano

Il Winter package o Clean energy package – fissa il quadro regolatorio della governance dell’Unione per l’energia e il clima funzionale al raggiungimento dei nuovi obiettivi europei al 2030 in materia e al percorso di decarbonizzazione (economia a basse emissioni di carbonio) entro il 2050. I target principali a livello europeo sono relativi al 32% di penetrazione delle fonti rinnovabili nei consumi di energia, al raggiungimento di un livello di efficienza energetica di almeno il 32.5% e a una riduzione del 40% delle emissioni di gas serra rispetto a quelle del 1990. In ottemperanza al Winter Package, ogni governo europeo, compreso quello italiano, ha dovuto mettere a punto un Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), in cui vengono illustrati obiettivi e strategie per il 2030.

In estrema sintesi, i principali obiettivi del PNIEC italiano sono:
1) una percentuale di energia da fonti rinnovabili nei Consumi Finali Lordi di energia pari al 30%, in linea con gli obiettivi previsti per il nostro Paese dalla UE; il punto di partenza è un livello di penetrazione FER al 2017 del 18% che dovrebbe diventare del 19% entro il 2020.
2) Il maggiore sforzo per il raggiungimento del livello di rinnovabili continua a essere richiesto al settore elettrico, in cui si dovrebbe raggiungere il 55% nel 2030 con una traiettoria che accelera notevolmente dopo il 2025 pur a fronte di una domanda sostanzialmente stabile. Il punto di partenza nel 2020 dovrebbe attestarsi attorno al 36%
3) la riduzione dei “gas serra”, rispetto al 2005, per tutti i settori non ETS del 33%, obiettivo superiore del 3% rispetto a quello previsto dall’UE.
4) una riduzione dei consumi di energia primaria rispetto allo scenario PRIMES 2007 del 43% a fronte di un obiettivo UE del 32,5%;
5) Una riduzione del 56% delle emissioni nel settore della “grande industria”
6) Una riduzione delle emissioni del 34,6% nel terziario, trasporti terrestri e civile
7) Una quota di energia da FER nei Consumi Finali Lordi di energia nei trasporti del 22% a fronte del 14% previsto dalla UE;
8) Al 2030 il PNIEC prevede una diffusione complessiva di quasi 6 milioni di veicoli ad alimentazione elettrica, di cui circa 4 milioni di veicoli elettrici puri (BEV)
9) L’obiettivo di efficienza energetica, pari ad una riduzione di almeno il 32.5% al 2030 rispetto agli scenari tendenziali tracciati nel 2007, si somma al target obbligatorio di risparmio di consumi di energia finale pari a un minimo dello 0.8% annuo per il periodo 2021-2030, valido parimenti per ogni Stato membro.
10) Eliminazione definitiva (entro il 2025) delle centrali elettriche alimentate a carbone

Da notare che, dal momento che il Green Deal è stato adottato successivamente al Winter energy Package (di fine 2018), appare molto probabile che nei prossimi anni i PNIEC appena adottati dagli Stati membri – compreso quello italiani dovranno prevedibilmente essere rivisti al fine di adattare le rispettive strategie ai nuovi target, più ambiziosi rispetto a quelli fissati nel 2018.

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Gianluigi Torchiani

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