Le microplastiche secondarie, ovvero i frammenti di plastica di dimensioni inferiori ai 5 mm che derivano dall’utilizzo e dall’abbandono di oggetti come buste o bottiglie di plastica, rappresentano, secondo i dati diffusi dal Parlamento Ue, circa il 68 – 81% delle microplastiche presenti negli oceani. Nel 2017 l’ONU ha dichiarato la presenza di 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari della Terra: “500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia”.
In tutto il mondo, i mari sono stati descritti come una delle aree più inquinate da micro e macroplastiche. Di conseguenza il trattamento e la gestione del ciclo di vita dei materiali plastici si sono trasformati in un problema enorme la cui mancanza di soluzione minaccia la biodiversità marina e la sopravvivenza di moltissime specie ittiche. Senza considerare che ancora non si conoscono con esattezza i pericoli per l’uomo derivanti dall’ingresso di questi minuscoli frammenti di plastica nella catena alimentare.
Marco Caniato, ricercatore e docente della Facoltà di Scienze e Tecnologie (gruppo di ricerca del prof. Andrea Gasparella) dell’Università di Bolzano, ha trovato una possibile soluzione al problema. Lo scienziato ha infatti inventato e brevettato un prodotto che si è rivelato estremamente promettente nella battaglia contro la dispersione ambientale delle microplastiche: un biopolimero che si è dimostrato estremamente efficace come isolante termico e acustico per applicazioni industriali, civili e marittime.
Un processo di lavorazione eco-compatibile che ricicla anche l’acqua
Per crearlo, in collaborazione con l’Università di Trieste, il ricercatore ha impiegato un estratto dell’alga agar agar, un polisaccaride normalmente usato come gelificante naturale della consistenza di un gel che, dopo essere stato addizionato con carbonato di calcio, può essere mescolato alla plastica polverizzata. Come materiali rappresentativi delle microplastiche che più comunemente si trovano in ambiente marino, sono state utilizzate materie plastiche derivate dai rifiuti industriali e domestici (polietilene, bottiglie di tereftalato, polistirolo espanso e schiumato). Dopo la gelificazione, i campioni vengono congelati a -20 °C per 12 ore e infine liofilizzati per rimuovere l’acqua. Il risultato finale è un materiale poroso che può essere utilizzato, ad esempio, al posto della lana di roccia.
Ma non è solo il prodotto ad essere eco-compatibile. Il processo di realizzazione prevede infatti il riciclo dell’acqua che viene raccolta al termine della liofilizzazione, dopo lo scongelamento.
In precedenza altri scienziati avevano scovato metodi innovativi di riutilizzo dei rifiuti. Per esempio, la polvere di vetro era stata usata come riempitivo per il calcestruzzo. Altri avevano proposto di usare i rifiuti plastici come riempitivi per le miscele di asfalto. Ma nessuno prima d’ora aveva pensato a come riciclare le plastiche che galleggiano sulle superfici dei nostri mari. Infatti è piuttosto difficile riciclare i rifiuti marini di plastica in tale modo, perché sono spesso accoppiati con altri materiali plastici (o non plastici) e ricoperti di sale marino.
“Le prove di caratterizzazione che abbiamo condotto hanno confermato che il prodotto possiede ottime proprietà isolanti e che può facilmente competere con gli isolanti tradizionali come la lana di roccia o le schiume poliuretaniche – afferma Caniato -. Abbiamo dimostrato che un approccio sostenibile, più pulito ed ecologico, può essere usato per riciclare i rifiuti marini e per costruire con un materiale ecologicamente ed economicamente conveniente”.