Per raggiungere gli obiettivi “Net Zero” fissati al 2025 un ruolo di primo piano sarà giocato anche dalle tecnologie “CCUS”, acronimo che sta per “Carbon Capture, Utilization and Storage”. A studiarle ci sono anche una serie di startup, alcune delle quali sviluppano le soluzioni utili a immagazzinare l’anidride carbonica nei mari e replicare i processi naturali, dal momento che già oggi gli oceani assorbono una percentuale compresa tra il 25 e il 30% della Co2 immessa in atmosfera. Il principio su cui si basano è la cattura e lo stoccaggio in acqua o in altri serbatoi naturali, impedendo così che le emissioni possano liberarsi nell’aria e inquinare.
Come stoccare o utilizzare la CO2 catturata
Il principio è quello di catturare la CO2 direttamente dalle industrie che la generano, comprimerla e trasportarla per essere o iniettata in formazioni geologiche profonde come serbatoi di petrolio e gas esauriti o acquiferi salini, o per utilizzarla ad esempio nella produzione di carburanti sintetici come il metanolo o il diesel sintetico, il cemento, i polimeri per la plastica o i materiali da costruzione, l’ agricoltura, l’industria alimentare, o i prodotti chimici.
Al giorno d’oggi sono attivi circa 500 progetti in varie fasi di sviluppo lungo tutta la catena del valore della CCUS e sono in funzione circa 40 impianti in tutto il mondo, per una capacità annua complessiva di oltre 45 Mt CO2. Ma già se si prende come orizzonte il 2030 entreranno in funzione più di 50 nuovi impianti di cattura, che rappresentano ancora soltanto un terzo di quelli necessari per dare il contributo previsto allo scenario net zero.
Il ruolo delle startup
A raccogliere la sfida della CCUS e dello stoccaggio in mare della CO2 sono state diverse startup in ogni parte del mondo, impegnate nel contempo a fare in modo di non nuocere alla vita sottomarina, riducendo al minimo l’acidificazione dell’acqua attraverso metodi come l’enhanced weathering, l’ocean alkalinity enhancement e l’electrochemical ocean CO2 capture. Le prime due si basano sull’introduzione di rocce alcaline finemente tritate nell’oceano al fine di aumentare la sua capacità tampone di assorbire l’anidride carbonica, mentre la terza mette in atto tecniche di separazione acido-base e rimozione elettrochimica della CO2.
Le cinque startup più promettenti
Se la maggior parte delle startup attive in questo settore ha sede negli Stati Uniti e in Canada, tra le eccellenze ce n’è anche una italiana: si tratta di Limenet, che si focalizza sulla cattura della CO2 e sullo stoccaggio permanente sottoforma di bicarbonati di calcio, attraverso l’ocean alkalinity enhancement con ph equilibrato. Si tratta di un sistema che si basa sull’industrializzazione monitorata del ciclo geologico del carbonio. Inverte il processo di acidificazione dell’oceano, trasformando la CO2 in bicarbonato di calcio con un controllo del pH, riducendo così la CO2 nell’atmosfera e contribuendo alla salvaguardia degli oceani.
In Canada è nata nel 2019 Planetary, che è impegnata ad aumentare l’alcalinità dell’oceano tramite introduzione di idrossido di magnesio, che aumenta la capacità di cattura di CO2 dell’oceano a fronte però di un aumento del pH localizzato. Sempre in Canada nasce nel 2022 CarbonRun che a partire dalla dissoluzione di rocce alcaline, quali carbonato di calcio e dolomite, direttamente all’interno di fiumi danneggiati da piogge acide o inquinamento. In questo modo si cattura il carbonio terrestre rilasciato dal terreno nei fiumi e il carbonio atmosferico presente nell’aria. Ma Il processo di dissoluzione può richiedere molto tempo e non è controllato una volta che il rilascio dei carbonati è avvenuto.
Passando agli Stati Uniti, Ebb carbon, nata nel 2021, conta sul processo proprietario di separazione delle parti acide e basiche presenti all’interno dell’acqua oceanica tramite l’uso di membrane iono-selettive, mentre Equatic, nata tre anni prima, sviluppa un sistema di riduzione della CO2 basato sull’elettrolisi dell’acqua di mare.