Già con l’avvento dei social media, il rapporto tra gli esseri umani e la socialità ha subito una metamorfosi: le persone hanno iniziato a vivere gran parte della propria quotidianità online, compreso il proprio ecosistema di relazioni. La pandemia che ha preso piede da più di un anno in tutto il mondo ha agito da acceleratore su questo processo già in atto, con l’obbligo assoluto del distanziamento sociale. Ad esserne investita anche la moda, uno strumento essenziale nella relazione tra il sé e la società: vista la scarsità delle occasioni per esprimersi attraverso l’abbigliamento nella vita reale, ci si ripiega sui mezzi virtuali.
Ed ecco che nascono nuove possibilità di spendere del denaro vero per look da indossare e poi condividere solo nella dimensione digitale e per poi decidere magari, e solo in un secondo momento, di avere nell’armadio anche la loro versione tangibile. Un atteggiamento che accoglie e soddisfa l’incrementata sensibilità nei confronti di una moda sostenibile che non spreca eccessive risorse e inquina meno l’ambiente. Infatti, è proprio nel digitale che i brand stanno iniziando ad individuare non solo una modalità innovativa per raccontarsi e incontrare i principi delle nuove generazioni interconnesse, ma anche per ridurre l’impatto ambientale grazie all’eliminazione del campionario e di produzioni eccessive.
La moda digitale entra nei videogames per intercettare la Gen Z e ridurre il consumo di risorse
Da un anno a questa parte la dimensione virtuale si è trasformata in un vero e proprio strumento di sopravvivenza. Raggiungere un pubblico più ampio, giovane e connesso infatti, soprattutto per il fashion system, non è mai stato di importanza così vitale, visto il duro colpo subito a causa della situazione sanitaria a livello globale: mentre il mondo tangibile è stato costretto a fermarsi quello parallelo a cui accedere via app o desktop ha continuato ad espandere il suo dominio e costruire valore, a partire dai videogiochi. Le piattaforme di gaming sono diventate estremamente appetibili da parte dei brand di moda: non solo in termini comunicativi e di storytelling, ma anche di influenza sul mercato.
Nonostante il business dei videogiochi sia esiguo rispetto al mercato dell’abbigliamento, l’industria del gaming è senza dubbio uno dei settori più forti e in crescita di questo momento storico: con un incremento del giro d’affari del 24.8%, il settore videoludico nel Bel paese ha fatto registrare una performance da 2 miliardi e 179 milioni di euro nel 2020. Un trend estremamente positivo registrato da IIDEA, associazione di categoria per l’industria videoludica del nostro territorio che conferma l’importanza di quest’industria in un momento storico in cui i videogames possono rappresentare un mezzo per ridurre le distanze e sentirsi felici.
Dal vestire i propri avatar con ciò che loro stessi indosserebbero o vorrebbero sfoggiare, alla sperimentazione dei propri videogiochi esclusivi, alla presentazione stessa delle collezioni moda in modalità gaming, i brand possono offrire un’esperienza unica che entri in relazione con i valori, gli ideali e le modalità di intrattenimento dei giovani. Inoltre, il medium digitale è sempre più appetibile sia per campionare i capi e condividere le proprie idee con team internazionali, evitando viaggi superflui, che per rendere più veloce il tempo di produzione e arrivo sul mercato.
Quando fibre naturali e capi digitali si uniscono per ridurre il textile waste
Le nuove tecnologie di progettazione, tra cui quella 3D – già usata, tra gli altri, da Tommy Hilfiger e Levi’s – sono portate avanti in maniera innovativa anche dai nuovi designer, con un’ulteriore attenzione alle implicazioni sostenibili di questo processo che possono aiutare a ridurre il Textile waste. Tra coloro che stanno apportando grande valore all’industria in questo senso, troviamo Auroboros, duo di designer formato da Paula Sello e Alissa Aulbekova.
Il brand è stato lanciato con il supporto della Sarabande Foundation di Alexander McQueen nel 2020, e il suo approccio vede da una parte l’ispirazione «naturale», sia nell’estetica che nei materiali, con la futuristica Biomimicry, una concezione 100% organica che vede i capi d’abbigliamento cambiare nel tempo, per via del processo di ossidazione. Dall’altra, una progettazione della moda digitale all’avanguardia, che permette al futuro cliente di provare i capi come se li avesse addosso, immergendosi nell’universo del brand, ed evitare sprechi nella produzione. Passando al digitale, l’industria della moda ha la possibilità di adottare un processo di progettazione e produzione molto diverso, dall’inizio alla fine.
All’inizio dell’anno inoltre, il duo ha debuttato con la collezione di prêt-à-porter digitale in partnership con DREST (nella gallery i modelli virtuali indossati da persone reali) diventando il primo brand digitale ad essere lanciato sull’app senza una controparte di capi d’abbigliamento reali, come fatto in passato da Gucci e Prada. La cyber couture offre numerose potenzialità per produrre, creare e sperimentare la moda in modo sostenibile.