Siccità e piogge intense, acidificazione degli oceani e perdita della biodiversità, rapido scioglimento dei ghiacciai. Sono solo alcune delle espressioni degli effetti dei cambiamenti climatici, che stanno cambiando la fisionomia del nostro Pianeta. Già nel 2015, alla COP21 di Parigi, 195 Paesi di tutto il mondo hanno fissato l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi e avviare così la strada verso la carbon neutrality.
Per raggiungere questo traguardo, diversi sono gli stati che si sono impegnati a ridurre – fino ad azzerare – le proprie emissioni di gas a effetto serra, sostanze all’origine dell’omonomo effetto, tra cui l’anidride carbonica e il metano. Con il Green Deal europeo, il piano per raggiungere le emissioni nette zero in tutta l’Unione Europea, la Commissione Europea è diventata portavoce di un’ambiziosa politica climatica: ha stabilito che entro il 2050 l’Europa sarà il primo continente che riuscirà ad eliminare dall’atmosfera almeno tanta CO2 quanta ne produce.
Un obiettivo ormai vincolante, con l’adozione della legge UE sul clima e il target intermedio di riduzione delle emissioni 55% entro il 2030, sempre più concreto con il nuovo Green Deal Industrial Plan, che accompagnerà una delle più grandi trasformazioni di tutti i tempi: la crescita di un’industria europea attenta all’adozione di tecnologie a ridotto impatto ambientale e all’efficientamento delle proprie attività.
Carbon neutrality, misurare per contenere il proprio impatto ambientale
Oggi più di ieri le imprese sono spinte ad adottare strategie di abbattimento della propria impronta carbonica per arrivare alla carbon neutrality. A stimolare l’adozione di pratiche corrette, tecnologie all’avanguardia e, in ultimo, giuste strategie di compensazione, anche la start up innovativa e società benefit dedicata all’economia circolare, Circularity, che offre (tra gli altri) servizi di consulenza mirati grazie al suo team di professionisti comprovati: ingegneri, scienziati ambientali, chimici, esperti di CSR.
“Il nostro obiettivo è promuovere una nuova tipologia di impresa in grado di coniugare il profitto economico con la salvaguardia dell’ambiente e della società in cui opera”, spiega Camilla Colucci, Co-Founder e CEO della start up. “La nostra consulenza prevede, innanzitutto, la misurazione dei gas climalteranti emessi dall’azienda. Per questo, supportiamo le imprese nella raccolta dei dati di specifiche fonti emissive”. Alla base di questo lavoro, alcuni standard internazionali ormai largamente diffusi: la norma ISO 14064, che illustra come rendicontare gli inventari di GHG di un’organizzazione e sviluppare progetti per la riduzione delle emissioni e per la verifica e valutazione degli impatti positivi ottenuti. E, soprattutto, il Greenhouse Gas Protocol o GHG Protocol, che dalla fine degli anni ’90 aiuta a contabilizzare i gas serra fornendo strumenti e metodologie di calcolo per misurare e quantificare le proprie emissioni di gas climalteranti.
“Per fare un esempio, nel caso di un’azienda italiana con più stabilimenti, questi standard internazionali orientano la misurazione delle diverse fonti emissive, così da avere un quadro esaustivo e completo dell’impatto ambientale dell’azienda stessa”, aggiunge Colucci. Seguendo la distinzione fissata dal GHG Protocol tra le emissioni di tipo diretto generato dall’azienda, le Scope1, e quelle indirette, le Scope2 quando dipendenti dall’energia consumata e le Scope3 quando generate lungo la catena del valore, “le aziende possono scegliere quali di queste provare a ridurre, un aspetto di rilievo”.
“Spesso le imprese più piccole e medie, largamente diffuse in Italia, si concentrano sulle emissioni Scope1 e Scope2 e capita che si dichiarino carbon neutral senza considerare le Scope3”. Questo perché si tratta di una tipologia di emissioni “difficili” da abbattere, in quanto spesso non considerate perché a monte e a valle della catena del valore, oltre che costose da azzerare.
“Ecco spiegati anche gli scandali legati a grandi marchi della moda che dichiarano un impatto ambientale troppo basso perché non considerano quello legato al trasporto delle merci”, precisa Colucci. Di contro, “possiamo portare l’esempio di un “capo filiera” virtuoso: un’azienda di imbottigliamento, uno dei principali fornitori di Coca Cola in Italia, che chiede ai propri partner di misurare e certificare le proprie emissioni secondo standard internazionali. È il secondo anno che aggiorniamo il loro piano”.
Carbon neutrality, le iniziative che lastricano la strada della neutralità carbonica
Terminata la misurazione delle fonti emissive, “il gruppo di esperti redige un carbon management plan composto da una serie di azioni specifiche per ridurre, ove possibile, le emissioni dell’azienda”. Il piano prevede, in primo luogo, interventi diretti in azienda per stimolare l’efficientamento energetico, e poi quelli diretti fuori dall’azienda, come l’installazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia rinnovabile. Infine, come interventi indiretti e complementari, ricadono quelli di compensazione e, tra tutti, la riforestazione.
Un lavoro in continuo aggiornamento: “Nel corso degli anni proponiamo alle aziende di aggiornare il proprio report ambientale”, ad esempio nel caso di una nuova acquisizione. Ciò consente di verificare un eventuale miglioramento – o peggioramento – e, di conseguenza, porre nuovi obiettivi di crescita.
Carbon neutrality, il futuro delle imprese è sempre più sostenibile
“Questo percorso può essere certificato da un ente terzo e creare nuovo valore e competitività per l’impresa, perché può essere speso sul mercato e aggiungere credibilità e trasparenza”, aggiunge Colucci. Il periodo è, dunque, fertile: “Se da un lato è cresciuta la sensibilità su tematiche che prima erano estremamente di nicchia, i cambiamenti climatici e la sostenibilità, dall’altro non si vuole cadere nell’effetto greenwashing”. Le imprese sono molto più stimolate: “Il consumatore ha cambiato approccio d’acquisto, il mercato va nella direzione della sostenibilità e la finanza si tinge di verde, convogliando nuove risorse verso progetti a ridotto impatto ambientale”.
Un’attività volontaria che risulta strategica oltre che per il business anche per il territorio e la comunità, soprattutto in questo momento storico fortemente segnato dai rialzi dei prezzi dell’energia e dagli effetti dei cambiamenti climatici. “Uno dei nostri clienti più fedeli, Sibeg ha ridotto del 78% le sue emissioni tra il 2016 e il 2022 grazie a un percorso virtuoso che ha previsto l’installazione di un impianto fotovoltaico, l’adozione delle più moderne tecnologie di recupero di calore e la conversione della flotta in elettrica e ibrida”. A pieno vantaggio della circolarità dell’impresa e del recupero dei materiali di scarto.