Vale di più il senso e la missione di una organizzazione, la sua finalità e i suoi obiettivi o la sua capacità di adempiere, con il massimo rigore possibile, alle regole definite dalle “normative”? Conta di più “cosa si fa” o “come lo si fa“? Se si potesse rispondere “liberamente” si dovrebbe assumere che queste due dimensioni sono assolutamente importanti, conta evidentemente la missione di una organizzazione e conta il modo con cui mette in atto tutte le azioni possibili per raggiungere gli obiettivi che “danno un senso” a quella missione. Il rischio dell’ESG e una delle critiche che da tempo la accompagnano riguarda il fatto che i rating Environmental Sociale e Governance tendono ad attribuire una maggiore importanza al rispetto di parametri e di regole piuttosto che alla finalità ultima di una organizzazione.
Questa posizione critica nei confronti dell’ESG non è nuova. Paradossalmente ha unito, in tempi e modalità diverse, critiche di diversa estrazione: da una parte chi ritiene l’ESG troppo “superficiale” nelle sue valutazioni e dall’altra chi invece accusa l’ESG di un eccessivo rigore.
Attenzione a non pensare che l’ESG sia solo “E”
Questo “dilemma” in merito al ruolo dell’ESG è tornato prepotentemente al centro dell’attenzione con l’accusa che è arrivata da Elon Musk dopo che con la riammissione di Tesla nel rating S&P 500 ESG Index il punteggio del produttore di vetture elettriche è risultato inferiore rispetto ad aziende impegnate in settori ad alta criticità ambientale o sociale, come imprese petrolifere o produttori di tabacco.
Per comprendere meglio questa situazione occorre fare un passo indietro. Il 19 maggio 2022 Tesla è stata esclusa da uno dei principali indici di mercato: l’S&P 500 ESG Index. Questo articolo de L’Economia per tutti – Banca d’Italia per la cultura finanziaria spiega molto bene le ragioni di quella esclusione.
In estrema sintesi si è trattato di una valutazione in base alla quale è assolutamente evidente che ESG non significa “solo” attenzione all’ambiente e alla “E” ma pesano in modo estremamente importante anche altri fattori legati all’ambiente di lavoro, alle pratiche di disclosure e di governance. Un altro aspetto da evidenziare con estrema attenzione riguarda il fatto che ad oggi l’ESG non è una “scienza” propriamente condivisa. Le metodologie disponibili per l’elaborazione dei rating sono ancora numerose e caratterizzate da impostazioni dissimi, al punto che una azienda può essere valutata in modo anche molto diverso in funzione delle metodiche adottate dalle diverse agenzie di rating. Un aspetto questo che presenta un impatto molto importante e delicato a livello di confrontabilità dei risultati e di capacità o possibilità di definire un valore assoluto per ciascuna azienda.
Quanto pesa la valutazione relativa alla missione di una azienda
In questo contesto la riammissione di Tesla nell’S&P 500 ESG Index ha messo in evidenza alcune dimensioni di questo dilemma. Il punteggio del produttore di vetture elettriche è risultato appunto inferiore a quello di aziende petrolifere o di aziende produttrici di tabacco. E questo in definitiva è il vero punto chiave: la valutazione relativa alla missione di una azienda in relazione ai temi ESG e la valutazione di come vengono gestite le attività correnti.
La missione di Tesla (come recita il sito della società) è molto chiaro: “Accelerating the World’s Transition to Sustainable Energy”, ovvero, parliamo di una impresa nata per contribuire alla creazione di condizioni per la diffusione di energia sostenibile a partire dalla generazione di energie rinnovabili, per proseguire con tecnologie di accumulo, per arrivare a vetture per la mobilità elettrica.
Il mondo automotive può discutere del valore e delle prospettive di una visione di mobilità come quella proposta da Tesla, ma è ragionevole considerare che le tre grandi dimensioni in cui si concretizza la missione di questa azienda siano coerenti con una visione della trasformazione sostenibile nella quale rientra la capacità di soddisfare a bisogni di mobilità con modalità assimilabili a quelle attuali. Certamente non è da considerare come la sola visione possibile e certamente pone una serie di criticità legate alla produzione, all’accesso alle materie prime, alla circolarità dei prodotti una volta che hanno esaurito il loro potenziale. Tutti punti che non sono ad oggi completamente definiti e chiariti, ma che vanno comunque nella direzione di una trasformazione sostenibile. Altre imprese sono caratterizzate da una missione che non va esattamente in questa direzione.
Il punto, dunque, da rilevare in una lettura “etica” dell’ESG, riguarda il fatto che alla “E” in modo particolare, ma anche alla “S” e alla “G” dovrebbe essere garantito un peso o un valore in relazione alla missione aziendale. Senza nulla togliere a imprese che da decine di decenni sono impegnate nell’estrazione e produzione di combustibili fossili o nella produzione di tabacco e garantendo la massima attenzione al fatto che queste stesse aziende si stiamo impegnando per svolgere le loro attività nel miglior modo possibile in termini di attenzione all’ambiente, alle condizioni di lavoro e all’etica di governo aziendale, resta un principio di fondo legato al valore da attribuire alla missione delle imprese. In particolare se si tratta di una missione trasformativa.
Cosa dicono i rating di Tesla e Philip Morris
Con il rientro nell’S&P ESG 500 Index una società come Tesla si è vista attribuire un rating pari a 37 su 100, ovvero un valore inferiore a quello di una compagnia petrolifera come Shell il cui valore era pari a 41. Il dato che forse pone maggiori perplessità riguarda il confronto con compagnie produttrici di tabacco come Philip Morris International che è arrivata a ottenere un rating decisamente molto superiore e pari a 84 mentre British American Tobacco è arrivata a 88.
Grassadonia: attenzione a come si gestiscono i “meccanismi” dei rating
Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant, P4I in merito a questo tema invita a riflettere su quelle che sono le conseguenze della Legge di Goodhart. L’economista inglese Charles Goodhart nel 1975 sosteneva che “Quando una misura diventa un obiettivo, cessa di essere una buona misura“. In altre parole, si può estendere questo rischio osservando che “quando una misura diventa un obiettivo rischia di diventare anche oggetto di manipolazione”. Tradotto in pratica e calata nell’ambito ESG, ci sono imprese più brave di altre nel gestire i meccanismi di rating (che da strumento di misura diventano, appunto, un obiettivo). Imprese che agiscono di conseguenza proprio per migliorare quel rating.
Questa è una valutazione di metodo che attiene alla logica stessa dell’ESG. Nello stesso tempo è però necessario svolgere qualche considerazione sulle aziende stesse e in questo caso su Tesla. Senza entrare nel merito specifico, in assenza di una analisi dettagliata, si può però osservare che questa azienda e le aziende attivi sulla mobilità elettrica presentano un impatto ambientale e sociale che è più spostato a monte della supply chain, è meno “visibile” e in molti casi è “indiretto”. Le terre rare necessarie per motori e batterie hanno processi di estrazione e lavorazione inquinanti e solo la Cina è disposta ad affrontarli a basso costo finanziario. Un impatto che riguarda anche il cobalto e che determina, dal punto di vista della produzione, un impatto con caratteristiche molto diverse da quelle di altre imprese. La grande differenza sta nel fatto che in questo caso le esternalità negative non sono “scaricate” direttamente sui clienti.
Fumagalli: la sostenibilità vera si valuta su tutta la supply chain
Per Sergio Fumagalli, Team leader sostenibilità di P4I non basta fare auto elettriche per essere sostenibili. Occorre osservare l’intero ciclo di vita del prodotto e tutta la supply chain produttiva. L’auto elettrica è un prodotto per la transizione nelle grandi metropoli europee, americane e probabilmente anche cinesi, ma per molti dei Paesi poveri, in cui si trovano le miniere, il concetto stesso di transizione è ben diverso.
A scanso di equivoci, la supply chain del petrolio non è certamente un “pranzo di gala” e presenta un impatto decisamente molto rilevante. In questo contesto tuttavia occorre analizzare come si è comportata Tesla rispetto ai competitor, cioè se, rispetto a questi ultimi, abbia imposto alla supply chain condizioni migliori per sé, ma peggiori per i lavoratori e l’ambiente, traendone vantaggi ma non ipotizzabili per sempre. Questo vale anche per la gestione del personale e per le condizioni di lavoro interne.
Sul fronte della governance, la riflessione è forse un’altra: il ruolo della proprietà, nelle aziende automotive confrontabili a Tesla e nelle aziende energy presenti nello stesso indice è molto diverso. In generale si tratta di aziende profondamente strutturate con un modello organizzativo e manageriale consolidato. Questa differenza, se confermata, potrebbe giocare un ruolo molto positivo in certe fasi della vita dell’azienda ma potrebbe diventare un limite in altre.
In proposito un esempio potrebbe essere rappresentato da una “vecchio” brand tecnologico: Digital Equipment Corporation (DEC), oggi scomparso. Una azienda che è stata prima smembrata, poi comprata da Compaq e infine acquisita da HP. La società fu fondata da Kenneth Olsen, uno dei padri dell’informatica e fu da lui diretta fino al tracollo: tra le cause di questo epilogo è lecito chiedersi se il ruolo del leader non abbia contribuito a spingere l’azienda a seguire la stessa parabola del suo fondatore che, pur grandissimo visionario e innovatore, non riuscì a capire la rivoluzione del PC.
In definitiva bisognerebbe verificare se e come l’Indice S&P500 ESG ha valutato questi aspetti ma sottovalutarne la portata potenziale sarebbe sbagliato.
Certamente c’è un aspetto dell’ESG sul quale occorre lavorare e che può portare a situazioni in cui risulta difficile disporre di una valutazione oggettiva di una impresa. Non dovrebbe cioè essere possibile “cambiare le materie della pagella per avere bei voti”.