Green Fashion

Fashion Industry e sostenibilità: la ricetta per una green revolution

Inquinamento idrico ed energetico, produzione di rifiuti tessili e utilizzo di materiali non biodegradabili, resi ed emissioni di CO2 sono solo alcune delle problematiche che la moda deve affrontare. Gli esperti del settore illustrano le strategie per un’industria della moda davvero sostenibile

Pubblicato il 03 Mar 2021

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La moda inquina: tra produzione di rifiuti ed emissioni di CO2

Secondo la Banca Mondiale, l’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali annuali di carbonio, più di tutti i voli internazionali e del trasporto e una ricerca pubblicata su Nature Reviews Earth and Environment, svela che ogni anno vengono consumati 1500 miliardi di litri d’acqua, i rifiuti tessili superano i 92 milioni di tonnellate, la lavorazione e la tintura dei tessuti sono responsabili del 20% dell’inquinamento idrico industriale e il 35% delle microplastiche negli oceani è attribuibile ai lavaggi dei capi in fibre sintetiche. Inoltre, la Ellen MacArthur Foundation rivela che ogni anno si perdono circa 500 miliardi di dollari per indumenti che vengono indossati a malapena, non donati, riciclati o che finiscono in discarica.

Tutti questi dati emergono da un approfondimento condotto su testate internazionali da Espresso Communication per Be Green Tannery, innovativa conceria avellinese fondata nel 2018, scelta da numerosi e prestigiosi marchi di lusso per il processo di produzione brevettato, unico nel suo genere, che punta fortemente sull’economia circolare e permette di ottenere un prodotto sostenibile e 100% metal free.

L’economia circolare per ridurre l’impatto ambientale

Tra i punti di riferimento dell’ European Green Deal, il modello di economia circolare rappresenta un punto di approdo essenziale per contrastare l’inquinamento e il cambiamento climatico, tanto quanto per sviluppare il business e la redditività aziendale. Secondo il rapporto Breaking the Plastic Wave elaborato da The Pew Charitable Trusts e SYSTEMIQ la circular economy potrebbe ridurre il volume annuale di plastica nei mari di oltre l’80%, generare risparmi pari a 200 miliardi di dollari all’anno, diminuire le emissioni di gas serra del 25% e creare 700 mila posti di lavoro entro il 2040. Inoltre, il Circular Fashion Report 2020 stima che il business del mercato della moda circolare potrebbe potenzialmente equivalere 5 mila miliardi di dollari a livello mondiale, il 67% in più dell’attuale valore della fashion industry, ferma a 3 mila miliardi di dollari.

Un modello su cui Be Green Tannery punta fortemente: “Abbiamo a cuore la qualità del nostro prodotto e il futuro dell’ambiente, perciò pensiamo che intervenire con l’integrazione di un’economia sostenibile nel mondo della moda sia la soluzione ideale per un futuro più green e responsabile – commenta il fondatore Felice De Piano – Dopo anni di ricerche e numerosi studi, abbiamo implementato un metodo di lavorazione che segue i principi della sostenibilità: il risultato è una diminuzione del tempo di produzione richiesto per la conciatura che passa da 36 a 24 ore, una riduzione dell’energia impiegata, 360 kW contro i classici 540, e una minore quantità di litri d’acqua necessari, 7 mila in contrapposizione ai 10 mila normalmente utilizzati. Inoltre, la nostra pelle, la prima ad aver ottenuto la certificazione di prodotto metal free dalla Stazione Sperimentale per l’industria delle Pelli, risulta molto più resistente, performante e green, in quanto l’assenza di metalli riduce l’impatto ambientale del ciclo produttivo”.

La Generazione Z attenta anche a usato e seconda mano

Il consumo globale di prodotti tessili è salito a circa 62 milioni di tonnellate all’anno, con un aumento previsto di 102 milioni di tonnellate entro il 2030. Tuttavia, una ricerca di Boston Consulting Group e Vestiaire Collective condotta su un campione di 7 mila intervistati di 6 paesi, tra cui l’Italia, ha dimostrato come si stia cambiando rotta, puntando sugli abiti usati: entro 5 anni il mercato crescerà del 15-20%, passando dai 30-40 miliardi attuali a 64 miliardi di dollari nel 2024. Inoltre, il 60% degli intervistati è particolarmente attratto da un marchio che si è prefissato obiettivi green, mentre il 31% vende i suoi capi per acquistarne di nuovi. E a quanto pare (in base al Resale Report 2020 di Thread Up) questa tendenza è guidata dalla Generazione Z: per l’80% dei nati tra il 1995 e il 2010 comprare vestiti usati è un’azione sdoganata, mentre il 90% valuta di comprare vestiti di seconda mano in caso di budget ristretto.

Dieci tendenze che renderanno la moda sostenibile

Dalla ricerca commissionata da Be Green Tannery emergono 10 trend che renderanno più green il fashion nel 2021. Eccoli sintetizzati di seguito:

1. economia circolare contro l’inquinamento: un approccio globale, oltre a diminuire il consumo idrico ed energetico potrebbe ridurre il volume annuale di plastica che finisce nei mari di oltre l’80%;

2. produzione tessile più sostenibile: attraverso un impianto di depurazione, le acque derivanti dalle lavorazione tessili nel distretto tessile di Prato, sono raccolte, depurate e rimesse nel sistema di produzione, attraverso un sistema di acquedotto industriale;

3. conceria sostenibile: la pelle prodotta da Be Green Tannery, certificata metal free, è realizzata attraverso un processo sostenibile che ne riduce l’impatto ambientale;

4. internalizzazione di tutte le fasi della supply chain: un’azione che consente al distretto tessile biellese di controllare e certificare il reale impegno verso la sostenibilità;

5. sfilate green: l’action plan della moda danese prevede una riduzione dell’impatto ambientale delle sfilate del 50% entro il 2022 e 17 requisiti di sostenibilità da soddisfare entro il 2023 tra cui l’impegno a non distruggere i vestiti invenduti, avere almeno il 50% di tessuti certificati, organici o riciclati e utilizzare solo imballaggi sostenibili;

6. mercato dell’usato: una ricerca di Boston Consulting Group e Vestiaire Collective ha dimostrato che entro cinque anni il mercato crescerà del 15-20% soprattutto grazie alla Generazione Z;

7. maggiore trasparenza e tracciabilità della filiera: secondo una ricerca di Fashion Revolution, 7 consumatori su 10 chiedono che i brand pubblichino la lista degli stabilimenti produttivi;

8. utilizzo di fibre biodegradabili o ricavate da prodotti di scarto: tra i materiali sostenibili ci sono cotone organico, lana e plastica riciclate, fibre artificiali rinnovabili e canapa; aquesti si aggiungono materiali come la pelle che vengono ricavati da prodotti di scarto;

9. limitare i resi online: secondo Appriss Retail, negli USA il costo dei resi è di 369 miliardi di dollari. La mission è ricreare l’esperienza del camerino a casa, limitando gli acquisti ad alto tasso di reso;

10. fashion renting: il noleggio di abiti e accessori si propone di diminuire l’acquisto di capi di abbigliamento dedicati soprattutto a particolari occasioni.

Immagine fornita da Shutterstock.

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