“Placeholder for Funding Arrangements”, ovvero “Segnaposto per accordi sui finanziamenti”. E’ la formula con cui, per ora, la bozza di comunicato di chiusura della Cop27 riempie il paragrafo destinato ad eventuali indicazioni sui fondi Loss&Damage da destinare ai Paesi vulnerabili. Un “segnaposto”, ovvero un “testo di riempimento” che solo ad accordo concluso – se arriverà – potrà essere sostituito dalla descrizione precisa degli impegni presi in merito. Sulla questione, il draft infatti si limita ad affermare semplicemente che “si accoglie con favore” il fatto che le parti abbiano concordato di includere nell’agenda del vertice “questioni relative agli accordi di finanziamento in risposta a perdite e danni”.
E’ una delle cose che saltano subito all’occhio di questo non-paper (SCARICA QUI IL DOCUMENTO ORIGINALE), il documento non ufficiale di 20 pagine diffuso nella notte fra mercoledì e giovedì dall’Agenzia Onu per il clima, UN Climate Change, per dare un primo senso conclusivo, seppur provvisorio e incompleto, alle dieci giornate di lavori che si sono susseguite a Sharm-El-Sheikh alla presenza di circa 200 Stati del mondo. Di fatto un testo che ribadisce molti degli obiettivi annunciati lo scorso anno, mentre non compaiono dettagli su questioni nevralgiche – vedi appunto il fondo “perdite e danni”, su cui anche il G20 di Bali aveva auspicato “progressi” – delle quali si era discusso molto nelle varie sessioni, lasciando intendere che regnasse una concreta volontà d’azione. La bozza di fatto fornisce una base per i negoziati delle prossime ore, in vista della conclusione del vertice, fissata per domani.
Loss&Damage: il mondo diviso in due
Ma non si tratta comunque di un documento definitivo e completo, questo va ribadito. Prima di domani sera, fine della Conferenza, il “placeholder” potrebbe ancora essere sostituito da un testo reale. Quel che comunque è chiaro è che su “Perdite e danni” manca ancora un accordo fra gli Stati: i paesi emergenti e in via di sviluppo del G77+Cina, guidati da Pechino, chiedono un Fondo ad hoc, mentre Stati Uniti e Unione Europea temono esborsi eccessivi e preferiscono aggiornare gli strumenti per gli aiuti esistenti.
Addio graduale al carbone ma non a tutti i combustibili fossili
Intanto, non resta che analizzare quanto di concreto compare già nella bozza: intanto la conferma dell’obiettivo del patto per il clima di Glasgow dello scorso anno di “accelerare le misure verso l’eliminazione graduale dell’energia a carbone e l’eliminazione graduale e la razionalizzazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili”. Non si parla invece di eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili, come chiesto da India e Unione europea. Una lacuna già valsa le aspre critiche del capo delegazione di Greenpeace International, Yeb Sano, secondo cui “la bozza di testo è un’abdicazione alla responsabilità di cogliere l’urgenza espressa da molti Paesi di vedere tutto il petrolio e il gas aggiunti al carbone almeno per un graduale abbandono”.
Accordo di Parigi: nessun passo avanti rispetto a Glasgow
Anche sulla limitazione dell’aumento della temperatura globale si rilanci il testo di accordo della Cop26: su questo tema, la Conferenza egiziana sottolinea “l’importanza di esercitare tutti gli sforzi a tutti i livelli per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2° C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C”.
In questo quadro, la bozza fa notare che gli impegni di decarbonizzazione (Ndc, Nationally Determined Contributions) presi attualmente dagli Stati nell’ambito dell’Accordo di Parigi sul clima riducono le emissioni al 2030 del 5% tenendo conto degli impegni senza condizioni (sulla base delle capacità di un paese) e del 10% tenendo conto degli impegni condizionati ad aiuti esterni. Ma per mantenere il riscaldamento globale entro 2 o 1,5 gradi dai livelli pre-industriali (gli obiettivi dell’Accordo), queste percentuali dovrebbero aumentare al 2030 rispettivamente del 30% e del 45%.
L’invito: “Più sostegno dai Paesi sviluppati ai bisognosi”
Fra le osservazioni avanzate dalla bozza di documento finale, emerge la “preoccupazione per il crescente gap fra i bisogni dei Paesi in via di sviluppo e il sostegno fornito da quelli sviluppati. Le stime di tali bisogni sono dell’ordine di 5.600 miliardi di dollari al 2030 – si legge -, ma nel periodo 2019-2020 il flusso di finanza climatica globale è stato di 803 miliardi di dollari, il 31-32 per cento di quanto è necessario per tenere il riscaldamento sotto il 2%”. Il documento quindi “sollecita i paesi sviluppati ad aumentare il sostegno”.
La bozza esprime anche “grave preoccupazione che l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno” per aiuti ai paesi in via di sviluppo nelle politiche climatiche, previsto dall’Accordo di Parigi, “non sia stato ancora raggiunto dal 2020” e “sollecita i paesi sviluppati a raggiungerlo”. Ricordando “l’appello ai paesi sviluppati ad almeno raddoppiare la finanza per l’adattamento al 2025 rispetto al livello del 2019”, la bozza “incoraggia tutti gli attori finanziari”, pubblici e privati, “ad aumentare la loro ambizione climatica” e ad “accrescere i fondi per questa”. Si sottolinea che “un terzo dei paesi in via di sviluppo e due terzi dei paesi a basso reddito sono a rischio di stress debitorio” e si richiedono “misure su misura per affrontare questo rischio”.
Il “Piano tecnologico di Sharm”
Previsto infine un “Piano tecnologico di Sharm” di due anni, per azioni di sostegno tecnologico nei paesi in via di sviluppo, mentre si esprime “profondo rincrescimento che i paesi sviluppati che hanno le maggiori capacità per ridurre le loro emissioni continuino a non farlo. Questi dovrebbero arrivare a zero emissioni nette al 2030″.
Credit: UN Climate Change