Sono oltre 400 le organizzazioni di tutto il mondo che nelle scorse settimane hanno firmato la lettera promossa da Climate Action Network (SCARICA QUI IL TESTO ORIGINALE), che invita i capi delegazione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a garantire che il Finanziamento per le perdite e i danni (il cosiddetto Loss and Damage Finance Facility) sia nell’agenda formale della COP27. Ma la partita sul dossier, che è uno dei temi più scottanti a livello globale in ambito climatico, potrebbe rivelarsi davvero bollente a Sharm el Sheik: secondo alcune voci, non ancora confermate, pare infatti che l’Europa non sosterrà la richiesta. I negoziatori dei Ventisette potrebbero infatti avere solo un mandato ristretto che consentirà loro di discutere di perdite e danni, ma solo in modo generico e senza prendere decisioni definitive.
Questa, almeno, sarebbe quanto trapela dalla bozza della posizione ufficiale sul tema preparata dai ministri europei delle Finanze in vista del summit sul clima: un documento che sarà approvato ufficialmente il 4 ottobre e che, salvo sorprese dell’ultimo minuto, confermerà che i maggiori responsabili della crisi climatica non hanno ancora modificato la propria linea d’azione in termini di ampliamento del perimetro della finanza climatica.
Una partita da quasi 2 triliardi di dollari
L’espressione “loss and damage” si riferisce a quegli impatti del cambiamento climatico che si avvertono quando le persone non possono più adattarsi al cambiamento climatico o sono stati raggiunti i limiti dell’adattamento. I Paesi sviluppati, che detengono la responsabilità storica e morale di agire, non riescono a eliminare gradualmente i combustibili fossili abbastanza rapidamente, e ciò provoca un’escalation e disastri climatici più intensi. Entro il 2050 il costo economico dei loss and damage nei Paesi in via di sviluppo è stimato prudentemente tra 1 e 1,8 trilioni di dollari, e questo non include perdite non economiche come perdita di vite umane, cultura, territorio, tra le altre.
La questione delle perdite e dei danni è stata costantemente bloccata oppure ridotta a semplici dialoghi o eventi collaterali. Recentemente Climate Action Network International (una rete globale di oltre 1.800 organizzazioni della società civile in oltre 130 Paesi che guidano azioni collettive e sostenibili per combattere la crisi climatica e per raggiungere l’equità sociale e razziale), insieme ad altri partner, ha pubblicato un documento di discussione (QUI IL TESTO ORIGINALE) che spiega gli elementi chiave di una struttura di finanziamento di perdite e danni e come può fornire supporto alle persone.
Un’emergenza da affrontare
Nelle scorse settimane, 33 milioni di persone sono sfollate a causa delle inondazioni in Pakistan, la siccità e l’imminente carestia in alcune comunità del Corno d’Africa minacciano la sicurezza alimentare di 50 milioni di persone e ondate di caldo e siccità da record hanno soffocato parti della Cina e dell’Europa. “Mentre gli impatti climatici si stanno verificando in tutto il mondo – spiega Climate Action -, è chiaro che una struttura finanziaria dedicata ad affrontare perdite e danni è essenziale per i Paesi poveri che hanno fatto il minimo per causare la crisi climatica, ma affrontano catastrofi climatiche sempre più intense e frequenti”.
Nell’ultima tornata di consultazioni di luglio, la sintesi dei presidenti di Cop26 e Cop27 (SCARICA QUI IL DOCUMENTO ORGINALE) ha rilevato che: “ Nel complesso, le parti hanno ritenuto che un’azione su “loss and damage” sarebbe fra le caratteristiche distintive del successo della Cop27. Hanno inoltre chiarito che un esito positivo significherebbe un risultato concreto sul dialogo di Glasgow, il che significherebbe l’istituzione di accordi di finanziamento o una struttura di finanziamento nell’ambito della COP e della CMA – il gruppo dei paesi sottoscrittori dell’Accordo di Parigi, ndr – per affrontare le perdite e i danni con risorse trasparenti e prevedibili, che sarebbero separate dal finanziamento dell’adattamento, e un accordo affinché diventi un punto all’ordine del giorno della COP e della CMA”.
Una richiesta respinta anche dalla Cop26
Nella COP26 dello scorso novembre, i piccoli stati insulari e il più grande blocco di paesi in via di sviluppo, il G77, che insieme rappresentano oltre 5 miliardi di persone nel mondo, hanno mantenuto la loro richiesta di una struttura finanziaria per affrontare perdite e danni fino all’ultimo giorno della riunione. Il progetto è stato infine bloccato dai paesi ricchi, in particolare dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.
“Non possiamo arrivare in Egitto per la COP27 senza che la questione del finanziamento di Loss and Damage sia nell’agenda ufficiale della COP, che è necessaria per il processo decisionale formale – afferma Tasneem Essop, Direttore Esecutivo, Climate Action Network International -. La credibilità e la legittimità dei leader globali saranno in discussione se ancora una volta una COP non riuscirà ad affrontare questo problema e non fornirà il supporto necessario per le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici in modo concreto e significativo. Soprattutto in questo anno di impatti devastanti in tutto il mondo. Le persone che soffrono di più di questi impatti non sono responsabili della crisi climatica, stanno soffrendo di una crisi causata dall’avidità di paesi e aziende ricchi e inquinanti. Dobbiamo essere onesti e mettere in discussione la validità di una conferenza internazionale sul clima ogni anno che si rifiuta di affrontare questa ingiustizia climatica”.
E mentre l’Europa si allontana, la Danimarca fa il primo passo
E così, mentre si attendono conferme alla posizione comune dei 27 in vista di Sharm, la Danimarca fa il primo passo. Il Paese nordico è infatti il primo a impegnare fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo specificamente per “tab og skader”, ovvero “perdite e danni”. La nazione nordica ha impegnato 100 milioni di corone danesi (13 milioni di dollari) per costruire la resilienza e aiutare le vittime del clima a riprendersi. Sebbene l’importo promesso sia relativamente piccolo rispetto ai finanziamenti per la mitigazione e l’adattamento, la mossa rompe un tabù tra i paesi ricchi sulla donazione di denaro per far fronte alle perdite e ai danni inevitabili già causati dai cambiamenti climatici.
Nell’annunciare i fondi, il ministro danese per lo sviluppo Flemming Møller Mortensen ha dichiarato: “Ho visto di persona in Bangladesh questa primavera che le conseguenze del cambiamento climatico richiedono maggiore attenzione”. “È gravemente ingiusto che i più poveri del mondo debbano soffrire di più per le conseguenze del cambiamento climatico, a cui hanno contribuito meno. Con questo nuovo accordo, mettiamo l’azione dietro le parole”, ha proseguito.