Crisi alimentare: il contesto
Tra i tanti ambiti nei quali l’innovazione è chiamata a far sentire la propria capacità di miglioramento e di trasformazione quello della sicurezza alimentare è oggi uno dei più importanti e delicati. I sistemi alimentari, dopo gli sconvolgimenti legati alla pandemia, hanno subìto la sovrapposizione di crisi planetarie legate all’aggravamento degli effetti scatenati dai cambiamenti climatici, dalle interruzioni nelle catene di fornitura, dalla crescita dei costi dell’energia, dalle conseguenze di crisi geopolitiche come la guerra in Ucraina. Il risultato drammatico di questa situazione è un peggioramento nella sicurezza alimentare e nell’accesso al cibo con effetti particolarmente tragici per determinate aree del pianeta, ma con un rilevante peggioramento delle condizioni anche nelle aree più sviluppate, dove aumenta per le fasce più deboli della popolazione la difficoltà di accesso a un cibo sano in modo stabile e sicuro.
Davanti a una situazione molto complessa che vede sommarsi tante situazioni di crisi un ruolo di crescente importanza è affidato alla tecnologia e le startup, in particolare, stanno rispondendo a questa emergenza con soluzioni che permettono di limitare i rischi, di migliorare la produzione, di ridurre gli sprechi, di recuperare le eccedenze e ridistribuirle con maggior efficienza e con maggiore equità.
La crisi alimentare analizzata dall’Osservatorio Food Sustainability
L’edizione numero cinque dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano ha permesso di fare il punto innanzitutto sul ruolo delle startup che hanno scelto di portare innovazione nel mondo agroalimentare e i dati che sono arrivati mostrano una grande vitalità a testimonianza sia dell’attenzione con cui il mondo delle imprese innovative sta guardando alle tematiche della food sustainability, sia dei risultati che possono arrivare grazie all’innovazione.
I numeri iniziano ad essere davvero importanti: le startup focalizzate sul mondo agrifood censite nell’ambito della ricerca nell’arco temporale 2017 – 2021 sono 7.337 e di queste una fetta pari al 34% ha come obiettivo almeno un SDGs, ma spesso anche più di uno. Un segno questo dell’impegno del settore privato sulla spinta degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite uscita dalla COP21 di Parigi nel dicembre 2015 e come confermato lo scorso anno alla COP26 con il Glasgow Climate Pact.
Dove si concentra l’attenzione delle Startup per affrontare la crisi alimentare
L’obiettivo sul quale si concentra maggiormente l’attenzione delle startup è rappresentato dall’SDG numero 12.2: consumo e produzione responsabili, per raggiungere entro il 2030 la gestione sostenibile e l’utilizzo efficiente delle risorse naturali. Questo obiettivo è nei piani di azione e di sviluppo del 30% delle startup esaminate.
All’SDG 12 segue una focalizzazione sull’obiettivo 15, vale a dire proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre per arrivare a garantire la conservazione, il ripristino e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi di acqua e di terra entro il 2030. Il 21% delle startup guarda a questo goal.
Il Goal 12 ma con target 12.8, ovvero agire affinché tutte le persone, in ogni parte del mondo, possano disporre di tutte le informazioni necessarie per far crescere una corretta consapevolezza verso lo sviluppo sostenibile e verso l’adozione di stili di vita in armonia con la natura è nella traiettoria del 17% delle startup esaminate.
Una percentuale analoga si indirizza sull’SDG numero 2, ovvero cercare di azzerare la fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e lavorare per creare le condizioni per un’agricoltura sostenibile. Più nello specifico l’obiettivo è il 2.4: adoperarsi per creare entro il 2030 lo sviluppo di sistemi per la produzione alimentare sostenibile e per diffondere pratiche agricole più resilienti e in grado di aumentare produttività e produzione. Sistemi che siano nello stesso tempo in grado di proteggere gli ecosistemi, di sviluppare forme di adattamento ai cambiamenti climatici, di ridurre i rischi e di migliorare la qualità del suolo.
Il 16% delle nuove imprese guarda all’SDG 8 e opera per favorire una crescita economica duratura inclusiva e sostenibile, e per creare le condizioni per un lavoro dignitoso con particolare attenzione agli ambiti del turismo e delle produzioni locali.
Nel 12% dei casi la focalizzazione relativa all’SDG numero 2 si rivolge al target 2.3, ovvero alle misure che permettano di raddoppiare entro il 2030 sia la produttività agricola sia il reddito dei produttori di cibo su piccola scala, anche attraverso un accesso sicuro ed equo a terreni, alle risorse e agli input produttivi, oltre che alle conoscenze, ai servizi finanziari.
Un altro obiettivo particolarmente importante sul quale si concentra l’attenzione dell’innovazione rientra nell’obiettivo 12.3 nell’ambito dell’SDG numero 12, ovvero dimezzare entro il 2030 lo spreco alimentare globale pro-capite agendo su tutti i livelli, dalla riduzione delle perdite di cibo nel post raccolto, nelle catene di produzione e sulle catene di fornitura, così come anche nelle fasi di vendita e nello spreco di cibo che si avvera nella fase del consumo. Le startup impegnate in quello che può essere definito come lotta al food waste sono l’11%.
Un altro 8% si prefigge di portare risultati nell’ambito dell’SDG numero 8 e in particolare sul target 8.5 per garantire una occupazione e un lavoro dignitoso per donne e uomini e una equa remunerazione anche a giovani e persone con disabilità entro il 2030.
Mentre una ulteriore quota del 7% mette l’innovazione al servizio dell’SDG numero 6 e del target 6.4 per garantire una disponibilità e una gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie in grado di affrontare la carenza idrica e ridurre il numero di persone che ne subiscono le conseguenze.
Come e dove si affronta la crisi alimentare con il supporto delle startup
Dove sono e come agiscono queste startup? Dall’analisi dell’Osservatorio arriva una lettura rispetto al come ci si muove a livello mondiale in relazione agli SDGs e la conclusione a cui si arriva è l’assenza una vera e propria polarizzazione a livello geografico, come si potrebbe forse immaginare. Il primato in termini di concentrazione percentuale di startup focalizzate sulla sostenibilità va alla Norvegia che conta 25 startup agrifood, di cui il 60% sostenibili, si passa poi all’area mediterranea con Israele che vanta 119 startup, di cui il 58% sostenibili e si scende poi in Africa con la Nigeria dove le startup sono 64 di cui il 50% sostenibili, si torna poi al Nord Europa, questa volta con la Polonia che vanta 20 startup, di cui il 50% sostenibili. Per trovare l’Italia occorre far scorrere un po’ la classifica sino alla ventitreesima posizione per osservare come questo impegno si concretizzi in 85 startup agrifood, di cui il 35% sostenibili.
I finanziamenti all’innovazione per la food sustainability
Sappiamo che la vitalità di queste iniziative è legata fortemente a un tema di finanziamenti e l’analisi dell’Osservatorio ci dice che le startup sostenibili hanno raccolto 6,4 miliardi di dollari dal 2017 al 2021, con una media pari a 7,3 milioni di dollari per azienda. Gli USA da questo punto di vista sono più “generosi” o intravvedono maggiori possibilità di un ritorno degli investimenti e le startup sostenibili statunitensi arrivano a una media di 8,7 milioni di dollari a startup e un totale di investimenti pari a 3,2 miliardi di dollari, in Asia l’investimento medio è di 10,9 milioni di dollari mentre il capitale investito arriva a 2 miliardi di dollari. In Europa siamo sotto il miliardo di dollari (911 milioni ) con una media di 4,1 milioni di dollari per startup. Se poi si guarda solo all’Italia il totale investito è pari a 16 milioni di dollari, con una media di 1,6 milioni di dollari per ogni startup.
Lo scenario di crisi nella crisi: aumenta la richiesta di aiuto, diminuisce l’offerta
Il convegno “Sicurezza alimentare e sostenibilità della filiera agrifood: a che punto siamo?” è stato aperto da un confronto condotto da Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, con la partecipazione di: Carlo Cafiero, statistico ed economista senior della FAO; Giovanni Bruno, presidente Fondazione Banco Alimentare; e Paola Garrone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability, professoressa di business e industrial economics e vicedirettrice della sostenibilità.
Il confronto si è concentrato sull’analisi di alcuni dati drammatici che arrivano dalle previsioni della FAO e che indicano come l’insicurezza alimentare globale stia purtroppo peggiorando. Nel 2021 828 milioni di persone non hanno accesso al cibo mentre 2,3 miliardi di persone vivono condizioni di insicurezza alimentare. Una situazione che mostra segni di peggioramento per le ulteriori conseguenze della crisi pandemica, per gli effetti, quest’anno particolarmente gravi, di situazioni metereologiche estreme causate dai cambiamenti climatici e per le gravissime conseguenze della guerra in Ucraina su approvvigionamenti di cereali e input (ad esempio, i fertilizzanti) per il mondo agricolo e per le difficoltà che hanno messo in ginocchio tante catene di fornitura.
Alessandro Perego ha portato l’attenzione sulla convergenza di diversi fattori di crisi e sul fatto che purtroppo questa situazione incide sulla capacità dei sistemi agroalimentari di rispondere alla domanda di una trasformazione sostenibile. La considerazione del direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation parte dal fatto che la traiettoria di trasformazione intrapresa era buona, con una velocità ancora non sufficiente per centrare gli obiettivi nei tempi stabiliti, ma comunque nella giusta direzione. La sovrapposizione di queste crisi impone oggi un supplemento di attenzione e un piano di azione che tenga conto di altre criticità.
Perego sottolinea la gravità di un dato che porta il numero di persone in gravissime condizioni alimentari a superare gli 820 milioni. Uno scenario che se da una parte purtroppo “fa rabbrividire”, dall’altro deve invitare a porre l’attenzione sugli strumenti per agire che non mancano e che possono contare sempre di più sul ruolo svolto dall’innovazione, tanto a livello di innovazione tecnologica, quanto a livello di organizzazione tra attori di filiera. Perego sottolinea, inoltre, l’importanza fondamentale di unire la disponibilità di un quadro analitico chiaro della situazione al richiamo verso un dovere etico come nello spirito dell’Osservatorio Food Sustainability che unisce lo scopo scientifico a una forte istanza morale.
L’evoluzione e la dinamica dell’insicurezza alimentare: il picco del 2020
Carlo Cafiero, statistico ed economista senior della FAO, analizza il livello di insicurezza globale e mostra una mappa del mondo dalla quale si coglie come la crisi alimentare arrivi a colpire qualcosa come il 30% della popolazione. La situazione è molto grave in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia, ma ci sono segnali preoccupanti anche in Europa e in Nord America.
L’insicurezza alimentare purtroppo evolve nel tempo con dinamiche sono evidentemente influenzate dalle grandi crisi. In un’analisi temporale che parte dal 2014, Cafiero parla di una sorta di stagnazione che arriva sino al 2018 per poi mostrare una grave una impennata nel 2020 che prosegue nel 2021 a causa, come purtroppo spesso accade, di crisi su più livelli. E qui si sommano le conseguenze della pandemia Covid19 a una debolezza dei sistemi di protezione sociale che in poco tempo hanno contribuito a innalzare la percentuale di popolazione esposta a problematiche di insicurezza alimentare dal 25 al 30%.
Per favorire la sicurezza alimentare serve un miglior accesso ai dati
Cafiero invita e sollecita a osservare i temi della sicurezza alimentare da una prospettiva di complessità: non sono più solo aspetti da considerare sul piano della crisi agroalimentare, ma come un problema sociale. Rispetto poi alla necessità di agire e di prendere l’iniziativa, Cafiero lancia un segnale di allarme e richiama un rapporto discusso presso la FAO dal quale emerge che esistono dati e informazioni per comprendere meglio il fenomeno e sviluppare piani di azione precisi, ma troppe spesso si tratta di dati che non sono accessibili a chi ne ha effettivamente l’esigenza. Chi ha la necessità di una maggiore capacità analitica per interpretare la complessità dei fenomeni che devono essere tra loro collegati deve disporre dei dati necessari. Per Cafiero è dunque fondamentale colmare l’accesso all’informazione e considerarla un asset strategico da proteggere.
L’esperienza e la visione del Banco Alimentare
Giovanni Bruno, presidente Fondazione Banco Alimentare mette in evidenza come è cambiata la domanda di aiuti alimentari e come è cambiata anche l’offerta. La domanda di aiuto è cresciuta molto, sia quantitativamente sia qualitativamente e durante la pandemia si è passati da 4,6 milioni a 5,6 milioni di persone in povertà. La crescita del PIL non ha inciso positivamente e non ha contribuito a una diminuzione nel numero di queste persone anche perché è stata affiancata da un aumento dell’inflazione che insiste in modo particolare sul prezzo dei generi alimentari. Il sostegno di Banco Alimentare è passato da una platea di 1,5 milioni di persone a 1 milione e 750mila persone. E per certi aspetti non c’è più solo la povertà stereotipata del “povero che dorme sulla panchina”, anzi c’è una grossa realtà di persone che si rivolgono agli enti caritativi perché non riescono più condurre una vita normale e hanno concretamente bisogno di sostegno.
Questo quadro viso dal lato dell’offerta esprime una ulteriore criticità e il crescere del bisogno di supporto vede diminuire purtroppo la disponibilità di aiuto. Le aziende ottimizzano le spese e si riducono le eccedenze alimentari. Ci sono esempi di aziende che per affrontare la crisi delle materie prime e la crisi energetica scelgono di ridurre la produzione e le scorte e ottimizzano tutte le attività. Segnali ovviamente anche positivi in termini di miglioramento dell’efficienza ma che si traducono in una riduzione del recupero dell’8%.
Paola Garrone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability, professoressa di business e industrial economics e vicedirettrice della sostenibilità, invita a valutare con attenzione il ruolo che può svolgere l’innovazione in una prospettiva di ecosistema tra politiche pubbliche, iniziative del terzo settore, innovazione delle imprese e innovazione tecnologica. Le startup agrifood che hanno scelto di concentrare la loro capacità di innovazione per migliorare la sicurezza alimentare e per aiutare la transizione verso modelli di produzione e di consumo più sostenibili, stanno anche individuando modelli di business e di sviluppo orientati alla sostenibilità.
Su ESG Smart Data una selezione e una sintesi delle ricerche e delle analisi sul ruolo e sulle prospettive della sostenibilità per le imprese e per le pubbliche amministrazioni.