I dati non scaldano le case e i dati, da soli, non aiutano la decarbonizzazione, ma oggi più che mai sono i dati che forse possono permettere al Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale presentato dal Ministero della Transizione Ecologica di raggiungere gli obiettivi e sono sempre loro che possono aiutarci a stringere i tempi per superarlo. Prima di entrare nel merito di alcune componenti del Piano, occorre mettere in evidenza due aspetti che lo caratterizzano: il primo attiene al costante e continuo senso di emergenza che accompagna il mondo dell’energia da molti mesi, anche a prescindere dal vertiginoso aumento dei prezzi che stiamo vivendo e il secondo riguarda il rapporto tra produzione di energia, consumi di energia e comportamenti, una “triade” sulla quale mai come è necessario (e possibile) agire.
Contenimento (e cambiamento) dei consumi energetici
Il Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale del MITE era atteso da giorni (Qui il documento con il piano completo) e viene analizzato sulla nostra testata EnergyUP.Tech nella sua dimensione più legata ai temi spiccatamente energetici (Qui il nostro servizio). Ma se leggiamo il comunicato stampa ufficiale del Ministero non possiamo non osservare che nelle prime righe viene messo in evidenza l’impegno sulla decarbonizzazione, prima ancora di entrare nel merito delle misure di contenimento (testualmente: “Il Governo conferma gli impegni di decarbonizzazione per il 2030, che anzi assumono in questa fase un’ulteriore rilevanza ai fini strategici dell’aumento dell’indipendenza energetica”). detto che gli obiettivi di questo Piano sono chiarissimi: Assicurare gli stoccaggi per l’inverno 2022- 2023 e creare le condizioni per diversificare le importazioni di gas. Rispetto allo stoccaggio il documento stesso del MITE parla di quantità sostanzialmente in linea con gli obiettivi, mentre per quanto riguarda la diversificazione delle forniture i dati forniti nel Piano parlano di una sostituzione di 30 miliardi di Smc (standard metro cubo) di gas russo con circa 25 miliardi di Smc di gas di diversa provenienza, un rapporto almeno all’apparenza rassicurante ma comunque nell’orizzonte 2025. Il Piano ricorda poi le misure finalizzate tanto all’aumento della produzione di energia elettrica rinnovabile quanto alla produzione di gas, a sua volta rinnovabile, come biometano e idrogeno. Una componente questa che contribuisce a sua volta alla riduzione della domanda di gas. Il Piano infine (ci limitiamo a sottolinearne alcuni punti) guarda con fiducia allo sviluppo produttivo del biometano che potrebbe arrivare a 2,5 miliardi di Smc al 2026. Ed è in questo scenario arriva, qui la conferma degli impegni per la decarbonizzazione entro il 2030.
Obiettivo: garantire la continuità energetica
Ma voltando pagina si vede anche che questo scenario non è sufficiente per garantire la continuità energetica, i rischi di non riuscire ad “affrontare l’inverno” non sono marginali. Ed è con questa premessa che ci si alla ricerca di un nuovo, non semplice, equilibrio tra produzione, consumi e rapporto con tutti i prodotti e i servizi che sono in diretta relazione con l’energia.
Il punto chiave nell’immediato è determinato dall’azione sui consumi e su quella capacità produttiva sulla quale nel segno della “real-politik” si può concretamente agire. Il Piano prevede delle misure volontarie e delle misure obbligatorie. Per le prime il richiamo è al Regolamento presentato dalla Commissione europea per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e ciascun Stato UE è chiamato a ridurre i propri consumi del 15% rispetto alla media dello stesso periodo di 8 mesi nei cinque anni precedenti.
Le misure obbligatorie di riduzione riguardano invece un tetto ai consumi di ciascuno Stato membro, che in caso di stato di “Allerta UE” dovrà essere del 15% inferiore rispetto ai consumi relativi al corrispondente periodo nella finestra 1° agosto 2022 – 31 marzo 2023 e in riferimento alla media dei cinque anni precedenti. Va detto che le misure volontarie possono a loro volta agevolare la situazione nel caso di allerta perché rientrerebbero nel “tetto” previsto dalle misure obbligatorie. Nel caso specifico dell’Italia le azioni poi messe in campo dal MITE nei mesi scorsi hanno già prodotto il risultato di ridurre l’esposizione energetica dell’8%, dunque, a grandi numeri, le misure volontarie sono raggiungibili con un impegno pari al 7%.
Combustibili fossili e… decarbonizzazione
Come sempre accade però gli “ultimi chilometri” in una corsa sono i più “lunghi” e i più difficili e per mettere al riparo questo 7% il sacrificio ricade anche su quello che è il primo punto indicato nel comunicato, ovvero sull’”impegno relativo alla decarbonizzazione”.
Impegno certamente importante, come più volte indicato nel Piano, ma che non viene certamente agevolato se il piano stesso prevede una “Massimizzazione della produzione termoelettrica con combustibili diversi dal gas“, vale a dire carbone, olio combustibile e combustibili non convenzionali. E sono proprio queste fonti quelle sulle quali maggiormente si conta nel caso in cui dovesse essere necessario attuare il Piano di Allerta UE, dunque una “Massimizzazione della produzione di energia elettrica con combustibili diversi dal gas (carbone e olio)”.
Davanti a una emergenza come quella che stiamo vivendo il ricorso ai combustibili fossili non aiuta certo alla decarbonizzazione, ma c’è anche una emergenza economico sociale che giustifica questa decisione. La continuità nelle attività per le imprese da una parte e le ristrettezze legate al riscaldamento degli edifici dall’altra non possono essere messe in discussione e non trovano altre risposte in tempi brevi. Ma se si guarda nello specifico ai risultati previsti per il piano si vede che accanto alla “massimizzazione della produzione di energia elettrica con combustibili diversi dal gas”, alla “accelerazione sulle rinnovabili”, le aspettative sono rivolte a “misure di contenimento nel riscaldamento”, a “misure comportamentali nell’uso di energia”, al “contenimento volontario dei consumi nell’industria”.
Dati per innovazione di prodotto, di processo e per “nuovi comportamenti energetici”
Questo punto, che appare come il “lato” più debole della triade basata su produzione, consumo e comportamenti, è però quello che, grazie ai dati, non può certo risolvere l’emergenza, ma può e deve fare la differenza anche per un futuro non troppo lontano (sempre che sia attuato con la massima convinzione da subito). I dati associati ai comportamenti possono (devono) aiutarci a capire di quanta energia effettivamente abbiamo bisogno in funzione di come cambiamo itutte le nostre abitudini e devono aiutare le imprese a capire come fare innovazione e come ripensare i prodotti affinché siano nella condizione di ridurre i consumi rispondendo a questo specifico cambiamento nei comportamenti. Non solo, ma più questo Piano di contenimento diventa anche un Piano di conoscenza e di dati più può diventare una fonte di individuazione di nuovi bisogni per le imprese. Non solo per lo sviluppo di prodotti che fanno le stesse cose consumando meno, ma per prodotti che aiutano a far evolvere i bisogni stessi perché possano essere soddisfatti con una quantità significativamente minore di energia. E questo “lato” della triade è anche un lato con una forte vocazione industriale, in questo senso forse va letto il richiamo al commitmente sulla decarbonizzazione: oggi più che mai serve sfruttare le logiche 4.0 non solo per produrre meglio, non solo per aumentare performance produttive e qualità, ma per trasformare il modo stesso di produrre e per renderlo compatibile con un rapporto nei confronti delle risorse energetiche che dovrà essere sempre di più nel segno della massima riduzione degli sprechi e della massima spinta verso forme di produzione rinnovabile.