Nel 2021 in tutto il mondo, il numero di persone colpite da insicurezza alimentare acuta è pari a 193 milioni in 53 Paesi, in aumento di quasi 40 milioni rispetto al 2020, quando erano 155 distribuite in 55 Paesi. Numeri allarmanti quelli che arrivano dalla sesta edizione del Global Report on Food Crises (GRFC 2022) e che sono destinati a salire, vista la crescita inarrestabile negli ultimi anni a causa di conflitti, shock economici, condizioni climatiche estreme e pandemia da Covid-19.
Come segnalato nel rapporto del Global Network Against Food Crises (GNAFC) – alleanza internazionale fondata dall’Unione Europea, dalla FAO e dal WFP nel 2016, atta a prevenire e rispondere alle crisi alimentari e sostenere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile di porre fine alla fame nel mondo (SDG 2) -, la popolazione in crisi alimentare o in una situazione ancora peggiore è quasi raddoppiata tra il 2016 e 2021, con aumenti costanti ogni anno dal 2018.
I Paesi particolarmente colpiti sono l’Etiopia, il Sud Sudan, il Madagascar meridionale e lo Yemen dove è maggiore il rischio di carestia e di morte diffusa: il numero di persone che si trova nella fase di ‘catastrofe’ (Fase 5) è aumentato del 571% passando da circa 93.000 persone nel 2016 a 570.000 nel 2021. Le persone che si trovano invece in Fase 4, quella di emergenza e sull’orlo della fase più grave, sono quasi 40 milioni in 36 Paesi.
È giunto dunque il momento di affrontare, seriamente, i fattori che minacciano la sicurezza alimentare globale e se da un lato è necessario sostenere, il più rapidamente possibile, le vittime delle crisi alimentari attuali per evitare morti evitabili, è altrettanto necessario investire sulla resilienza delle popolazioni vulnerabili, puntando su sistemi innovativi e di successo, come l’agroecologia, e sulla valorizzazione dei sistemi alimentari locali, che devono essere al centro di una trasformazione sostenibile ed equa.
Il suggerimento che arriva dal report è quello che viene ripetuto da tempo dalle associazioni ambientaliste e non solo: bisogna investire nell’agricoltura locale e di piccola scala, specialmente nelle zone interessate da conflitti. Non è un caso che oltre il 60% delle persone in crisi alimentare acuta lavori nel settore primario in aree rurali. Allevatori, contadini, pescatori: tutte categorie che hanno bisogno della terra e del mare per sopravvivere. Eppure, molti dei Paesi analizzati hanno registrato una spesa pubblica molto bassa nel 2020 per quanto riguarda settore alimentare, supporto alle comunità rurali, ricostruzione e cura dei territori.
La guerra in Ucraina avrà gli impatti più devastanti sui Paesi che già affrontano alti livelli di fame acuta, “particolarmente vulnerabili ai rischi creati dalla situazione nell’Europa orientale, soprattutto a causa della loro elevata dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari e agricoli e per la vulnerabilità agli shock dei prezzi alimentari”.
Le previsioni per il futuro sono catastrofiche, e non è un’iperbole. In queste condizioni, la fame aumenterà a ritmi elevati e sarà sempre più mortale. “Se la comunità internazionale non agisce in supporto delle comunità rurali colpite dalla fame, il grado di devastazione sarà spaventoso. Serve un’azione umanitaria su scala globale per impedire tutto questo”, si legge nel report. Somalia, Sud Sudan e Yemen affronteranno le conseguenze più gravi.
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